30 / 09 / 2002
Segretario del Fronte Popolare per la
Liberazione della Palestina (FPLP)
L'intervista che segue è stata
realizzata nella prigione palestinese di Gerico il 9 settembre 2002. Ahmed
Saadat, che a tutt'oggi non è stato processato e nemmeno incriminato, è
detenuto dal 1° maggio, in compagnia di quattro militanti del FPLP e di Fuad
Shubeiki, implicato secondo gli Israeliani nella vicenda del cargo di armi
"Karine A.".
Ahmed Saadat è segretario generale del FPLP. E' succeduto ad Abu Ali Mustafà,
assassinato dall'esercito israeliano il 27 agosto 2001 a Ramallah.
Accusato dalle autorità americane ed israeliane di avere organizzato
l'esecuzione di Zeevi, ministro del governo Sharon conosciuto per le sue
posizioni radicali in materia di espulsione di massa dei palestinesi, Saadat è
stato arrestato dall'Autorità Palestinese il 15 gennaio 2002 e detenuto nel
palazzo presidenziale di Ramallah.
Il 29 marzo l'esercito israeliano metteva sotto assedio il palazzo
presidenziale di Arafat. Da subito, il governo israeliano ha condizionato il
ritiro dell'assedio alla sorte dei militanti del FPLP.
Il 27 aprile, un tribunale militare palestinese, riunito nei locali
presidenziali assediati dall'esercito israeliano, condannava quattro militanti
del FPLP rispettivamente a 18, 12, 8 e 1 anno di prigione per l'assassinio di
Zeevi. Il 1° maggio, in serata, i sei uomini erano portati a Gerico, in base ai
termini di un accordo imposto dagli USA, e che li affidava a dei carcerieri
palestinesi a loro volta sottoposti ad un controllo americano-britannico. Nella
notte, l'esercito israeliano si ritirava dalle vicinanze del palazzo
presidenziale. Il 3 giugno, l'Alta Corte di Giustizia palestinese ordinava la
liberazione di Saadat.
Da allora, Saadat attende nella sua prigione.
di Julien Salingue
-Perchè siete qui?
Noi siamo qui per ragioni essenzialmente politiche. Gli Israeliani, appoggiati
come d'abitudine dagli Stati Uniti, hanno chiesto all'Autorità Palestinese di
consegnargli tutte le persone implicate nell'assassinio del ministro del
turismo R. Zeevi. L'Autorità, che raramente è stata così debole, in questo
momento fa tutto quello che le chiedono gli Stati Uniti ed ha dunque accettato
un accordo con Israele e la CIA. questo accordo non ha alcuna base giuridica.
Per la legge palestinese, il nostro arresto è illegale, e inoltre non esiste in
questa legge alcun articolo che permetta di condannarci ad una qualsiasi pena.
Per quanto riguarda i miei compagni, sono stati condannati secondo la legge
israeliana da un tribunale speciale palestinese composto da persone che non
avevano alcuna esperienza e alcuna responsabilità nel campo della Giustizia,
che hanno inflitto pene che arrivano fino a 18 anni di carcere. La mia
situazione è un po' differente nella misura in cui io non sono stato giudicato.
Loro mi hanno arrestato e portato qui in quanto segretario generale del FPLP.
Nell'accordo che hanno accettato, io devo essere "isolato", vale a
dire che tutti loro hanno voluto privarmi di qualunque attività politica o mediatica.
La Corte Suprema Palestinese si è pronunciata in favore della mia liberazione,
ma nessuno ne tiene conto.
Noi siamo dunque qui, in questa prigione ufficialmente palestinese, nella
quale, come avete visto, vi sono agenti della CIA e Britannici. Il loro ruolo è
di controllare che nella prigione l'Autorità Palestinese faccia per bene quello
che esige Israele, infatti questi "osservatori" sono i veri guardiani
della prigione. E' una prigione israeliana, in definitiva. Voi avete visto i
controlli all'entrata: i Palestinesi hanno preso i vostri nomi e li scrivono su
una lista. Alla fine della giornata sono gli Americani e gli Inglesi che la
ritirano, per poi trasmetterne una copia agli Israeliani. Per questo moltissime
persone non osano farmi visita...
