www.resistenze.org - popoli resistenti - nigeria - 25-01-12 - n. 393

da http://www.michelcollon.info/Au-Nigeria-de-l-essence-sur-la.html?lang=fr
Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
In Nigeria, benzina sul fuoco
 
di Jean-Christophe Servant
 
18/01/2012
 
Da Kano a Lagos, è tutta la società nigeriana, nella mescolanza di tutte le sue fedi, che si oppone da due giorni, in occasione di uno sciopero generale ampiamente partecipato, alla decisione del governo di cancellare le sovvenzioni al settore petrolifero. Adottato tre settimane dopo la prima visita in Nigeria di Christine Lagarde, direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (FMI), questa misura ha sorpreso per la sua brutalità i 160 milioni di abitanti del paese più popoloso dell'Africa: dal 1° gennaio, il prezzo della benzina è infatti passato senza colpo ferire da circa 30 centesimi al litro a più di 66 centesimi, provocando una corsa alle pompe delle principali metropoli della federazione.
 
Il Ministro delle finanze, Ngozi Ojonko-Iwela, ex quadro della Banca Mondiale, ha sostenuto che questo forte aumento della benzina - che la Nigeria, anche se prima potenza petrolifera sub-sahariana, è costretta ad importare a causa della morte clinica delle sue raffinerie - inciderebbe solo sui proprietari di automobili di grossa cilindrata e, nel complesso, sulla minoranza più agiata del paese. Il governo conta di impegnare gli 8 miliardi di dollari realizzati annualmente su questa posta di bilancio - pari al 5% del prodotto nazionale lordo - nei programmi di sviluppo per la sanità e l'istruzione e portare a un'accelerazione degli investimenti privati, principalmente nel settore della raffinazione.
 
La reazione della strada - dove emergono, fatto inedito, organizzazioni del tipo 2.1, collegate attraverso reti sociali, come il movimento Occupy Nigeria - attestano soprattutto, per l'ennesima volta, il divario surreale tra la vita delle élite della capitale, Abuja, e quella della stragrande maggioranza dei nigeriani. Per il 70% della popolazione, che vive con meno di 2 dollari al giorno, e i quasi tre milioni di giovani disoccupati, l'impennata dei prezzi della benzina non ha colpito solo i mezzi pubblici su cui viaggiano ogni giorno, ma anche l'energia elettrica, prodotta principalmente dai generatori a causa dei black-out ricorrenti e i prodotti di prima necessità che dal Nord agricolo prendono la strada verso i mercati del Sud.
 
D'altra parte è sul Nord che quest'azione rischia di ripercuotersi maggiormente. La repressione militare-poliziesca delle proteste a Kano contro il raddoppio del prezzo del carburante ha già provocato la morte di cinque persone. Essa vorrebbe in primo luogo fronteggiare l'acuto risentimento della popolazione Hausa-Fulani, di fede musulmana, contro il governo centrale, presieduto per la prima volta nella storia del paese da un cristiano della minoranza etnica del Delta del Niger, Goodluck Jonathan, un Ijaw, ritenuto allineato con Washington. In questo Nord molto deluso dall'instaurazione - con risvolti tutti politici - della Sharia [1], che dal 2000 non ha favorito che l'oligarchia locale senza peraltro fermare le crescenti disparità economiche con il Sud, la fine della sovvenzione sul prezzo della benzina potrebbe benissimo spingere ulteriormente verso la nebulosa Boko Haram [2].
 
Due anni e mezzo dopo la morte del suo leader, Mohammed Yusuf, nel corso di una violenta repressione segnata da centinaia di esecuzioni extragiudiziali, nessuno sa precisamente chi guida questo movimento di affiliazione, ora entrato in guerra aperta contro i cristiani, stando alle parole del suo oscuro portavoce. Fino ad allora, Boko Haram aveva condotto soprattutto delle operazioni omicide contro i musulmani "occidentalizzati", attacchi ai simboli dello Stato centrale, in primo luogo la polizia, ed effettuato l'attacco contro il quartier generale delle Nazioni Unite in Nigeria [http://it.peacereporter.net/articolo/31393/Nigeria,+attentato+suicida+rivendicato+da+Boko+Haram%3A+un+morto, ndt].
 
Poiché tutto è politica in Nigeria, alcuni si chiedono se Boko Haram non sia strumentalizzato dall'oligarchia Hausa, comprendente anche ex alti ufficiali del Nord, messa da parte dopo l'arrivo al potere del Presidente Jonathan e dalla ricomposizione etnica delle forze armate, fino ad allora costituite principalmente da settentrionali. Altri si spingono oltre, e si domandano [3] se il vessillo di Boko Haram non sia brandito da organizzazioni criminali legate agli Ibo del sud-est cristiano. In entrambi i casi, si tratterebbe di rafforzare una strategia della tensione che avrebbe come esito un colpo di stato militare, perfino una separazione del paese, tra un Nord abbandonato ai tormenti e un Sud ricco di giacimenti utile alle élite e ai suoi alleati occidentali.
 
Finora, nonostante gli appelli al dialogo di diversi leader spirituali musulmani della Nigeria, Aso Rock (la residenza-fortezza presidenziale) si è accontentata della repressione, al punto di aver impegnato nel 2011 quasi 20 milioni di dollari al giorno in operazioni di sicurezza e di sorveglianza delle aree sensibili, soprattutto nella capitale federale. Il 25% del bilancio 2012, un record nella storia della Nigeria, sarà impiegato nel rafforzamento dell'apparato di sicurezza militare, per la soddisfazione delle imprese private internazionali che affollano su questo paese "in piena espansione". Ma anche per la grande delusione, ahimè, della popolazione.
 
I nigeriani sono presi in ostaggio tra un apparato repressivo che ha ricevuto un assegno in bianco, un opaco "terrorismo islamico" che sembra sempre più obbedire a obiettivi politico-criminali, piuttosto che ideologici, e gli ingiusti sacrifici richiesti dal "buon governo" per soddisfare a breve termine le istituzioni di Bretton Woods.
 
Note 
[1] Si veda "Au Nigeria, la charia à l’épreuve des faits", Le Monde diplomatique, giugno 2003. 
[2] Cfr. "The Fuel Subsidy Crisis and its Implications for the Fight Against Boko Haram in Nigeria", Institut d’études de sécurité, 11 gennaio 2012. 
[3] Cfr. Jean Herskovits, "In Nigeria, Boko Haram is not the Problem", The New York Times, 2 gennaio 2012.
 
 

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