www.resistenze.org - popoli resistenti - libano - 21-10-14 - n. 516

La situazione in Libano e nella regione araba

(90° anniversario del PCL, Parigi 15 ottobre 2014)

Partito Comunista Libanese | lcparty @ lcparty.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

21/10/2014

Il mondo arabo si trova oggi di fronte a due strade. La prima è quella delle rivolte e delle rivoluzioni popolari, che in Egitto e Tunisia hanno fatto cadere i capi dei regimi sostenuti dall'imperialismo e che cercano di lavorare in favore di riforme e cambiamenti in molti paesi, compresi alcuni paesi del Golfo come Kuwait e Bahrain per esempio, anche se taluni tentano di dare al movimento bahreinita caratteristiche sciite filo-iraniane, dimenticando così la coalizione nella quale i comunisti e gli altri democratici sono ben presenti sia con i loro militanti, sia con il loro programma.

La seconda è invece quella seguita dalle forze della controrivoluzione che, sotto l'egida dell'imperialismo, di quello statunitense in particolare, stanno cercando con tutti i mezzi di riconquistare le posizioni perdute e di consolidare quelle traballanti di emirati, monarchie o repubbliche delle banane che l'ex colonialismo britannico (e francese) aveva istituito sotto il segno di due caratteristiche: un completo asservimento sul piano politico e un'economia di rendita basata sui redditi da petrolio e gas, la maggior parte dei quali utilizzata per l'acquisto di armi sofisticate (il cui uso è interdetto senza il parere degli Stati Uniti), ma anche per finanziare gruppi terroristici (dal wahhabismo al Daech [lo Stato islamico, ndt], passando per Al Qaeda), mentre l'altra parte viene divisa tra le famiglie regnanti. Per contro, nulla è stato previsto per lo sviluppo e molto poco per le conquiste sociali (chiamate doni del re, dell'emiro o del presidente a vita).

In questo contesto, possiamo aspettarci che almeno per un decennio l'intera regione araba sarà teatro di conflitti sanguinosi. Il Libano, a causa della sua posizione strategica (ventre molle della Siria e opposizione all'ingerenza di Israele), ma anche economica (la scoperta di gas e petrolio, oltre alla sua rilevanza bancaria e finanziaria), è il paese che riunisce in sé tutte le contraddizioni del mondo arabo, in particolare sul piano confessionale. Possiamo quindi attenderci che sarà il più colpito dagli eventi che si svolgono ai suoi confini, ma anche in Iraq, e dalla guerra civile.

Fra le questioni che si evidenzieranno nel corso di questo periodo, si possono citare le seguenti:

- In primo luogo, il terrorismo, pur assumendo l'aspetto di lotta religiosa, è, in realtà, un prodotto diretto della crisi del capitalismo oltre che un sostegno a tutte le forme di aggressione e di dittatura in Medio Oriente, a cominciare da Israele e dai regimi decaduti in Egitto e Tunisia, senza dimenticare la Turchia, l'Arabia Saudita o le altre monarchie e repubbliche islamiche. Inoltre, l'imperialismo ha spesso usato il terrorismo come alibi per investire la regione ed è proprio questo lo scopo del nuovo intervento imperialista, travestito da lotta contro il terrorismo che lo stesso imperialismo ha aiutato creare, dall'Afghanistan, dove il suo ruolo era quello di destabilizzare la presenza sovietica e il governo afgano, fino all'Iraq e alla Siria, dove ha il compito di creare focolai di tensioni settarie (sunniti-sciiti) che devino l'attenzione da ciò che accade nella Palestina occupata, da un lato, e dal pericolo rappresentato da Israele e dalle sue politiche in Palestina, Libano, Siria, Iraq e Sud Sudan, dall'altro.

- Questo nuovo intervento mira quindi a cambiare le frontiere stabilite alla fine della Seconda guerra mondiale e dopo la spartizione della Palestina, soprattutto alla luce delle scoperte dei nuovi e grandi giacimenti di petrolio e gas nel bacino orientale del Mediterraneo, nelle acque territoriali libanesi e in quelle di Gaza in particolare, e che le compagnie petrolifere Usa stanno cercando di accaparrarsi con l'aiuto dell'alleato israeliano, da un lato, e turco, dall'altro. In questo quadro vanno collocati i tentativi di Israele, appoggiati dagli Stati Uniti, di liquidare la causa palestinese attraverso le guerre continue, i blocchi e il trasferimento, soprattutto nel Naqab [Negev].

