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Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Nepal, un promettente avanzamento rivoluzionario
di Samir Amin
 
02/02/2009
 
Un autentico avanzamento rivoluzionario
 
Immaginate. Un esercito di liberazione che sostiene una rivolta generalizzata dei contadini giunge alle porte della capitale, dove la popolazione, a sua volta, insorge, caccia dal potere il governo del re ed accoglie come proprio liberatore il Partito Comunista del Nepal-Maoista (CPN-M), la cui valida strategia rivoluzionaria non necessita di ulteriori dimostrazioni. Ciò di cui si parla è il più radicale e vittorioso progresso rivoluzionario della nostra epoca, e, per questa ragione, il più promettente.
 
Questa vittoria in Nepal ha creato le condizioni per una rivoluzione di popolo, nazionale e democratica, ed è qualificata come rivoluzione antifeudale/antimperialista dallo stesso CPN-M. Effettivamente, l’insurrezione civile generalizzata, unendo le classi più povere con la borghesia, ha costretto tutti i partiti politici del Nepal a proclamarsi, a loro volta, “rivoluzionari repubblicani”. Prima della vittoria maoista, gli altri partiti avevano imboccato la strada della “lotta pacifica” su di un percorso riformista, avendo riposto le loro speranze nelle “elezioni”. L'altro principale partito comunista - il Partito Comunista del Nepal, Marxista-Leninista Unificato (UML), si era associato al governo del re verso la fine del 2004 e aveva denunciato “l'avventurismo” dei maoisti.

Il CPN-M scelse intenzionalmente di giungere ad un compromesso con i partiti in questione (il Congresso Nepalese, l'UML ed altri), valutando che il venire in aiuto della rivoluzione di questi partiti avrebbe loro permesso di riguadagnare un minimo di legittimità che non poteva essere messa in discussione tra le masse.

Questo compromesso - caratterizzato come “accordo di pace” dalle autorità delle Nazioni Unite che lo avevano favorito - conferì ad un’Assemblea Costituente la responsabilità di scrivere la nuova costituzione repubblicana democratica e popolare. Le elezioni multipartitiche diedero al CPN-M il primo posto fra i partiti che costituivano la coalizione vittoriosa, affidando così la responsabilità di primo ministro al loro leader, Prachanda. Il parlamento, per la prima volta nella storia del paese (e dell’intero subcontinente indiano), è rappresentativo con un numero corrispondente dei contadini poveri, lavoratori irregolari della città, dalits, e donne delle classi popolari.

Le cinque maggiore sfide per il futuro

L'accordo di compromesso non chiarisce tutti i problemi futuri ma rivela, al contrario, il loro ampio raggio d’azione. Le sfide che le forze popolari rivoluzionarie affronteranno da questo momento in poi sono gigantesche. Noi le esamineremo nelle cinque sezioni seguenti.

1. Riforma agraria

La rivolta contadina è stata il prodotto della corretta analisi del CPN-M sulla questione della terra e delle relative conclusioni strategiche, anch’esse corrette: la grande maggioranza dei contadini poteva essere organizzata in un fronte unito e andare verso la lotta armata, l'occupazione delle terre, la riduzione o l’abolizione dei canoni pagati ai proprietari per la concessione dei terreni, l'espulsione degli usurai dai villaggi ecc. Gli insorti, per queste ragioni, gradualmente si diffusero attraverso il paese, ed il loro esercito, organizzato dal CPN-M, inflisse sconfitte all'esercito statale. Ma è vero che nel momento in cui la rivolta nella capitale aprì le porte al Partito Comunista (Maoista), l'esercito popolare non era ancora riuscito a distruggere l'esercito statale, il quale era fortemente sostenuto e rifornito dal governo di Delhi e dalle potenze imperialiste.

Nell’attuale momento di “compromesso”, due linee sono state espresse dalle forze politiche associate e rappresentate nel parlamento:

(A) La linea difesa dal CPN-M che prevede una rivoluzionaria e radicale riforma agraria, garantendo l’accesso alla terra (ed ai mezzi necessari per trarne sostentamento) a tutti i contadini poveri (la grande maggioranza), ma senza toccare la proprietà fondiaria dei medi e ricchi contadini.

(B) La linea vaga, difesa dal Partito del Congresso in particolare, per una più “moderata” riforma agraria che richieda, prima che la legge sancisca le nuove norme, il ritorno del vecchio ordine feudale/usuraio nelle aree che già erano state liberate dalla rivolta dei contadini.

2. Il futuro delle forze armate

Le due forze armate attualmente coesistono. Questa coesistenza, evidentemente, non può durare. Il CPN-M suggerisce la loro fusione. Gli avversari dei maoisti temono (e lo ammettono pubblicamente) che tale fusione possa portare le truppe dell’esercito statale ad essere “infettate” dall’ideologia maoista! Ma, irrimediabilmente, non propongono nulla oltre che insignificanti discorsi sulla “riabilitazione” dell'esercito maoista.

