www.resistenze.org - popoli resistenti - libano - 20-10-15 - n. 561

Il movimento popolare libanese e le basi dello stato laico

Marie Nassif-Debs * | An Nidaa - rivista bimestrale
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

02/10/2015

Per il secondo mese consecutivo, il movimento di rivendicazione popolare prosegue nella sua avanzata, superando tutti gli ostacoli che l'oligarchia finanziaria libanese - rappresentata dal potere politico - cerca di mettere sulla sua strada, a cominciare dalle campagne di disinformazione nei confronti di taluni suoi componenti, la repressione, gli arresti arbitrari e soprattutto le minacce contro i funzionari che hanno aderito alle sue fila.

Va detto che questa determinazione ad andare avanti degli attivisti del movimento, nonostante i pericoli che li circondano e gli attacchi contro i partiti politici che li sostengono, è la conseguenza inevitabile delle pene subite dalla fine della guerra civile (1990) e del fallimento degli accordi di Taif [che nel 1989 chiudono la guerra civile, ndt], che dovevano, in linea di principio, facilitare le riforme politiche in seno al regime ma che non hanno fatto altro che ridisegnare i confini tra le diverse fazioni religiose, paralizzando di conseguenza tutte le istituzioni costituzionali. Noi crediamo che il nuovo "tavolo di dialogo" tra i diversi partiti della "classe politica", che è stato ripreso dal presidente della Camera per fare fronte al movimento, non saprà trovare un rimedio efficace al male che consuma il regime politico libanese.

Possiamo quindi prevedere che il movimento proseguirà e si intensificherà nel futuro, per realizzare quelle parole d'ordine rivendicate dalle masse sin dal primo giorno: "Uno stato laico, uno stato sociale".

Cosa significa questo slogan e quali sono i suoi obiettivi?

Se torniamo agli accordi di Taif e alle loro ripercussioni sulla situazione politica attuale, si può dire che le quote confessionali sono state rafforzate al punto che l'amministrazione pubblica e i servizi di base che il settore pubblico fornisce si sono trasformati in fonti di profitto distribuito tra le diverse fazioni politiche al potere, ma anche tra i loro parenti e scagnozzi. Così, elettricità, acqua e anche i rifiuti costituiscono le basi d'accesso a profitti colossali generati con la scusa di riformare tali servizi attraverso la partecipazione del settore privato, reputato più dinamico e di conseguenza capace di fornire soluzioni magiche a problemi gravi o irrisolvibili.

Se quindi non va dimenticato che la privatizzazione di questi settori è stata decisa per mettere le mani sulle proprietà pubbliche, in particolar modo su quelle costiere, occorre anche tenere presente che mafie di ogni tipo stanno facendo sentire la loro presenza in settori come quello ambientale, la sanità e l'istruzione. Nel frattempo, mentre i miasmi della corruzione si diffondono dappertutto, nei settori pubblico e privato, il Paese cade nelle mani delle grandi banche private e delle società finanziarie. E mentre il debito pubblico aumenta in modo visibile, il numero di quelli sotto la soglia di povertà continua a crescere, soprattutto tra i giovani e le donne (quasi il 30%), come cresce la tendenza alla pauperizzazione per l'arrivo di oltre 1,5 milioni di rifugiati siriani a cui dobbiamo aggiungere circa 500mila palestinesi stipati in campi malsani, in un Paese che conta 4,5 milioni di libanesi.

Va aggiunto che questa situazione di crisi acuta è amplificata da una crisi del regime politico in cui si mescolano l'attuale bipolarismo confessionale in opposizione ad altre forme, tra cui quella di una troika comprendente gli emiri sunniti, sciiti e maroniti, ma anche quella dei mini-stati nello stato, con il progetto definito "ortodosso" in cui i membri di ogni fede sono eletti dai soli libanesi appartenenti a quella religione. Ma la cosa più tragica è che tutte queste dispute, per essere risolte, devono attendere la volontà delle due grandi potenze regionali che dominano il Golfo, insieme a quanto sta accadendo in Siria o, addirittura, ai risultati che otterranno le "coalizioni internazionali" di tutti i generi, formate, a loro dire, per lottare contro il terrorismo chiamato Daesh [Stato islamico], creato proprio da coloro che si battono per prevenire ogni possibilità di cambiamento in Medio Oriente e che si aggiunge ad un altro terrorismo, quello di Israele contro i palestinesi.