-Qualche giorno fa è iniziato il processo a Marwan Barghouti, che è stato
fortemente mediatizzato. Secondo voi, perché, mentre si è molto parlato di lui,
c'è silenzio su voi e i vostri compagni?
Voglio in primo luogo precisare che è importante che si parli di Barghouti, io
sono perché lo si faccia, non perché si tratta di Barghouti, ma perché può
servire da simbolo per tutti i prigionieri politici palestinesi in Israele.
Quanto al silenzio su di noi, la prima responsabilità, non abbiate dubbi,
incombe sulla stessa Autorità Palestinese, così come alle ONG che le sono
legate. Loro hanno scelto di mettere l'accento su quelli che sono in Israele
perché per loro il nostro caso è abbastanza fastidioso. Come vi ho detto, ci
hanno messo qui perché glielo hanno chiesto gli Americani, e allora il fatto
che dei responsabili palestinesi abbiano accettato di arrestare dei membri
della Resistenza palestinese può apparire piuttosto contraddittorio. Per questa
ragione l'Autorità e le sue ONG hanno scelto di osservare il silenzio sul
nostro caso. Questa è un'enorme ammissione di debolezza. Noi siamo qui perché
abbiamo soppresso Zeevi, un ministro di estrema destra razzista che sosteneva
il transfert di tutti i Palestinesi verso la Giordania, che era membro del
gabinetto israeliano e che appoggiava sistematicamente tutti i propositi di
liquidazione dei responsabili della Resistenza palestinese. Lui è uno di quelli
che hanno chiesto l'assassinio di Abu Ali Mustafà (segretario del FPLP,
assassinato nell'agosto 2001). Noi dovevamo rispondere allo stesso livello,
vale a dire uccidendo uno dei loro responsabili. Quello che avrebbe dovuto e
dovrebbe fare l'Autorità, piuttosto che sottomettersi alle richieste
israeliane, è agire come fanno gli Israeliani, vale a dire esigere che tutti gli
Israeliani che decidono o sono implicati nelle uccisioni di Palestinesi le
siano consegnati. Invece, non dice nulla ed evita di parlare di noi. Tutto
quello che sono riusciti a fare è stato aiutare gli Israeliani, che chiedevano
da tempo che il FPLP fosse inserito nella lista delle organizzazioni terroriste
dell'Unione Europea. Da allora, è stata cosa fatta. Ancora da prima, numerosi
Partiti Comunisti rifiutavano di incontrarci, ed è stato ancora peggio dopo. Il
Partito Comunista Francese, per esempio, che era venuto per incontrare la
"sinistra palestinese", ha rifiutato di incontrarci ufficialmente.
Idem per il Partito Comunista di Cipro. E per altri. Questo contribuisce
ugualmente al silenzio che ci circonda.
-Attualmente, si parla molto di unità dell'insieme delle forze palestinesi.
Come percepite questo, voi che siete stati imprigionati con l'accordo
dell'Autorità Palestinese?