3. Democrazia borghese o democrazia popolare?

Quest’importante questione anima tutti i dibattiti all'interno del Nepal. Ci sono, nella società nepalese, i difensori della formula convenzionale di democrazia, ridotta al sistema multipartitico, le elezioni, la separazione formale dei poteri e la proclamazione dei diritti dell'uomo e di politiche fondamentali. Questa è la forma generale in cui l'ideologia dominante, diffusa su scala mondiale dai maggiori media (fra gli altri, quelli dei paesi occidentali), tenta di indirizzare il dibattito.

I maoisti fanno notare come i diritti fondamentali di tale proposta di “democrazia” poggiano sul rispetto della proprietà privata posta al vertice della gerarchia dei cosiddetti diritti umani. Come contrappunto, il CPN-M difende la priorità dei diritti sociali senza la cui realizzazione nessun progresso sociale è possibile: i diritti alla vita, al cibo, alla casa, al lavoro, all’istruzione ed alla salute. La proprietà privata non è considerata “sacra”; il suo rispetto è limitato dalla necessità di sviluppo dei diritti sociali.

In altre parole, un gruppo difende il concetto della democrazia identificata con i diritti santificati alla proprietà e separata dalle questioni relative al progresso sociale (il concetto borghese dominante di “democrazia”), mentre l'altro difende quello della democrazia associata al progresso sociale.

Il dibattito - in Nepal - non è confuso, ma spesso è polemico. I difensori della “democrazia occidentale” schierano fra le loro fila autentici reazionari, ma anche democratici indubbiamente sinceri che non sono molto sensibili alle reali miserie sofferte dalle classi popolari. La “difesa dei diritti democratici” delle Ong, largamente finanziate dall'estero e massicciamente mobilitate, implorano la causa “moderata” così come possono. Alcuni sono soddisfatti dicendo che una democrazia convenzionale limitata sia meglio di niente, come se qualcosa di più fosse impossibile. Altri stilano un elenco di accuse contro il CPN-M, chiamandoli “vetero comunisti”, “stalinisti”, “totalitari”, imitatori del modello autocratico cinese, ecc.

I maoisti si difendono bene. Essi ricordano ad ognuno di non voler minacciare la proprietà privata dei contadini né la proprietà capitalista, nazionale o straniera. Ma non escludono la nazionalizzazione della proprietà se richiesto dall'interesse nazionale (proibendo alle banche straniere di imporre l'integrazione del paese nel mercato finanziario globalizzato, ad esempio). Mettono in questione solamente la terra e gli edifici “feudali” che i re che si sono succeduti avevano dato ai loro clienti poiché li autorizzavano a spossessare le comunità contadine. Non minacciano i diritti personali ed una magistratura indipendente e responsabile di garantire il rispetto di quei diritti. Aggiungono a questo programma, senza ridurlo, l’invito all'Assemblea Costituente di non formulare solo i grandi principi dei diritti sociali ma anche le forme istituzionali necessarie per svilupparli. La democrazia popolare così definita deve, chiaramente, essere messa in pratica in modo graduale, ed attraverso l'intervento di entrambi gli organismi, quelli auto organizzati delle classi popolari e quelli dello stato.

Evidentemente non esistono “garanzie” per il futuro che proteggano il Nepal dalla ricaduta nell’errore, per esempio dalla tentazione del potere autocratico dello stato - o in un non meno probabile allineamento opportunista a quello che appare essere “possibile” per l’immediato futuro, con la congiunzione del CPN-M alla linea “moderata” dei loro rivali. Ma quale diritto si ha di condannare in anticipo l'esperimento, quando si sa che le questioni qui sollevate sono oggetto di seri dibattiti all'interno del partito, e che inoltre esistono molteplici opinioni?

Queste analisi e strategie di lotta vanno oltre le ideologie populiste di liberazione nazionale del tempo della Conferenza di Bandung nel 1955. All’epoca, i regimi sorti dalle lotte di liberazione nazionali di Asia e Africa, che erano lotte legittime e popolari, erano meno avanzati. L'ideologia sulla quale poggiava la legittimità del potere non usava il marxismo come riferimento; era costruita con un po’ di questo e di quello, associando una lettura del passato largamente reinventata e presentata essenzialmente come “progressista” (verosimilmente attraverso forme democratiche dell'esercizio del potere nelle società antiche ed interpretazioni religiose di natura equivalente) e i miti nazionalisti, con un pragmatismo a mala pena critico con un riguardo ai requisiti di modernizzazione tecnologica ed amministrativa. Il “socialismo” che caratterizzava i regimi di Bandung rimase estremamente vago, difficile da distinguere dal controllo populista dello stato che ridistribuiva e garantiva la “giustizia sociale”.

I maoisti del Nepal hanno sviluppato una visione molto diversa della questione del socialismo. Essi si astengono dal ridurre la “costruzione del socialismo” alla realizzazione del loro attuale intero programma di massima (riforma agraria, esercito popolare, democrazia popolare). Caratterizzano questo programma come “nazionale democratico e popolare”, aprendo la strada (ma non più di questo) alla lunga transizione al socialismo.

