www.resistenze.org - popoli resistenti - messico - 03-02-09 - n. 259

da Counterpunch Weekend Edition 30/01-01/02/2009 - www.counterpunch.org:80/marcos01302009.html 
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Il canto di guerra e di dolore
 
Gaza soppravvivrà
 
del Subcomandante Marcos
 
30/01 - 01/02/2009
 
Due giorni fa, lo stesso giorno in cui noi discutevamo sulla violenza, l'ineffabile Condoleezza Rice,  rappresentante statunitense, dichiarava che quello che stava accadendo a Gaza è colpa della natura violenta dei palestinesi.
 
I fiumi sotterranei che s’intersecano nel mondo possono cambiare la loro geografia, ma cantano la stessa canzone.
 
E quello che ora sentiamo è un canto di guerra e di dolore.
 
Non lontano da qui, in un luogo chiamato Gaza, in Palestina, nel Medio Oriente, proprio qui vicino a noi, le altamente addestrate forze militari del governo israeliano proseguono nella loro marcia di morte e distruzione.
 
I passi compiuti sono quelli di una classica guerra militare di conquista: dapprima intensi e massicci bombardamenti per distruggere i punti militari "strategici" (come dicono i manuali militari) e "ammorbidire" i rinforzi della resistenza; quindi un controllo feroce sulle informazioni: tutto quello che si vede e si sente "nel mondo esterno", ovvero fuori dal teatro delle operazioni, deve essere selezionato con criterio militare; poi un intenso fuoco di artiglieria contro la fanteria del nemico per proteggere l’avanzata delle truppe verso le nuove posizioni; ci sarà poi un assedio per indebolire i presidi nemici; quindi l'assalto che conquista la posizione e annichilisce il nemico e successivamente la bonifica dei probabili “nidi di resistenza".
 
Il manuale militare della guerra moderna, con alcune aggiunte e variazioni, è seguito a passo a passo dalle forze militari d’invasione.
 
Non conosciamo gran che riguardo a ciò, e ci sono certamente gli specialisti del cosiddetto “conflitto in Medio Oriente", ma da questo angolo noi abbiamo qualche cosa da dire:
 
Secondo le fotografie e le notizie, i punti "strategici" distrutti dall'aeronautica militare del governo israeliano sono case, baracche, edifici civili. Non abbiamo visto fra le macerie un solo bunker, né una caserma, né un aeroporto militare, né cannoni. Quindi - e vogliate scusare la nostra ignoranza - noi pensiamo che o le armi degli aerei sono molto imprecise, o a Gaza tali punti militari "strategici" non esistono.
 
Noi non abbiamo mai avuto l'onore di visitare la Palestina, ma supponiamo che sia il popolo, uomini, donne, bambini, e anziani - non i soldati – a vivere in quelle case, baracche e edifici.
 
Non abbiamo visto neanche i rinforzi della resistenza, solo macerie.
 
Comunque, abbiamo visto gli inutili sforzi dell’isolamento informativo, ed i governi del mondo tentare di decidere se ignorare o applaudire all'invasione, e l'ONU, completamente inutile per la maggior parte del tempo, rilasciare tiepide conferenze stampa.
 
Ma aspettate. Ci è appena venuto in mente che forse, per il governo israeliano, quegli uomini, donne, bambini e anziani sono i soldati nemici e, in quanto tali, le baracche, le case e gli edifici che abitavano sono caserme che andavano distrutte.
 
Così la grandine di pallottole precipitate su Gaza questa mattina era indubbiamente per proteggere l’avanzata della fanteria israeliana da quegli uomini, donne, bambini e anziani.
 
Ed i presidi del nemico, che loro vogliono indebolire con l'assedio, sparsi in tutta Gaza, sono la popolazione palestinese che vive là. E l'attacco cercherà di annichilire questa popolazione. E qualunque uomo, donna, bambino o persona anziana riesca a scappare o a nascondersi dal presumibilmente sanguinoso assalto, sarà più tardi “cacciato” fino a che la pulizia sarà completa ed i comandanti in carica dell'operazione potranno riportare ai loro superiori: "Abbiamo completato la missione".
 
Di nuovo, perdonate la nostra ignoranza, forse quello che diciamo non centra nulla con l’argomento. E invece di condannare il crimine in corso, essendo gli indigeni ed i guerrieri che siamo, dovremmo discutere e prendere una posizione nella discussione se è "sionismo" o "antisemitismo", o se le bombe di Hamas hanno dato il via a tutto.
 
Forse il nostro modo di ragionare è semplicistico e ci mancano quelle sfumature e annotazioni sempre così necessarie nelle analisi, ma agli Zapatisti sembra che laggiù ci sia un esercito professionale che massacra una popolazione indifesa.
 
Chi, in basso a sinistra, può rimanere in silenzio?
 
È utile dire qualcosa? Possono le nostre grida fermare anche una sola bomba? Le nostre parole salvare la vita anche di un solo palestinese?
 
Noi pensiamo di sì, che sia utile. Forse non fermeremo una bomba e le nostre parole non si trasformeranno in uno scudo corazzato così che le pallottole calibro 5.56 mm o 9 mm, con le lettere "IMI" o “Industria Militare Israeliana" incise sulla cartuccia, non colpiscano il torace di una ragazza o un ragazzo, ma forse le nostre parole possono riuscire ad unire forze con altre in Messico e nel mondo e trasformarsi prima in un mormorio, poi un rumore, quindi in un grido che possa essere sentito a Gaza.
 
Non vi conosciamo ma, noi Zapatisti dall'EZLN, sappiamo quanto sia importante, nel mezzo della distruzione e della morte, ascoltare parole di incoraggiamento.
 
Io non so come spiegarlo, ma è così. Le parole da lontano non fermerebbero una bomba, ma è come se una breccia si aprisse nella stanza buia della morte ed un piccolo raggio di luce scivolasse dentro.
 
Come per tutto, accadrà quello che dovrà accadere. Il governo israeliano dichiarerà di aver arrecato un duro colpo al terrorismo, nasconderà al suo popolo l’enormità del massacro, i grandi produttori di armi avranno ottenuto un sostegno economico per affrontare la crisi, e "l'opinione pubblica globale", quell’entità plasmabile che è sempre di moda, si volgerà da un’altra parte.
 
Ma non è tutto. Anche il popolo palestinese resisterà e sopravvivrà, continuando a combattere e ad avere la comprensione, di chi in basso, è per la sua causa.
 
E forse, anche un ragazzo o ragazza di Gaza sopravvivranno. Forse cresceranno e, con loro, la loro tempra, indignazione e rabbia. Forse diventeranno soldati o miliziani di uno dei gruppi che combattono in Palestina. Forse si troveranno a combattere contro Israele. Forse lo faranno sparando con una pistola. Forse sacrificandosi con indosso una cintura esplosiva.
 
E poi, da lassù in alto, ci sarà chi scriverà della natura violenta dei palestinesi e farà dichiarazioni che condannano quella violenza e torneranno a discutere se sia sionismo o anti-semitismo.
 
E nessuno domanderà chi ha seminato quello che si sta raccogliendo.