Sapete, la situazione è complessa. Alcuni membri di Fatah, fra i quali diversi
quadri del partito, hanno partecipato alle manifestazioni per esigere la nostra
liberazione. Vi sono sempre più contraddizioni in seno a questo partito, fra il
ruolo che gioca o vorrebbe giocare nella Resistenza e il ruolo che gioca in
seno all'Autorità. L'Autorità vorrebbe che la Resistenza cessasse completamente
al fine di negoziare con gli Israeliani, il che non è il caso né della
popolazione né dei partiti politici. Noi vogliamo molto di più: dopo il
fallimento di Oslo, vogliamo una vera strategia di lotta che permetta alle
rivendicazioni palestinesi di affermarsi, costruendo una società realmente
democratica. Al Fatah è d'accordo, direi anche che l'insieme dei partiti
politici è oggi d'accordo per fondare una direzione temporanea che diriga la
Resistenza palestinese. Evidentemente l'Autorità Palestinese non vuole sentire
parlare di questa direzione temporanea che rimetterebbe in causa il loro
potere. Oggi è chiaro che l'Autorità è un ostacolo per la resistenza, nella
misura in cui rappresenta esclusivamente gli interessi della borghesia
palestinese, interessi che sono quelli degli Israeliani, non quelli della
popolazione palestinese. Loro non hanno alcun interesse a che l'Intifada
prosegua, al contrario quello che vogliono è fermare la Resistenza, in altri
termini si può dire che i loro interessi vanno contro quelli della popolazione.
Vedete, anche se pervenissimo a fare l'unità fra i partiti politici
palestinesi, resterà un ostacolo che si chiama Autorità Palestinese.
-Come analizzate la situazione attuale?
Per comprenderla, bisogna tornare agli accordi di Oslo. Quegli accordi erano un
progetto, quasi esclusivamente commerciale, fra la borghesia palestinese e
l'occupante israeliano. Israele è riuscito, grazie a questi accordi, a far sì
che l'OLP abbandonasse il suo programma e la sua strategia, a detrimento delle
condizioni di vita della popolazione palestinese. Ricordatevi che a
quell'epoca, dopo la guerra del Golfo, l'OLP aveva delle grosse difficoltà
finanziarie. Gli accordi di Oslo hanno rappresentato una possibilità di
recuperare denaro grazie ad importanti accordi commerciali. Oslo non è un
accordo politico che avrebbe potuto permettere di raggiungere una soluzione per
il popolo palestinese, ma un progetto bello e buono che riguardava solo
questioni sicuritarie e commerciali, fra le cui finalità c'era la sicurezza
israeliana. C'è stato con Oslo un passaggio del testimone fra gli Israeliani e
l'Autorità in un certo numero di regioni, comprese zone in cui l'Autorità non
controllava assolutamente nulla. Gli anni sono passati, con i risultati che
conoscete, e con un dato essenziale, contenuto negli accordi di Oslo, i quali
implicano che è vietato cercare una "soluzione" altra dalla
negoziazione con gli Israeliani. E c'è stato l'episodio di Camp David e le
proposte scandalose di Barak e Clinton. Il FPLP era (ed è sempre) per fermare
ogni negoziazione con l'occupante, il che avrebbe comportato per l'Autorità
Palestinese di diventare un vero movimento di resistenza, a fianco del popolo.
Ma essa non ha scelto questa strada. Ed oggi siamo arrivati a questa situazione,
nella quale la sola opposizione che esiste fra occupante e occupato è
l'opposizione fra il popolo palestinese e lo Stato di Israele, con una Autorità
che guarda tutto questo dall'esterno, una Autorità spettatrice che vuole una
cosa sola: recuperare ad ogni costo il suo potere.
-Quale strategia, oggi, permetterà di ricostruire un forte movimento
palestinese?
