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L'insorgenza dell'ISIS in Iraq e la battaglia anglo-americana per il petrolio

Felicity Arbuthnot | globalresearch.ca
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

18/06/2014

Per una oscura e tragica ironia, solo due mesi fa, nell'undicesimo anniversario della invasione (illegale) dell'Iraq, il Guardian (1) ricordava che lo sterminio e l'annientamento di interi paesi e città attraverso l'uso di armi di distruzione di massa da parte di Stati Uniti e Inghilterra non fu originato dal possesso iracheno delle armi di distruzione di massa, ma dal petrolio (un fatto da tempo assodato da chiunque disponga di un minimo di materia grigia).

Oggi le fiamme divampano dalla più grande raffineria di petrolio irachena a Baiji, circa 200 km a nord di Baghdad, in conseguenza dei colpi di mortaio delle diverse forze che ormai lambiscono la capitale.

Il Guardian riporta che, "il vero obiettivo [dell'invasione] - come ha documentato Greg Muttitt nel suo libro Fuel on the Fire [Benzina sul fuoco], citando documenti declassificati del Foreign Office - è di stabilizzare le forniture energetiche globali assicurando (soprattutto) il libero flusso del petrolio iracheno ai mercati mondiali", a vantaggio delle multinazionali statunitensi e britanniche.

"Il più importante interesse strategico risiede nell'espansione delle forniture energetiche globali, attraverso investimenti esteri, in alcune delle più grandi riserve di petrolio del mondo, in particolare in Iraq".

I documenti dimostrano che Stati Uniti e Regno Unito hanno cercato di privatizzare la produzione di petrolio iracheno per suddividerla tra gli investitori da loro favoriti.

Inoltre, secondo l'Independent (2), nel marzo 2003, poco prima che la Gran Bretagna entrasse in guerra, la Shell denunciava come "assai imprecisi" i resoconti dei suoi colloqui con Downing Street sul petrolio iracheno. La British Petroleum (BP) ha negato di aver avuto qualsiasi "interesse strategico" in Iraq, mentre Tony Blair ha descritto "la teoria della cospirazione del petrolio" come "decisamente assurda".

Come sempre, sembra che Tony Blair abbia omesso delle verità. Nei mesi di ottobre e novembre del 2002, pochi mesi prima dell'invasione, vennero alla luce dei documenti secondo cui "la baronessa Symons, allora ministro del Commercio, disse a BP che il governo riteneva che le imprese energetiche britanniche avrebbero avuto una quota delle enormi riserve di petrolio e gas iracheno come ricompensa per l'impegno militare di Tony Blair a sostegno dei piani Usa per un cambiamento di regime".

Inoltre, "Lady Symons accettò di fare pressioni sull'amministrazione Bush per conto della BP perché il colosso petrolifero temeva di essere estromesso dall'affare che Washington stava silenziosamente portando avanti tra i governi statunitense, francese e russo e le loro imprese energetiche.

"Nel verbale di una riunione con BP, Shell e BG (già British Gas) del 31 ottobre 2002 si legge: 'La baronessa Symons ha convenuto che sarebbe difficile giustificare la perdita di posizioni delle società britanniche in Iraq mentre il Regno Unito era un importante sostenitore del governo degli Stati Uniti durante la crisi'."

Il 6 novembre 2002, il Foreign Office invitava la BP a discutere le opportunità nell'Iraq del "dopo regime change". Nel verbale dell'incontro si registra che "l'Iraq è il maggiore potenziale cliente per il petrolio. BP sta cercando disperatamente di arrivarci ed è preoccupata che accordi politici ne ostacolino la possibilità".

Il mese precedente, l'allora responsabile per il Medio Oriente del Foreign Office, Edward Chaplin, osservò che "Shell e BP non potevano permettersi di non avere una partecipazione in (Iraq)... Eravamo determinati a ottenere una giusta parte per le società del Regno Unito nell'Iraq post-Saddam". I rappresentanti della BP dissero al Foreign Office che l'Iraq era "più importante di qualsiasi altra cosa da molto tempo a questa parte".

