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da Oltre confine n. 11 del 12/02/2009 - Newsletter settimanale del Dipartimento Esteri del PdCI
 
“Kirghigistan chiude base militare Usa, vediamo perché”
 
di Marco Zoboli dip. Esteri PdCI
 
La base aerea militare di Manas, ubicata vicino alla capitale Bishkek, a breve chiuderà i battenti. Questa base aerea che conta la presenza di 1.000 soldati statunitensi e che rappresenta un nodo di movimentazione truppe importantissimo per il fronte afgano (170.000 militari e 5.000 tonnellate di rifornimenti sono stati movimentati per mezzo della base solo l'anno passato), dovrà essere evacuata entro i prossimi sei mesi, con gravi ripercussioni di carattere logistico per i piani di Washington di aumento del contingente militare e del potenziale bellico. Il segretario dell'ufficio stampa della Casa bianca, Robert Gibbs, ha definito la base di Manas come "vitale" per la guerra in Afghanistan e ha esortato il presidente a cercare di rimediare a detta situazione.
 
L'aumento delle truppe in Afghanistan di 30.000 unità più volte annunciato dallo stesso Obama e caldeggiato da sempre dal capo del Pentagono, Robert Gates, rappresenta per la Russia una chiara minaccia militare. Lo stesso presidente Medveded ha ricordato che sarebbe semplice se bastasse un'iniezione di un numero così relativamente basso di truppe di terra per risolvere la debacle militare che Usa e NATO stanno subendo nel pantano afgano.
 
Mosca ha interpretato correttamente i piani di Washington di costruire nuove basi militari orientate non alla guerra contro i talebani, ma alle strategie del pentagono che puntano d'influenzare l'esuberanza russa e cinese nell'area. I fucili puntati non piacciono a nessuno... tanto meno se nelle suddette enclave un domani verranno posizionati ordigni nucleari.
 
La risposta di Mosca comunque come abbiamo visto non si è fatta attendere e va ben oltre la chiusura della base di Manas. In concomitanza dell’annuncio si è svolta a Mosca il vertice dell’OSCT (Organizzazione Trattato Sicurezza Collettiva), che racchiude buona parte dei paesi dell’ex Unione Sovietica (Armenia,Bielorussia, Kazakistan, Kirgikistan, Uzbekistan, Tagikistan e Russia), nel quadro dell’incontro si è deciso di creare una “forza di reazione rapida”, composta come asse portante da 10.000 paracadutisti che in parte verranno stanziati proprio nella base di Manas una volta sgomberata dagli attuali inquilini.
 
Molti osservatori internazionali hanno ironizzato sul prestito in parte a fondo perduto che la Russia ha erogato al Kirghigistan di 2 miliardi di dollari, come se fosse stata una mera moneta di scambio, confondendo quindi la causa con l’effetto. Poco si è detto invece dello stanziamento di dieci miliardi di dollari in un fondo di assistenza congiunto per affrontare gli effetti della crisi economica globale, come nulla è stato detto sull’istituzione di un centro d’interscambio di alta tecnologia finalizzato ad elevare le capacità tecnologiche dei paesi sia in campo civile che militare.
 
E’ sotto gli occhi di tutti che stiamo assistendo a una polarizzazione geopolitica dagli effetti imprevedibili. E’ importante capire ciò che sta avvenendo con una forte lucidità, scevra da romanticismi a cui una certa sinistra nostrana ci ha abituato. Obama è un presidente di colore ma non è nato nel Bronx e non rappresenta gli interessi del proletariato statunitense, al contrario saprà rappresentare al meglio quelli della borghesia e dell’imperialismo che lo sostengono.
 
L’attuale crisi economica renderà ancor più aggressiva la politica statunitense che dovrà lottare con unghie e denti per mantenere le posizioni egemoniche che sta rischiando di perdere sotto il peso delle proprie contraddizioni. La conflittualità attuale in Afghanistan potrà trasformarsi a breve in terreno di scontro con la frontiera delle potenze emergenti di Russia e Cina e delle relative aree d’influenza. Le barbarie si avvicinano. Noi comunisti dobbiamo elaborare risposte all’altezza delle sfide che ci aspettano; riconquistare credibilità nei confronti dei lavoratori e delle masse è la base di partenza di un lungo percorso difficile e impervio per una nuova mobilitazione rivoluzionaria di fronte la crisi sistemica che stiamo vivendo e i cui effetti sono lungi dall’essersi ancora resi manifesti. La prima tappa è quella di unire i comunisti e unire le lotte.