La Resistenza, per tutte le ragioni che abbiamo evocato, è oggi in una
situazione molto difficile. Ma anche in questa situazione difficile, si può
vedere che continua a produrre effetti, specialmente in Israele, che sia
l'instabilità sociale crescente o la crisi economica che li colpisce da diversi
mesi. Bisogna costruire le basi perché la Resistenza continui e diventi sempre
più forte. Questo comporta molte cose: in primo luogo bisogna costruire una
resistenza popolare, aperta a tutti, nella quale l'insieme della popolazione
trovi il suo posto. E perché non si riproducano gli errori del passato, vale a
dire perché non si sacrifichi il popolo e solo la borghesia ne tragga benefici,
è essenziale non separare resistenza contro l'occupazione e lotta per la
democrazia. Oggi conviene ricostruire una OLP forte e democratica, sola istanza
che possa rappresentare gli interessi di tutta la popolazione palestinese,
compresi i rifugiati. Si tratta di combinare una unità "dal basso" ed
una unità "dall'alto". Il secondo elemento fondamentale è di non
dimenticare mai che la nostra lotta deve essere collocata nel contesto
internazionale, e dunque nel sistema imperialista mondiale. Israele è uno Stato
il cui ruolo essenziale è la protezione degli interessi dell'imperialismo nella
regione. Questo ha delle forti assonanze con la situazione del Sud Africa del
periodo dell'Apartheid. La nostra lotta è fondamentalmente anti-imperialista,
la questione palestinese è oggi nel cuore dei problemi mondiali, è per questo
che dobbiamo costruire una resistenza che sia in rapporto con i movimenti
anti-imperialisti del mondo intero. La solidarietà di cui abbiamo bisogno è una
solidarietà anti-imperialista, penso specialmente al movimento
anti-globalizzazione che si è sviluppato negli ultimi anni. Se vogliamo
riuscire, dobbiamo certo costruire una resistenza popolare, ma anche non
separare mai il locale e il globale ed essere coscienti che la nostra lotta si
integra nel contesto più ampio delle lotte contro l'imperialismo e contro la
globalizzazione capitalista, verso le quali dobbiamo indirizzarci.
-Abbiamo parlato della strategia. Qual'è il progetto politico?
Come FPLP, non pensiamo che la soluzione dei "due Stati per due
popoli" sia una soluzione che abbia una prospettiva. Anche se noi
pervenissimo a soddisfare questa rivendicazione, il problema sarebbe lontano
dall'essere risolto, in primo luogo perché lo Stato di Israele continuerebbe ad
esistere così come è. E soprattutto si porrebbero due questioni principali:
Che si fa dei rifugiati? Per noi la questione del diritto al ritorno dei
rifugiati, che rappresentano più della metà dei Palestinesi, è una questione
fondamentale, nella misura in cui il diritto al ritorno è un diritto
inalienabile. Ora, con la soluzione "due Stati per due popoli", si
escludono di fatto i rifugiati. E' fuori questione che vivano in Cisgiordania o
a Gaza... lo vedete, il problema principale rimane.
Cosa diventano i Palestinesi del 1948? Il problema è ugualmente importante,
nella misura in cui sono più di un milione e che sono prima di tutto
Palestinesi e che vivono anche loro l'oppressione dello Stato di Israele.
Non mi dilungo, ma lo vedete, la soluzione dei due Stati non può essere, nella
migliore delle ipotesi, che una soluzione temporanea. Una soluzione reale al
conflitto dovrà rispondere a tre questioni fondamentali: la fine
dell'occupazione, il ritorno dei rifugiati e l'instaurazione di un potere
realmente democratico sull'insieme della Palestina storica. Quando ci si
rapporta alla storia, è la sola soluzione legittima. E soprattutto, come dicevo
prima, dobbiamo considerare la soluzione a livello internazionale. Anche da
questo punto di vista, solo un vero potere democratico sull'insieme della
Palestina del mandato potrà rispondere alle nostre aspirazioni. Certamente è
una risposta che attacca frontalmente l'imperialismo a livello mondiale ed è
chiaro che gli imperialisti non l'accetteranno mai. Questo significa che la
nostra resistenza continuerà, che conoscerà alti e bassi, ma è evidente che per
raggiungere i nostri obiettivi avremo bisogno di tempo. E di sostegno. Ma io
credo che l'emergere del movimento anti-globalizzazione è un segnale
eminentemente positivo. Anche la vostra presenza qui e il fatto che ci siamo
incontrati mi fa dire che, anche se il momento attuale è difficile, l'avvenire
non è forse così buio.
Intervista realizzata da Julien Salingue
Traduzione da www.solidarite-palestine
Da Radio Città Aperta