Se c'è un leader che l'attuale primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu segue, questo è Ze'ev Jabotinsky, il fondatore del sionismo revisionista, che costituisce la base del partito Likud.
Dal 2005, Israele ha una Giornata della memoria in onore di Jabotinsky (29 Tammuz, il giorno della sua morte il 4 agosto 1940, secondo il calendario ebraico). In occasione di una celebrazione del 2017, Netanyahu ha dichiarato: "Ho le opere di Jabotinsky sulla mensola e le leggo spesso". Ha ricordato al pubblico che conserva la spada del leader sionista nel suo ufficio.
In occasione del memoriale del 2023, Netanyahu ha dichiarato:
"Cento anni dopo che il 'muro di ferro' [iron wall] è stato impresso negli scritti di Jabotinsky, continuiamo ad attuare con successo questi principi. Dico 'continuiamo' perché la necessità di ergersi come un potente muro di ferro contro i nostri nemici è stata adottata da ogni Governo di Israele, sia di destra che di sinistra. Stiamo sviluppando strumenti difensivi e offensivi contro coloro che cercano di danneggiarci, e posso dirvi con certezza che non fanno distinzione tra questo o quel campo tra noi. Chiunque cerchi di danneggiarci su uno o più fronti, deve sapere che ne pagherà il prezzo. Continueremo ad opporci, con forza intransigente, agli sforzi dell'Iran di sviluppare un arsenale nucleare, e resteremo fermi contro i suoi sforzi per sviluppare fronti terroristici ai nostri confini - a Gaza, in Giudea e Samaria [Cisgiordania, ndt], in Siria e in Libano."
Questo avveniva in un momento di crescente tensione nella Cisgiordania occupata, dove in quell'anno gli israeliani avrebbero ucciso oltre 300 palestinesi, a partire da molto prima dell'attacco di Hamas del 7 ottobre al sud di Israele. Il 'Muro di ferro', che Netanyahu invoca, era un saggio del 1923 di Jabotinsky, in cui sosteneva che uno Stato ebraico poteva essere creato solo da una posizione di forza militare schiacciante, dimostrando con le armi ai palestinesi e agli Stati arabi che il sionismo non poteva essere sconfitto. Oggi sottolinea la posizione del governo di coalizione guidato da Netanyahu su come rispondere all'attacco di Hamas del 7 ottobre.
Sionismo di estrema destra
Il sionismo revisionista è stato fondato da Jabotinsky dopo aver rifiutato l'idea che la Gran Bretagna avrebbe concesso ai sionisti uno Stato ebraico, e si è invece schierato per la creazione di uno Stato e di un esercito ebraico. Durante la Prima guerra mondiale aveva fondato tre battaglioni della Legione ebraica, parte dei Fucilieri del Re dell'esercito britannico in Palestina, che combatterono nell'ultima parte della conquista della Palestina e della Siria da parte del Generale Allenby. Furono sciolti dai britannici nel 1920, poiché erano diventati effettivamente una milizia sionista impegnata nei combattimenti contro gli arabi. Sarebbero diventati la spina dorsale dell'Haganah, il principale gruppo armato sionista protagonista della Nakba del 1948.
Voleva che tutti gli ebrei europei emigrassero in Palestina e che lo Stato ebraico si estendesse a entrambe le sponde del fiume Giordano. Lo storico israeliano Benny Morris scrive:
"Nel 1925 fondò il Partito Revisionista (così chiamato perché cercava di 'rivedere' i termini del Mandato, in particolare per prevedere la reinclusione della Transgiordania [Giordania] nella Palestina mandataria). Egli creò anche il movimento giovanile del partito, Betar, che era caratterizzato da un aspetto (uniformi marrone scuro), da attività (esercitazioni in piazza d'armi e con armi da fuoco), da slogan e ideologia ("nel fuoco e nel sangue rinascerà la Giudea") e da una struttura (una rigida gerarchia) di tipo militare, a volte direi fascista. Jabotinsky ammirava Mussolini e il suo movimento e cercò ripetutamente l'affiliazione e l'assistenza di Roma".
Jabotinsky riassunse le sue convinzioni affermando:
"Non c'è giustizia, non c'è legge e non c'è Dio in cielo, ma solo un'unica legge che decide e sostituisce tutti i regolamenti".
Jabotinsky riteneva che gli arabi fossero implacabilmente ostili alla creazione di uno Stato ebraico e, di conseguenza, concludeva:
"Non possiamo promettere alcuna ricompensa né agli arabi della Palestina, né agli arabi fuori dalla Palestina. Un accordo volontario è irraggiungibile. Pertanto, coloro che considerano l'accordo con gli arabi come una condizione indispensabile del sionismo, devono ammettere a se stessi che questa condizione non può essere raggiunta e che quindi dobbiamo rinunciare al sionismo. Dobbiamo sospendere i nostri sforzi di insediamento o continuarli senza prestare attenzione all'umore dei nativi. L'insediamento può così svilupparsi sotto la protezione di una forza che non dipende dalla popolazione locale, dietro un muro di ferro che questa non potrà abbattere".