Qualcuno potrebbe dire, forse, che allarghiamo troppo lo sguardo e che collegare la crisi libanese a tutto quanto accade nella regione non ci porta a una soluzione. Ma costoro non sanno che tutte le condizioni per il cambiamento erano già presenti nel 1975-1976 e nel 1984 (dopo il fallimento di un accordo tra il presidente Amin Gemayel e Israele) senza che il popolo libanese sia riuscito, finalmente, a farla finita una volta per tutte con il sistema politico confessionale e che questi fallimenti furono dovuti a un intervento diretto, ora della Siria, ora di Israele, con l'avallo degli Stati Uniti e dei paesi arabi che attorno a loro gravitavano... Così, allargare la visuale ci permette di vedere meglio e di trovare la giusta soluzione, e la soluzione giusta per noi passa da una nuova legge elettorale e da un movimento popolare che sa dove andare durante questo periodo di transizione.

Periodo di transizione che non pone la questione del cambiamento finale.

In effetti, se dovessimo tornare agli slogan del nostro attuale movimento e al programma che li accompagna, vedremmo chiaramente che essi includono importanti riforme, ma non la richiesta di un cambiamento radicale, vale a dire l'eliminazione del regime e la sua sostituzione con uno di sinistra. Inoltre, la maggior parte delle forze politiche coinvolte in questo movimento, con poche eccezioni, non ha chiarito la propria posizione rispetto al tipo di cambiamento.

Questo è in gran parte visibile nel programma sociale le cui rivendicazioni ruotano intorno ai seguenti punti:

- Il recupero da parte dei comuni delle loro competenze, in particolare sul piano ambientale, al fine di porre fine a tutti i problemi riguardanti l'ecologia (pulizia), che sono costati diversi miliardi di dollari senza imboccare la strada giusta.
- La messa a punto di una soluzione ai problemi legati all'energia elettrica e all'acqua.
- La riforma della sicurezza sociale e la salvaguardia del diritto al lavoro, all'istruzione e alla casa.
- Una nuova scala salariale che tenga conto del tasso di inflazione, inflazione che imperversa ormai dal 1996 (data dell'ultimo aumento dei salari).
- La garanzia del diritto dei giovani al lavoro, che impedirebbe la loro massiccia emigrazione.
- Il diritto delle donne libanesi di trasmettere la nazionalità ai propri figli.

Allo stesso modo, se si considera la definizione di stato laico e il suo elemento fondamentale, la legge elettorale, vedremo che la maggior parte delle forze politiche già menzionate è d'accordo sulla clausola proporzionale e sull'abolizione delle quote confessionali, ma non ancora sulla circoscrizione unica o sul voto a 18 anni, o, in particolare, sul diritto alla quota femminile al fine di rafforzare la presenza delle donne negli organi politici decisionali.

Queste differenze nella concezione di un programma minimo non sono, è vero, un grande ostacolo impossibile da superare allo stato attuale delle cose. Esse esprimono, in ogni caso, le differenze tra le forze sociali che compongono il movimento popolare (così come il loro posto nella produzione), ma anche le basi politiche e ideologiche con cui tali forze valutano, da angolazioni diverse, la natura del cambiamento e, di conseguenza, i mezzi da utilizzare per imporre una soluzione indirizzata alla creazione dello stato libanese auspicato.

Ciò significa che il movimento popolare richiede molta attenzione, per evitare che alcuni suoi componenti possano nuocere cercando di bruciare le tappe. Ciò ci spinge a riconsiderare le varie lotte politiche e socio-economiche effettuate dal 2011 e le cause del loro fallimento... Dobbiamo anche tenere in considerazione che la "classe politica" non ha utilizzato, fino ad ora, tutte le armi in suo possesso, in particolare quella di infiltrarsi nel movimento e di farlo implodere creando dissensi tra i suoi componenti, cosa che lascia presagire una campagna di disinformazione dei media, ma anche l'ingerenza di alcune ambasciate (compresa quella Usa) negli affari interni del paese, a volte legate a campagne giudiziarie e a volte alla bellicosità confessionale della classe dirigente, di cui alcuni sono amici dichiarati di Israele e credono di spaventarci ripetendo gli slogan della "difesa del Libano contro ogni slittamento a sinistra"...

A costoro diciamo che la resistenza contro l'occupante non è finita, perché la salvaguardia della liberazione della nostra terra passa per il cambiamento.

E così, unendo liberazione e cambiamento, potremo creare una solida base su cui costruire quello stato democratico e laico in cui le condizioni oggettive siano rispettate.

Beirut, 2 ottobre 2015
Editoriale della rivista "An Nidaa"

*) Marie Nassif-Debs, Segretario generale aggiunto del Partito Comunista Libanese, responsabile per le questioni internazionali.


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