www.resistenze.org - popoli resistenti - israele - 12-11-09 - n. 295

da www.renenaba.com  (in spagnolo su www.rebelion.org)
Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Israele in Africa, alla ricerca di un paradiso perduto (parte 2) - (parte 1)
 
Il legame tra sionismo e panafricanismo
 
di René Naba
 
12/10/2009
 
L’unione di sionismo e panafricanismo, le escrescenze dottrinali legate ai due punti neri dell’Occidente contemporaneo - la persecuzione degli ebrei e la tratta dei neri -, è stata per molto tempo appoggiata dai padri fondatori del sionismo desiderosi di fondare con i popoli africani una comunità di perseguitati. Leon Pinsker ne l’Autoemancipazione (1882), il filosofo Martin Bubber a capo del Die Welt, giornale dell’organizzazione sionista internazionale, di cui ha ricoperto il ruolo di caporedattore dal 1889 al 1901, e Golda Meir, primo ministro israeliano, hanno giustificato tale progetto. D’altronde ebrei e neri americani hanno a lungo costituito, con le confederazioni sindacali americane, l’ossatura del Partito democratico americano. Altrove, nel mondo occidentale, vengono regolarmente a galla tentativi di associare ebrei e neri in rivendicazioni comuni. Come il caso, ad esempio, della Francia dove il movimento anti-razzista «SOS-Racisme» opera in stretto accordo con l’Unione degli studenti ebrei della Francia.
 
La parola d’ordine Back to Africa (ritorno in Africa), pronunciata per la prima volta da Marcus Garvey, nel 1920, del resto era stata interpretata, all’epoca, da un buon numero di osservatori come l’equivalente africano della parola d’ordine sionista «ritorno a Sion». Ma il sogno di una fratellanza nella sofferenza si è infranto sulle amare constatazioni delle dure costrizioni legate alla Realpolitik. Inoltre, durante il periodo della decolonizzazione, Israele si è in realtà sistematicamente schierato dalla parte occidentale, vale a dire, dalla parte di coloro che gli africani consideravano degli oppressori coloniali, arrivando perfino ad organizzare con la Francia e il Regno Unito una «spedizione punitiva» contro l’Egitto, nel 1956, per stroncare l’appoggio alla rivoluzione algerina. Lo stesso tipo di comportamento si è verificato con il Sudafrica, dove lo stato ebraico, a dispetto della sua ostentata filosofia, è stato uno dei principali sostenitori del regime dell’apartheid, avviando con esso anche una cooperazione nucleare. Lo stesso è successo in Turchia, dove i superstiti del genocidio hitleriano hanno costantemente rifiutato di riconoscere ai superstiti armeni del genocidio turco, il primo genocidio del XX secolo, l’appellativo di «genocidio», sia per riguardo della loro alleanza strategica con la Turchia, sia per la preoccupazione di preservare il carattere esclusivo ed esemplare del genocidio hitleriano a vantaggio del inclinazione vittimistica della diplomazia israeliana.
 
Nel suo indimenticabile «Discorso sul colonialismo», Aimé Césaire ha denunciato il primato accordato dagli europei all’espiazione della colpa del genocidio hitleriano in una procedura volta a occultare quello che si stima essere il più grande genocidio della storia moderna, la schiavitù in africa e la tratta dei neri. La rottura tra ebrei e neri è avvenuta precisamente durante la decolonizzazione dell’Africa. Dimostrare un sostegno risoluto all’indipendenza di Israele e carbonizzare, allo stesso tempo, gli algerini a Sétif e a Guelma, uccidere a colpi di mitragliatrice i senegalesi-maliani a Thiaroye, i camerunesi e i malgasci nei loro paesi, per soffocare ogni velleità di indipendenza dei popoli africani, è parso aberrante a molti africani, che vi hanno visto il simbolo dell’accordo tra i paesi occidentali ed il nuovo stato ebraico nascente.
 
Israele è allora apparso come una creatura dell’Occidente, uno strumento di repressione nel Terzo mondo, il protettore di dittatori africani come Joseph Désiré Mobutu in Zaire e più recentemente Laurent Gbagbo in Costa d’Avorio.
 