Inoltre, il libro di Greg Muttit ha rivelato che "i contratti ventennali firmati a seguito dell'invasione erano il più grande affare nella storia dell'industria petrolifera. Coprivano la metà delle riserve irachene - 60 miliardi di barili di petrolio, acquistati da aziende come BP e CNPC (China National Petroleum Company), il cui consorzio congiunto da solo fa 403 milioni di sterline (658 milioni di dollari) di profitto l'anno... ".

Il 6 febbraio 2003, Tony Blair dichiarava: "Lasciatemi trattare la questione del petrolio perché... la teoria della cospirazione del petrolio è onestamente una delle più assurde quando la si analizza. Il fatto è che se il petrolio posseduto dall'Iraq fosse la nostra preoccupazione, lasciatemi dire, probabilmente potremmo definire un accordo con Saddam domani, in relazione al petrolio. Non è il petrolio il problema, sono le armi... "

Tuttavia, durante la notte e questa mattina (mercoledì 18 giugno 2014), è sembrato che il complotto, l'illegale spartizione e la grande estorsione della principale risorsa irachena potesse ritorcersi contro di loro, visto che i ribelli dilagano nel paese ed è ampiamente documentato che controllino gran parte della più grande raffineria dell'Iraq. La BP ha evacuato il venti per cento del personale dai campi petroliferi del sud, anche se lontano da Baiji, e Exxon Mobil ha effettuato una "grande evacuazione".

Un migliaio di lavoratori cinesi sono rimasti intrappolati più a nord, con quarantanove membri del personale dell'ambasciata turca e altri cittadini turchi tenuti in ostaggio.

E' stata diffusa la notizia che i lavoratori stranieri siano stati trasportati in elicottero fuori da Baiji, ora pare quasi interamente sotto il controllo dei ribelli che "controllano le unità di produzione, gli edifici amministrativi e quattro torri di guardia. Vale a dire il settantacinque per cento della raffineria" (3). Le fiamme tuttavia si alzano ancora su alcune parti di questo vasto complesso. Mentre scrivo è appena arrivata notizia che l'impianto è sul punto di cadere interamente in mano ai ribelli (4).

Nel frattempo, poiché il "governo" iracheno (la maggior parte dei suoi componenti sono fuggiti via aeroporto dall'Iraq per il fine settimana), composto pressoché singolarmente dal "Primo ministro" Nuri Al Maliki - che non ha ancora formato un parlamento dopo le falsate elezioni del 30 aprile, da cui Anbar, il più grande governatorato dell'Iraq, è stato escluso - ha chiesto l'intervento aereo statunitense contro i "ribelli". Quindi, l'Iraq rischia di nuovo il bombardamento per la "pace" a causa del petrolio (vedi 4.). Illegalità, genocidio, follia.

L'Iraq è oggi designato al terzo livello nella scala dei disastri umanitari dalle Nazioni Unite.

Ironia della sorte, Baiji fu distrutta all'ottanta per cento nella prima guerra del Golfo del 1991. Nonostante il paralizzante embargo delle Nazioni Unite, a guida Usa-Uk, in cui non si riusciva ad ottenere alcun pezzo di ricambio, è stata ricostruita in circa due mesi.

Altra ironia della sorte, Baiji era il luogo dove gli ostaggi britannici catturati in Kuwait furono tenuti durante la prima Guerra del Golfo. Potrebbe ancora ospitare quel che resta del regime fantoccio degli Usa imposto all'Iraq.

Il complesso si trova in quello che gli occupanti statunitensi semplicisticamente chiamano "il triangolo sunnita", in gran parte sostenitore dell'ex Iraq laico, piuttosto che della tragedia settaria, la disastrosa assurdità aperta con l'invasione.

Tra petrolio e nazionalismo, sarà ancora la chiave del futuro dell'Iraq e fuggirà da quelli che vennero imponendo diktat assassini e il proprio despota su un "luogo lontano di cui (loro) non conoscevano nulla"?

Note

1. http://www.theguardian.com/environment/earth-insight/2014/mar/20/iraq-war-oil-resources-energy-peak-scarcity-economy
2. http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/secret-memos-expose-link-between-oil-firms-and-invasion-of-iraq-2269610.html
3. http://www.trust.org/item/20140618095550-d243x
4. http://www.theguardian.com/world/middle-east-live/2014/jun/18/iraq-crisis-maliki-sacks-officers-and-calls-for-national-unity-live-updates


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