Elezioni parlamentari in Kirghizistan
L'onda della "rivoluzioni di velluto" raggiungerà l'Asia centrale?
di Fabrizio VIELMINI
Il successo della "rivoluzione arancione" d'Ucraina sta influenzando
lo sviluppo della situazione politica nell'insieme dello spazio post-sovietico.
Applicato dapprima a Belgrado nel 2000 e poi in Georgia un anno fa, il
meccanismo volto a sovvertire i sistemi politici fuoriusciti dalla transizione
post-comunista facendo leva sul malcontento della gioventù e delle élite
emergenti esclusi dal potere minaccia ora d'estendersi all'Asia centrale, con
conseguenze potenzialmente gravi per la stabilità regionale.
Coordinati da Kiev e Tbilisi con l'attivo sostegno dei loro sponsor
occidentali, gli aspiranti rivoluzionari post-sovietici si stanno concentrando
in questi giorni in Kirghizistan in vista delle elezioni parlamentari del 27
febbraio, preludio del rinnovo della presidenza, previsto per il prossimo
ottobre. Il paese presenta in effetti tutte le condizioni atte a favorire una
nuova "rivoluzione di velluto". Nei 13 anni successivi alla scomparsa
dell'URSS, la vita politica ed economica è stata monopolizzata dalla cerchia
del presidente Askar Akaiev, mentre le condizioni sociali non hanno cessato di
degradarsi. Da tutti considerato il primo responsabile di tale degrado, Akaev è
non di meno percepito dalla maggioranza quale una garanzia di stabilità in un
paese attraversato da profonde fratture etniche e regionali e circondato da
numerosi conflitti, in atto o latenti. La principale risorsa d'Akaiev sta
nell'avere di fronte un' opposizione frammentata e priva di concreti programmi
politici, la quale è riuscita a compattare i suoi ranghi in vista del confronto
elettorale solo grazie al sostegno delle differenti agenzie US e delle migliaia
di ONG occidentali presenti in Kirghizistan.
La sorte di Akaiev preoccupa in primo luogo la Russia, bruciatasi nella
campagna elettorale ucraina e per la quale il Kirghizistan rappresenta un pezzo
centrale del proprio dispositivo militare e geopolitico in Asia centrale.
Nervosismo anche in Cina, dove si teme un'espansione della presenza bellica
americana, installatasi nella repubblica confinante dopo l' 11 settembre.
Il confronto elettorale kirghizo ha già messo in fermento tutto il resto della
regione. Gli autocrati centrasiatici stanno applicando misure repressive
preventive contro le opposizioni e le organizzazioni finanziate dagli USA. La
rinnovata stretta da parte del vertice crea reazioni di segno contrario. Il 29
gennaio l'opposizione radicale del Kazakistan ha portato in piazza un migliaio
d'attivisti (cifra considerevole per gli standard politici regionali) in
presenza di responsabili dei sommovimenti ucraini giunti apposta da Kiev.
Lunedì, una serie di bombe è esplosa nella capitale del Tajikistan, dove il 27
si voterà ugualmente per il rinnovo del parlamento.
In definitiva, in caso di degradazione della situazione in Kirghizistan, ad
essere in forse sarà la tenuta di tutta l'Asia centrale, dove l'Afghanistan
continua ad essere un problema aperto.