L’Africa è in parte debitrice della sua indipendenza al Vietnam e all’Algeria. Senza la disfatta francese di Dien Bien Phu (1954), la prima sconfitta di un esercito bianco contro un popolo “di colore”, e l’emorragia della guerra d’Algeria, la colonizzazione dell’Africa sarebbe proseguita. Gli africani ne hanno la consapevolezza. Senza parlare della rottura collettiva delle relazioni diplomatiche dei paesi arabi con Israele, nel 1973, sulla scia della quarta guerra arabo-israeliana. Il Mali, ad esempio, ha, fin dalla sua indipendenza, inviato un contingente simbolico del suo giovane esercito per schierarsi a fianco dei combattenti algerini. Ed è stato uno psichiatra antillano, Frantz Fanon, che ha partecipato alla rivoluzione algerina, a teorizzare al meglio la nuova alleanza tra arabi e africani, stretta sotto l’impresa coloniale, in una strepitosa opera intitolata «I dannati della terra».
 
La rottura tra ebrei e africani ha portato alla nascita negli Usa del movimento dei “Blacks Muslims” e all’adesione all’islam di una frangia della comunità nera americana, in particolare di alcune personalità di spicco come il pugile Cassius Clay, alias Mohamad Ali, e verosimilmente Jermaine Jackson, fratello maggiore di Michael Jackson, il re della pop music e, sulla scena internazionale, a una convergenza arabo-africana. Nostalgico dei vecchi tempi, Israele, come un incantesimo, celebra ogni anno la festa dell’Africa, il 21 giugno, giorno della festa dell’estate, mentre ovunque nel mondo si celebra la festa della musica.
 
La Cina, un freno all’avanzata israeliana
 
L’ingresso della Cina come importante attore del continente, come testimonia il suo recente successo al G-20 di Pittsburgh (Usa), il 25 settembre 2009 (1), l’attrattiva di questo nuovo importante partner dell’Africa, senza un passato coloniale, ha modificato la situazione sul continente al punto da intralciare l’avanzata israeliana, ponendo la politica di apertura diplomatica israeliana in una situazione di instabilità nel confronto con quella del gigante cinese.
 
Attraverso l’Iran, il Sudan e l’Arabia Saudita, la Cina mira a render più sicuro il suo rifornimento energetico, per un valore di dieci milioni di barili al giorno nel 2010, al fine di sostenere la sua crescita e portare avanti con successo la posta in gioco più importante della sua iniziativa diplomatica, lo sviluppo sud-sud. Ma la crescita esponenziale dei suoi bisogni potrebbe acutizzare la tensione nella corsa al greggio e nei mercati petroliferi, rendendo più deboli le economie occidentali già destabilizzate dal crollo del sistema bancario. Il commercio bilaterale Cina-Africa è stato moltiplicato per 50, tra il 1980 e il 2005. Con 1.995 miliardi di dollari di riserve in valuta di cambio, una manodopera competitiva esportabile, la Cina ha già soppiantato la Francia e gli Stati Uniti come principale partner commerciale dell’Africa e si candida al ruolo di potenza mondiale.
 
La concorrenza tra Cina ed Europa in Africa ha portato 11 paesi africani produttori di materie prime a rivedere i contratti che dagli anni ‘90 li legano alle compagni sfruttatrici. Questo è il caso in particolare della Liberia (contratto per il ferro con Mittal), della Tanzania (alluminio), dello Zambia e del Sudafrica (platino e diamanti). Seguendo le orme dei produttori di petrolio, gli stati africani intendono guadagnare dall’impennata dei prezzi delle materie prime per procedere ad aggiustamenti nei prezzi rendendoli più conformi alle leggi di mercato. In questa lotta spettacolare sui «prezzi reali», il più avanzato è Joseph Kabila, presidente della Repubblica Democratica del Congo, un paese un tempo in crisi sotto il regno protetto da americani e francesi di Joseph Désiré Mobutu. Con un gesto di audacia insolita, Kabila Jr. ha rimesso in discussione non meno di 61 contratti minerari. Questo nuovo accordo permetterebbe alla Cina di essere in vantaggio nella battaglia per il controllo delle fonti di energia e spiegherebbe la discrezione nella penetrazione dei suoi capitali, facendone un fattore di ricomposizione della geografia economica mondiale (2).
 