4. La questione del federalismo

La geografia fisica ed umana delle valli himalayane è espressa dall’estrema diversità delle comunità contadine del Nepal. Non è questione di due, tre o quattro “gruppi etnici” ma di un centinaio di cosiddette comunità. I popoli di queste comunità aspirano a recuperare l'utilizzo della loro terra, espropriata dai protetti dei generali conquistatori al servizio dei re. Essi vogliono anche il riconoscimento della loro dignità e dell'uguaglianza di trattamento. Ma non aspirano ad una secessione. Questo è anche il caso delle varie comunità del “Terai” (le pianure che confinano con l’India) che recentemente sono state il primo obiettivo dell’intervento straniero.

La formula della repubblica federale promossa dai maoisti può certamente soddisfare le istanze del popolo nepalese. Ciò non esclude il pericolo che gli avversari del potere statale centralizzato manipoleranno questa formula.

5. La questione dell'indipendenza economica del paese

Il Nepal è classificato dalle Nazioni Unite fra i “paesi meno industrializzati.” La “moderna” amministrazione dello stato, i servizi sociali e lo sviluppo dell’infrastruttura moderna dipendono dall’assistenza esterna. Il governo locale sembra essere consapevole del bisogno di liberarsi da questa dipendenza estrema. Sa però che questa liberazione può essere solamente graduale. La sovranità alimentare non è il principale problema del Nepal, anche se l'autosufficienza in quest’area sia associata a quantità di cibo spesso deplorabilmente basse. Ma l'organizzazione di reti di mercato più valide e meno costose per i produttori del paese ed i consumatori delle città sono un notevole problema, perché mette in gioco gli interessi degli intermediari. Un programma che sviluppi la produzione su piccola scala, metà artigianale e metà industriale, e sia in grado di ridurre la dipendenza dalle importazioni, richiederà tempo e duri sforzi per produrre risultati apprezzabili.

I maoisti propongono un modello “inclusivo”di sviluppo, ovvero, un modello da cui traggano profitto direttamente e ad ogni fase le classi popolari, in opposizione al modello di crescita “indiano” associato ad un modello sociale “esclusivo”, ovvero, dal quale trae beneficio solamente il 20 percento della popolazione, condannando l'altro 80 percento alla stagnazione se non all'impoverimento. Questo testimonia una scelta di principio che si può solamente sostenere. La traduzione in programmi che mettano in pratica tale modello rimane da fare.

Chi li eseguirà?


Il Nepal rivoluzionario si scontra con l’estrema l'ostilità del suo importante vicino, l'India, la cui classe dominante teme il contagio. La rivolta indigena dei Naxaliti dell'India poteva, prendendo come spunto la lezione della vittoria conquistata in Nepal, porre seriamente in dubbio la stabilità del modello di sfruttamento e oppressione in forza nel subcontinente indiano.

Questa ostilità non dovrebbe essere sottovalutata. Costituisce una delle ragioni del riavvicinamento militare tra India e Stati Uniti. Mobilita considerevoli risorse materiali e politiche. Fra le altre cose, l’India finanzia il tentativo di costruzione di un partito politico indù “alternativo”, sul modello dello sciovinista BJP indiano, analogo all’islam politico del Pakistan e di altre aree, o al buddismo politico del Dalai Lama. L'appoggio degli Stati Uniti e delle altre potenze occidentali – della Gran Bretagna in particolare - è coordinato attraverso tali progetti reazionari. La cristallizzazione di una potente forza politica indù in Nepal avrebbe un'opportunità di successo se il conseguimento - anche modesto - di un nuovo Nepal fosse differito per un tempo troppo lungo. Questi intervenenti dall’esterno potrebbero poi mobilitare anche i reazionari del Nepal e provocare movimenti “scissionisti”. L'utilizzo dell’assistenza esterna, sempre mediante sequenze date anche se non è ammesso, e la produzione demagogica di discorsi sui “diritti umani” e sulla democrazia alimentati dalle reti delle ong, trova posto in questa strategia del nemico.

Il compromesso ora in atto ritarda la realizzazione del programma di riforma integrale, che è all’origine della popolarità del CPN-M. Incoraggia certe tendenze - nelle file della stessa dirigenza politica - a voler stare dietro a quello che questo compromesso consente, preparando così il terreno alla controffensiva della reazione.

Ma non c'è nessun motivo per disperare. I maoisti ripetono pubblicamente che le classi popolari hanno il diritto di rimanere mobilitate e continuare la lotta per attuare il loro programma, qualunque sia il risultato delle deliberazioni dell'Assemblea Costituente. Il CPN-M non è caduto nella trappola elettorale del cercare soprattutto i voti. Essi distinguono attentamente quella che chiamano la loro base sociale (“collegio elettorale sociale”), costituita dalla maggioranza (contadini poveri, lavoratori delle classi popolari delle città, studenti e giovani, donne, settori patriottici e democratici della borghesia) dalla loro base elettorale (“collegio elettorale”), la quale, come per tutte le basi elettorali, rimane volubile. Costruire questa base sociale e popolare in un blocco sociale organizzato dominante, alternativo al blocco feudale comprador cacciato dal potere, costituisce l'obiettivo a lungo termine della lotta del CPN-M.