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Ratifica del T-MEC, un accordo vincente-vincente?

Ricardo Mendoza | elcomunista.nuevaradio.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

11/12/2019

I negoziatori immaginavano le modifiche al T-MEC come un vantaggio per i tre paesi, un accordo "vincente-vincente-vincente", ma chi vince? I lavoratori no.

Le delegazioni negoziali di Messico, Stati Uniti e Canada si sono incontrate ieri al Palazzo Nazionale per firmare il protocollo di modifica del T-MEC, che apre la strada a questo trattato come sostituto dell'Accordo nordamericano per il libero scambio (NAFTA) in vigore dal 1994.

Oltre alla composizione delle ultime modifiche sottoscritte, norme ambientali e del lavoro, verifica degli standard lavorativi relativi a beni e servizi, conviene esaminare da vicino quelle misure che ad una lettura rapida potrebbero sembrare favorevoli ai lavoratori.

Ad esempio, la proposta di un'appendice in materia di lavoro sollevata dagli Stati Uniti e che è stata respinta dal governo messicano, implicava che il primo paese avrebbe inviato ispettori per controllare il compimento della riforma del lavoro che era stata posta come condizione per l'approvazione dell'accordo. I democratici statunitensi affermano di fare in modo che i lavoratori messicani abbiano garantiti i loro diritti lavorativi così come l'esercizio democratico nell'elezione dei leader sindacali e della libera adesione al sindacato.

Queste dichiarazioni dovrebbero essere analizzate nell'ottica della prossima congiuntura elettorale negli Stati Uniti. Nel 2020 i democratici contenderanno la presidenza e cercheranno di evitare la rielezione di Donald Trump che ha basato la sua campagna del 2016 sulla difesa dei posti di lavoro che gli statunitensi apparentemente avrebbero perso a favore degli immigrati e anche di altre nazioni che beneficiano degli accordi commerciali firmati, tra questi il Messico e il NAFTA.

In questo modo la rinegoziazione dell'Accordo di libero scambio pensata per essere venduta come mantenimento degli impegni presi in campagna elettorale e come futura piattaforma per la rielezione di Trump, ha anche finito per diventare un trampolino per la campagna dei democratici, che spingendo per queste ultime modifiche potrebbero anche presentarsi come difensori dei diritti dei lavoratori americani e persino dei loro vicini, perché allo stesso tempo incoraggiavano che in Messico si giungesse a una riforma del lavoro che avrebbe garantito una presunta parità.

Questo potrebbe essere inteso come un modo per compensare il presunto squilibrio che ha portato al trasferimento di una buona parte degli impianti industriali dai paesi sviluppati ai cosiddetti paesi in via di sviluppo negli anni '90. Che a sua volta ha fornito una maggiore certezza di sfruttamento ai monopoli grazie a un mercato del lavoro a basso costo e privato delle libertà sindacali.

Nel caso messicano degli anni Ottanta il panorama mostrava un'insurrezione sindacale sconfitta negli anni Settanta, partiti e organizzazioni della sinistra addomesticati, immersi nella costruzione del grande partito della socialdemocrazia (PRD), alcuni distaccamenti comunisti nell'angolo, il sindacalismo indipendente impegnato nella costruzione dei propri feudi e lo Stato messicano che lascia da parte il populismo per scommettere sul neoliberismo.

La situazione attuale ha subito una svolta, nei paesi sviluppati che hanno optato per la globalizzazione è seguita una forte crisi, una recessione accompagnata dal crollo di numerose piccole imprese e negli Stati Uniti lo scoppio della bolla immobiliare del 2008. Tutto ciò accompagnato dallo smantellamento quasi totale dello stato sociale, la privatizzazione dei beni statali e la conversione del debito privato in pubblico per evitare che i profitti raccolti durante la bonanza diventino perdite durante la recessione.

Le élite globali hanno trovato nella speculazione finanziaria un modo per mantenere la crescita dei loro profitti in periodi di recessione, ma come sappiamo, queste crisi abituali del capitalismo non durano per sempre e ora è tempo di ricostruire i mercati e gestire il libero mercato in modo che i produttori diretti di beni e servizi continuino ad essere la base attraverso cui l'arricchimento prosegue all'interno dell'economia reale e non speculativa come in tempi di crisi.

Quindi, la ristrutturazione del vecchio NAFTA arriva in Messico insieme alla svolta a "sinistra" nel governo nazionale, in altre parole la base per continuare lo sfruttamento transnazionale imposto nel 1994 a beneficio dei monopoli canadesi, statunitensi e messicani. Darà la mano ai presunti progressisti, una ricetta già vista prima, ad esempio nella vecchia Europa, dove una volta che il nemico comunista si era indebolito e poi annientato, furono quei progressisti, socialdemocratici ed ex comunisti a mettere sul tavolo l'amara ricetta dello smantellamento del welfare statale e della feroce privatizzazione neoliberista in Spagna, Francia, Italia e Regno Unito.

Il miglior esempio è dato dalla nostra storia. Il messicano più ricco Carlos Slim lo è grazie alle politiche di privatizzazione neoliberiste che gli hanno permesso di acquisire Telmex sotto il governo di Carlos Salinas de Gortari (1990), quindi dal 1994 ha operato senza sosta fino a creare un gruppo commerciale di portata continentale grazie all'Accordo di libero scambio. Attualmente, le aziende di Slim sono un vero e proprio impero commerciale diversificato con attività situate principalmente in America e in Europa e una presenza in Asia.

Mentre i milioni di lavoratori messicani che lavorano quotidianamente con salari che a malapena permettono loro di arrivare a fine mese sono la migliore prova che gli accordi di libero scambio sono progettati per offrire grandi benefici, ma non a loro.

Durante la sua conferenza stampa dal Messico, Chrystia Freeland, vice primo ministro del Canada, ha definito la firma delle modifiche al T-MEC come un vantaggio per i tre paesi, un accordo "vincente-vincente-vincente". Ma chi vince? I lavoratori no.



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