Primo detentore di buoni del tesoro americani, per un valore di 727 miliardi di dollari, davanti al Giappone (626 miliardi di dollari), la Cina ha già messo le cose in chiaro, invitando, il 13 marzo, gli Stati Uniti a «onorare gli impegni, a comportarsi come una nazione nella quale avere fiducia e a garantire la sicurezza della liquidità cinese», con un ammonimento mai subito dalla potenza americana.
 
Il commercio degli Stati Uniti con l’Africa nel 2008 è arrivato a 104 miliardi di dollari, subendo un aumento del 28%, ma il commercio con la Cina nello stesso anno è balzato a 107 miliardi di dollari. Il commercio bilaterale Cina-Africa è stato moltiplicato per 50 tra il 1980 e il 2005, decuplicando il suo valore in un solo decennio (1998-2008).
 
La doppia tournée africana del presidente Barack Obama, a giugno 2009, e del segretario di stato Hillary Clinton, due mesi più tardi in agosto, come l’impiego massiccio di fondi filantropici americani, per un valore di 90 milioni di dollari in cinque anni, per favorire il funzionamento di 24 think tank di 11 paesi africani (3), testimonia la preoccupazione degli Usa di contenere la penetrazione cinese. Un quarto del rifornimento energetico americano per il prossimo decennio (2010-2020) proverrà dall’Africa.
 
La militarizzazione della politica estera americana in Africa, attraverso il programma AFRICOM (United States African Command) rispecchia inoltre l’incapacità degli Stati Uniti di gestire in modo esclusivamente economico la loro competizione con la Cina. In quest’ottica, alcuni strateghi occidentali non esitano a prevedere un confronto sempre maggiore per la leadership mondiale, all’orizzonte del 2030.
 
L’ostilità dimostrata da Israele verso i principali fornitori di energia della Cina, in particolare l’Iran e il Sudan, i legami creati da Israele con Abdel Wahed Nur, capo della Sudan Liberatory Army (SLA), in conflitto con Karthum, vicino a Bernard Kouchner, ministro degli esteri francese, costituiscono un grosso ostacolo alla penetrazione diplomatica israeliana in Africa, così come l’evoluzione dell’islam nell’Africa sub sahariana potrebbe frenare di molto l’avanzata israeliana in Africa, così come il suo bellicismo anti-palestinese, di cui beneficerà l’Iran, prima potenza emergente dell’emisfero sud ad accedere allo status nucleare a dispetto del blocco occidentale.
 
Abdel Wahed Nur, capo della Sudan Liberatory Army (SLA), che dispone di un ufficio di rappresentanza a Tel Aviv dal febbraio 2007, ha d’altronde affermato senza mezzi termini che se arriverà al potere a Khartum installerà un’ambasciata sudanese in Israele (4).
 
La Cina si è impegnata in una associazione militare con 43 paesi africani. Principale fornitore di armi leggere all’Africa tanto ai gruppi armati quanto ai governi, la Cina ha installato tre siti di fabbricazione, in Sudan, vicino a Khartum, e due fabbriche di munizioni e di armi leggere in Zimbabwe e in Mali. La cooperazione militare riguarda la fornitura di armi e la formazione del personale. Alcuni accordi di fornitura di apparecchiature militari sono stati conclusi con la Namibia, l’Angola, il Botswana, il Sudan, l’Eritrea, lo Zimbabwe, le Comore e la Repubblica del Congo.
 
La Cina non ha esitato a vendere al Sudan, in piena guerra civile, aerei caccia-intercettori F-7 e da trasporto Y-8, nello stesso periodo in cui le sue compagnie petrolifere erano impegnate nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Muglad. Queste vendite sono fatte la maggior parte delle volte da North Industry Corporation (NORINCO) e Polytech Industries, la più importante azienda di vendita d’armi dell’esercito cinese (5).
 