Nel suo saggio del 1923 intitolato "Il muro di ferro", Jabotinsky sostenne che gli arabi palestinesi non avrebbero accettato una maggioranza ebraica in Palestina e che:
"La colonizzazione sionista, anche quella più limitata, deve essere terminata o portata avanti in spregio alla volontà della popolazione nativa. Questa colonizzazione può, quindi, continuare e svilupparsi solo sotto la protezione di una forza indipendente dalla popolazione locale, un muro di ferro che la popolazione nativa non può sfondare. Questa è, in toto, la nostra politica nei confronti degli arabi. Formularla in altro modo sarebbe solo ipocrisia".
Ha poi spiegato le sue differenze con Chaim Weizmann e David Ben-Gurion, capi dell'Agenzia ebraica, il proto-governo sionista, in questo modo: "Uno preferisce un muro di ferro di baionette ebraiche, l'altro propone un muro di ferro di baionette britanniche...".
In effetti, nel 1936, dopo la grande Rivolta araba contro l'immigrazione sionista e il dominio britannico, Ben-Gurion era giunto a pensare allo stesso modo.
Entrambi si resero conto che gli arabi avrebbero continuato a combattere fino a quando avrebbero mantenuto la speranza di impedire la conquista del Paese da parte degli ebrei. Ed entrambi erano giunti alla conclusione che solo l'insuperabile forza militare ebraica avrebbe alla fine fatto disperare gli arabi e li avrebbe portati a scendere a patti con uno Stato ebraico in Palestina. Ben-Gurion non usò la terminologia del muro di ferro, ma la sua analisi e le sue conclusioni erano praticamente identiche a quelle di Jabotinsky.
Nel 1931, Jabotinsky fondò l'Irgun (Organizzazione militare nazionale in terra d'Israele), una milizia armata separata dalla più tradizionale Haganah, che secondo Jabotinsky doveva combattere sia le autorità britanniche che i palestinesi che resistevano alla colonizzazione. Nel 1937, passò dalla difesa dello Yishuv (comunità ebraica in Palestina) agli attacchi terroristici contro i Palestinesi.
Nel dicembre 1937, un membro dell'Irgun lanciò una bomba a mano contro un mercato di Gerusalemme, uccidendo e ferendo decine di persone. Ad Haifa, nel marzo 1938, membri dell'Irgun e di Lehi (la banda Stern) lanciarono granate nel mercato, uccidendone 18 e ferendone 38. Più tardi nello stesso anno, sempre ad Haifa, l'Irgun fece esplodere dei veicoli con trappole esplosive nel mercato, uccidendone 21 persone e ferendone 52.
Le due operazioni per le quali l'Irgun è più conosciuto sono il bombardamento dell'Hotel King David a Gerusalemme, sede dell'amministrazione britannica, in cui furono uccise 91 persone, arabi, ebrei e britannici, e il massacro di Deir Yassin dell'aprile 1948, che uccise almeno 107 abitanti di villaggi arabi palestinesi, tra cui donne e bambini, compiuto insieme a un altro gruppo terroristico Lehi, o la Banda Stern. In quel periodo, Jabotinsky era già morto, essendo deceduto per un attacco cardiaco durante una visita negli Stati Uniti nell'agosto del 1940.
Il padre di Benjamin Netanyahu, Benzion, era un attivista del movimento revisionista di Jabotinsky, editore delle sue pubblicazioni e segretario privato del leader. Nel 1993, anno in cui Benjamin Netanyahu fu eletto leader del Likud, pubblicò anche un libro, "Un posto tra le nazioni: Israele e il mondo". Il libro cercava di dimostrare che non erano gli ebrei ad aver preso la terra dagli arabi, ma gli arabi ad averla presa dagli ebrei. Netanyahu vedeva le relazioni di Israele con il mondo arabo come un conflitto permanente, come una lotta senza fine tra le forze della luce e le forze delle tenebre. Ha affermato:
"La violenza è onnipresente nella vita politica di tutti i Paesi arabi. È il metodo principale per affrontare gli avversari, sia stranieri che interni, sia arabi che non arabi".
Per Netanyahu, non c'era alcun diritto all'autodeterminazione per i palestinesi e non poteva esserci alcun compromesso con loro, perché erano pronti a liquidare Israele. In un capitolo intitolato "Il muro", sostiene che Israele deve espandere la sua posizione militare nelle alture del Golan e in quella che lui chiama Giudea e Samaria - la Cisgiordania - ed esercitare un controllo militare su quasi tutto il territorio a ovest del fiume Giordano.