- A ciò si aggiungono le aree di tensione in Iraq e Siria, le cui due crisi crediamo saranno lunghe e sanguinose non solo a causa dei gruppi terroristici islamici e dei trasferimenti forzati della popolazione, ma anche per l'intenzione di riformare la struttura di questi paesi chiave, dividendoli entrambi in tre mini-stati. Tale divisione è più delineata in Iraq, mentre Washington, aiutata da Arabia Saudita, Qatar e Turchia, che prepara delle nuove frontiere in Siria pensa di far crollare il paese giocando le due carte de "l'esercito libero" e dei terroristi.

- Questo ci porta a parlare del progetto denominato "Nuovo Medio Oriente", basato sulla creazione di nuovi mini-stati esclusivamente su basi di appartenenza religiosa o, per megli dire, confessionale; un nuovo Medio Oriente in cui verrà sprofondato il mondo arabo e dove le basi potranno essere solo religiose. Proprio come sarà per Israele, lo "Stato degli ebrei nel mondo", al centro di un mondo arabo disintegrato, quindi inesistente. Basta leggere i commenti di due ministri degli esteri degli Stati Uniti, Zbigniew Brzezinski e Henry Kissinger, per avere una chiara idea di quanto stia avvenendo in questa regione, importante economicamente in un mondo capitalista in crisi e, a livello geo-strategico, in un mondo dove il monopolio della leadership di Washington cede il passo al bipolarismo incarnato dai BRICS. Per non parlare dei paesi riuniti intorno all'Accordo di Shanghai e ai nuovi accordi in Eurasia.

Tuttavia, il bersaglio principale rimane il movimento di liberazione che si è creato nel mondo arabo dopo il gennaio 2010 e la presenza della sinistra che si fa sempre più tangibile sia nei fronti che abbiamo visto nascere in Tunisia, Egitto, Sudan, Giordania, Kuwait, ecc., sia con la creazione del "Forum della sinistra araba".

Questo è il motivo per cui il PCL ritiene che il mondo arabo, nonostante la punta dell'iceberg dia l'impressione che in Medio Oriente sia in atto una guerra globale contro il terrorismo, si trovi all'inizio di una rivoluzione nazionale democratica, data la stretta relazione tra le questioni in gioco rispetto alla liberazione, al progresso e allo sviluppo. Liberazione e cambiamento.

Ecco il motivo per cui abbiamo iniziato il nostro intervento parlando delle rivolte e dell'impatto che continuano ad avere, anche se la questione più urgente da contrastare oggi è il fronte anti-terrorismo che deve porre fine a tutte le forme di terrore, soprattutto in Libano, molto influenzato dalla situazione siriana. Terrorismo che fa parte del nostro paese soprattutto a causa della guerra che i terroristi portano ai nostri confini e delle cellule terroristiche nascoste tra civili siriani fuggiti dal loro paese in più di un milione e mezzo.

Inoltre, il terrorismo approfitta del fatto che il sistema politico libanese si basa sulle quote religiose e settarie e che le istituzioni sono quasi completamente paralizzate dal fatto che le due fazioni della borghesia (quella legata all'Arabia Saudita e quella legata a Siria e Iran) sono coinvolte nella guerra in Siria e attendono il corso degli eventi prima di rinnovare gli organi dirigenti che li rappresentano. Quindi, viviamo senza presidente della Repubblica, senza parlamento eletto e con una governo diviso in parti uguali tra le due fazioni, incapaci quindi di prendere una decisione senza l'approvazione di tutti i suoi membri.

In una tale situazione, e data la definizione di questo periodo come un periodo di rivoluzione democratica nazionale, che collega la liberazione alla lotta politica e sociale, il PCL ritiene che la lotta per realizzare questa rivoluzione debba prendere in considerazione l'approntamento di un programma politico-socio-economico che possa soddisfare le aspirazioni del popolo libanese e aiutare la lotta dei popoli arabi e, per estensione, dei popoli del Medio Oriente.

Perché crediamo che il cambiamento nel nostro paese debba tener conto sia dei fattori interni che di quelli esterni e che la generalizzazione dell'offensiva terroristica, quella imperialista diretta come quella condotta dai gruppi islamici che vogliono stabilire il califfato, debba spingere anche le forze della democrazia e del cambiamento a coordinare gli sforzi per farla finita con i progetti imperialisti e di altri e riprendere in mano la gestione del futuro dei nostri popoli consentendogli di beneficiare delle ricchezze racchiuse nella nostra terra. Ricchezze rubate dalle oligarchie e in particolare dall'imperialismo a cui sono subordinate.


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