In totale, la Cina impiega per l’Africa il 45% dei suoi aiuti allo sviluppo, attuando una politica di investimento diversificata che ha permesso al continente africano di raggiungere un tasso di crescita del 6%, l’incremento più elevato degli ultimi 30 anni. Nel settore dei servizi, la Cina ha individuato otto stati africani come destinazioni turistiche ufficiali. Essa esporta il suo know how industriale e la manodopera, invia dottori e infermieri nel continente e forma funzionari, oltre che uomini d’affari. Si è impegnata nella formazione di 10.000 quadri africani tra il 2004 e il 2007, un progetto che si aggiunge agli scambi tradizionali già esistenti. Dal 1963, più di 15.000 dottori cinesi hanno lavorato nel continente, curando circa 180 milioni di malati affetti da AIDS e più di 5.000 studenti africani sono stati mandati a studiare nelle università cinesi.
 
L’Africa, per colpa dell’occidente, è il continente che ha conosciuto la più forte espropriazione della storia dell’umanità e continua a servire da discarica del pianeta e da sfogo ai suoi mali. Nella concezione degli occidentali e dei loro alleati israeliani il continente nero resta un terreno sperimentale privilegiato per la loro ricerca. È in Africa che si testano i medicinali, come prova il magnifico film inglese «The constant Gardener».
 
È sempre l’Africa che si vede distruggere la sua fauna e la sua flora per nutrire quotidianamente gli europei di pesce fresco, come dimostra il film «Darwin’s nightmare» e le devastazioni che causa il pesce persico del Nilo sull’ecosistema del bacino del lago Vittoria. È ancora l’Africa - ma non solo - che funge da deposito di rifiuti tossici come rivela lo scandalo del cargo panamense Probo-Kaola a Abidijan (Costa d’Avorio). È l’Africa infine che serve da continente dell’immigrazione scelta e dei disastri ecologici mirati, il continente dal patrimonio artistico saccheggiato per l’edificazione di grandi musei in onore della cultura universale, come è successo per il museo di Quai Branly in Francia, ma gli africani residenti in Europa sono rispediti nei paesi di origine a mo’ di rifiuti dell’umanità.
 
In questo contesto, quello che potrebbe compromettere maggiormente gli sforzi di avvicinamento tra Israele e Africa è la scelta inopportuna del delegato israeliano per questa operazione di seduzione: Avigdor Liebermann, un super falco conosciuto per la sua xenofobia, allontanato per questo dalla gestione degli affari del mondo arabo e dei paesi occidentali, in favore di Ehud Barak, il ministro della difesa israeliano, il cui trasferimento in Africa potrebbe apparire come un ripiego, un subappalto al ribasso del continente africano, il simbolo di un disprezzo supremo, un’azione ancora più sentita in Africa poiché proviene da un paese dal pesante passato segregazionista, ignorato per questo dal Sudafrica, l’autorità morale del continente.
 
Note
 
1- Il G-20 sta per sostituire il G-8 nella gestione dei problemi economici mondiali e i paesi emergenti aumentano il loro potere all’interno del Fondo Monetario Internazionale (FMI) a scapito dei paesi europei in virtù di un accordo concluso giovedì 24 settembre a Pittsburgh (Usa). Il compromesso rappresenta, prima di tutto, una vittoria della Cina, la prima a beneficiare della riforma delle istituzioni internazionali. La ripartizione del peso dei voti è stata giudicata non equa: la Cina (3,7% sul totale dei voti) pesava decisamente meno della Francia (4,9%) con un’economia una volta e mezzo più grande, secondo le stime del FMI.
 
2- «La République Démocratique du Congo tente d’empêcher le pillage de ses ressources: Manœuvres spéculatives dans un Katanga en pleine reconstruction», Colette Braeckmann in «Le Monde diplomatique», luglio 2009, oltre che lo studio di Raf Custers, ricercatore a l’International Peace Information Service (IPIS) di Anversa - Belgio, «l’Afrique révise ses contrats miniers » uscito lo stesso giorno nello stesso periodico francese.
 