La sua conclusione è la soluzione di uno Stato unico, dal fiume al mare:
"Suddividere questa terra in due nazioni instabili e insicure, cercare di difendere ciò che è indifendibile, significa invitare al disastro. Separare la Giudea e la Samaria da Israele significa dividere Israele".
In risposta agli Accordi di Oslo, il 5 settembre 1993 scrisse un articolo per il New York Times, intitolato "Peace In Our Time" (Pace nel nostro tempo), facendo riferimento all'affermazione di Neville Chamberlain al suo ritorno da Monaco nel settembre 1938, dopo aver accettato di dividere la Cecoslovacchia con Hitler. In esso respinse l'intera proposta di uno Stato palestinese in Cisgiordania, affermando: "Uno Stato dell'OLP in Cisgiordania priverebbe lo Stato ebraico del muro difensivo delle montagne della Giudea e della Samaria conquistato nella Guerra dei Sei Giorni, ricreando un Paese largo dieci miglia, aperto agli eserciti invasori provenienti da est". Ha poi aggiunto che l'OLP avrebbe usato questo Stato per fomentare un assalto arabo alleato contro uno Stato ebraico ridotto. Aggiungendo, "per due decenni Yasir Arafat ha sostenuto questo piano".
Nel 1996 Netanyahu dichiarava senza mezzi termini: "La forza è una condizione per la pace. Solo un forte profilo di deterrenza può preservare e stabilizzare la pace". Dopo la sua prima vittoria elettorale, ha dichiarato: "Il governo si opporrà alla creazione di uno Stato palestinese indipendente e si opporrà al 'diritto al ritorno' della popolazione araba nelle parti della Terra d'Israele a ovest del Giordano". Aggiungeva poi che il suo governo "agirà per consolidare e sviluppare l'impresa degli insediamenti" e che "Gerusalemme unita, la capitale di Israele... rimarrà per sempre sotto la sovranità israeliana".
Oggi, Netanyahu è il primo ministro israeliano di più lunga data. La prima volta è salito al potere nel 1996 e ha svolto un mandato di tre anni prima di essere sostituito da Ehud Barak. Tornerà al potere nel 2009 e poi resterà in carica per quattordici degli ultimi quindici anni.
Netanyahu e il suo governo si oppongono alla creazione di uno Stato palestinese, sostengono l'espansione degli insediamenti ebraici illegali nei Territori palestinesi occupati, desiderano annettere la Cisgiordania e hanno introdotto una legge che nega l'uguaglianza alla minoranza palestinese autoctona nello Stato ebraico. Soprattutto, desiderano che i Palestinesi accettino di aver subito una sconfitta storica e accettino il controllo sionista della Palestina. La pace può solo seguire una sconfitta totale.
Spesso si dice che Netanyahu ha bisogno che l'attuale guerra a Gaza continui perché, se finisse, la sua carriera politica finirebbe con essa. C'è del vero in questo, ma non è l'unica ragione.
Il 7 ottobre, Israele ha perso ciò che Netanyahu e i suoi colleghi di gabinetto avevano di più caro: la deterrenza militare. Improvvisamente Israele è apparso vulnerabile. L'istinto del suo governo e dei comandanti dell'IDF è quello di infliggere la massima ritorsione al popolo di Gaza per dissuadere chiunque dal ripetere quell'attacco. Questo è il "muro di ferro" nell'Israele di oggi. Ma nonostante l'uccisione di oltre 30.000 persone, per la maggior parte civili e un terzo bambini, e lo spianamento di Gaza, si è visto che Netanyahu ha fallito nella sua promessa di "annientare" Hamas; sono ancora in piedi, resistono ancora.
A livello internazionale, la guerra a Gaza ha portato un'ondata di repulsione contro Netanyahu e sodali, ma non in Israele, dove i sondaggi e i risultati delle elezioni locali mostrano una grande maggioranza a sostegno del Likud e dei suoi alleati di destra. Netanyahu e i suoi sostenitori vogliono continuare la guerra e stanno pensando di estenderla affrontando Hezbollah, nella convinzione di poter ottenere una vittoria sfuggente per ripristinare la deterrenza. Si tratta, ovviamente, di una chimera ossessiva. Hezbollah è molto più forte e meglio armata di Hamas, ha avuto il tempo di prepararsi e, nel 2006, ha fatto sanguinare il naso all'IDF.
Netanyahu è guidato dalla sua fede nel 'Muro di Ferro'. La sua è la logica al centro del sionismo. Ma il muro è arrugginito. Israele non sembra invincibile. L'orologio della storia sta ticchettando per il sionismo.
*) Chris Bambery è autore, attivista e commentatore politico e sostenitore di Rise, la coalizione della sinistra radicale in Scozia.
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