3- Il Centro di ricerca per lo sviluppo internazionale (CRDI), la Fondazione William e Flora Hewlett e la Fondazione Bill e Melinda Gates il 12 maggio 2009 hanno annunciato a Dakar la concessione di una sovvenzione di 30 milioni di dollari americani in favore di 24 Think Tank nell’Africa dell’est e dell’ovest. I tre finanziatori si sono impegnati a stanziare 90 milioni di dollari in totale. L’iniziativa Think tank si propone di essere un investimento a lungo termine, su un periodo di tempo di meno di 10 anni. Per i primi cinque anni, il CRDI si è impegnato a versare 10 milioni di dollari, la Fondazione Hewlett e la Fondation Gates, entrambe, 40 milioni di dollari. I 24 Think Tank beneficiari appartengono agli 11 paesi seguenti:
 
• Benin, l’Institut de Recherche Empirique en Economie Politique (IREEP) 
•Burkina Faso, il Centre d’étude, de documentation et de recherche économique et sociale (CEDRES) 
•Etiopia, l’Ethiopian Development Research Institute (EDRI) e l’Ethiopian Economic Association/Ethiopian Economic Policy Research Institute (EEA/EEPRI) 
•Ghana, l’Institute of Economic Affairs (IEA) e l’Institute of Statistical, Social and Economic Research (ISSER) 
•Kenya, il Centre for Research and Technology Development (RESTECH Centre), l’Institute of Economic Affairs (IEA), l’Institute of Policy Analysis and Research (IPAR) e il Kenya Institute for Public Policy Research and Analysis (KIPPRA) 
•Mali, il Groupe de recherche en économie appliquée et théorique (GREAT) 
•Nigeria, l’African Institute for Applied Economics (AIAE), le Center for the Study of the Economies of Africa (CSEA), il Centre for Population and Environmental Development (CPED) e le Nigerian Institute of Social and Economic Research (NISER) 
•Uganda, l’Advocates Coalition for Development and Environment (ACODE), l’Economic Policy Research Centre (EPRC) e il Makerere Institute of Social Research (MISR) 
•Ruanda, l’Institute of Policy Analysis and Research (IPAR) 
•Senegal, l’Initiative prospective agricole et rurale (IPAR) e il Consortium pour la recherche économique et sociale (CRES) 
•Tanzania, African Technology Policy Studies (ATPS), l’Economic and Social Research Foundation (ESRF) ET Research on Poverty Alleviation (REPOA).
 
4- In un dibattito trasmesso il 10 ottobre 2008 sull’emittente televisiva sudanese Al-Arabiya, Abdel Wahed Nur, il leader del Movimento di liberazione del Sudan, ha assicurato che il suo movimento «proclama in modo deciso: se noi arriveremo al potere, apriremo un’ambasciata israeliana a Khartum ». Una conferenza sul Darfour era già stata indetta a giugno 2006, a Parigi, dallo scrittore Bernard Henry Lévy e Jacky Mamou, allora dirigente di «Medici senza frontiere », tre giorni dopo lo scoppio della guerra di distruzione israeliana contro il Libano in un tentativo di dirottamento dell’opinione pubblica europea sulle manovre israeliane a Beirut.
 
5- «L’évolution des relations de l’Union Européenne et de la Chine avec l’Afrique subsaharienne» di Joël Biova Dorkenoo, Ricerca ILERI – Paris (Institut des Relations Internationales) Automne 2008.
 
6- Caso di Probo-Koala: Come ha riportato il quotidiano The Guardian, giovedì 14 maggio 2009, i resti petroliferi a bordo di Probo-Koala, riversati nel 2006 nelle discariche di Abidjan, in Costa d’Avorio, che hanno provocato una decina di morti per avvelenamento, contenevano circa due tonnellate di solfuro d’idrogeno, un gas mortale in caso di forte inalazione. Un’analisi effettuata nei Paesi Bassi su un campione di circa 500 tonnellate di rifiuti della nave ha rilevato la presenza di grandi quantità di soda caustica. La società Trafigura, che ha noleggiato Probo-Koala, è oggetto di denuncia collettiva da parte di migliaia di cittadini ivoriani.