Palestina in ginocchio / Rapporto della Banca mondiale sulla crisi
Il 60% dei palestinesi vive sotto la
soglia della povertà
di Davide Orecchio
Due milioni di palestinesi (il 60% della popolazione) vivono sotto la soglia
della povertà, mantenendosi ogni giorno con meno di due dollari americani a
testa. Nel settembre 2000, quando scoppiò la seconda Intifada, i poveri in
Palestina erano 637 mila. Il che significa che in due anni di conflitto con gli
israeliani il livello d’indigenza è triplicato. E’ solo il più scioccante di
una lunga serie di dati forniti dalla Banca mondiale in un rapporto sulla crisi
dell’economia palestinese (“Two years of Intifada. Closures and palestinian economic
crisis”). Un tracollo che ha una sola causa: la barriera di sicurezza
eretta da Israele intorno alla Cisgiordania, che sta lentamente ma
progressivamente strangolando l’economia dell’Autorità palestinese (Ap), ormai
chiusa in se stessa e paralizzata dalla quarantena. La situazione potrebbe poi
precipitare in seguito alle ricadute di un’eventuale guerra in Iraq. Il disastro, sottolinea il rapporto,
comincia dalla vita di tutti i giorni. Dal lavoro che gli arabi, confinati in
Cisgiordania e nella striscia di Gaza, non hanno più. Due anni fa lavoravano in
Israele e negli insediamenti israeliani 128 mila palestinesi. Scoppiata
l’Intifada, il governo di Tel Aviv ha tagliato drasticamente i permessi di
lavoro. Di conseguenza la disoccupazione è esplosa fino ad arrivare al 50%
della popolazione attiva. Attualmente mezzo milione di palestinesi si nutre di
aiuti umanitari. Il consumo di cibo pro capite è crollato del 30%. A Gaza il
13,3% della popolazione soffre di denutrizione acuta: una percentuale da Terzo
Mondo, analoga a quella dello Zimbawe (13%) e del Congo (13,9%).
E poi ci sono i dati macroeconomici, nei quali si rispecchia la tragedia
quotidiana dei palestinesi. Stando al rapporto, il prodotto interno lordo pro
capite nell’Ap si è dimezzato nel corso di questi due anni di crisi, così come
le esportazioni (mentre le importazioni sono diminuite di un terzo). Anche le
entrate fiscali sono crollate, non solo a causa della disoccupazione e della
povertà, ma anche perché Israele non raccoglie più le imposte per la Ap (un
accordo tra i due governi, ormai ridotto a carta straccia, prevedeva questa
forma di collaborazione). Messe insieme tutte queste concause, il risultato
finale è che il gettito fiscale dell’Autorità palestinese è crollato dai 91
milioni di dollari del 2000 agli attuali 19 milioni. L'economia nazionale ha
perso in due anni 5,4 miliardi di dollari.
Secondo la Banca Mondiale sono tre i motivi per cui l’economia
palestinese non si è sfasciata definitivamente: la solidarietà e la capacità di
resistenza dei palestinesi, la perdurante fornitura di servizi essenziali da
parte dell’Autorità, gli aiuti umanitari (giudicati “essenziali” dal rapporto)
che sono quasi raddoppiati rispetto al periodo pre-Intifada, arrivando alla
cifra di un miliardo di dollari nel 2002.
Tuttavia non ci sono buoni segnali sul fronte delle donazioni per il 2003.
Molti paesi europei e arabi potrebbero ridurre il volume delle elargizioni
economiche indispensabili alla sopravvivenza dell’economia palestinese. Per
questo motivo la Banca Mondiale fa appello agli Stati che hanno finora
sostenuto l’Autorità: nel 2003, si legge nel rapporto, sarebbe necessario
arrivare a una soglia minima di 1,1 miliardi di dollari in donazioni. Che
comunque non risolverebbero il problema.
“Mantenere alto il livello degli aiuti è vitale - riconosce Nigel Roberts,
responsabile della Banca Mondiale per Gaza e Cisgiordania - ma non sarà
sufficiente a prevenire il declino economico. Con le barriere di sicurezza ogni
miliardo ottenuto dagli aiuti stranieri si limiterà a ridurre di circa il 6% il
tasso di povertà. Questa è una crisi che non può essere risolta unicamente dal
denaro”. Secondo Roberts occorre una “piattaforma condivisa” che promuova il
“progresso sociale ed economico sia in Israele sia in Palestina”.
Per l’organismo mondiale, l’Autorità dovrebbe lanciare un piano di emergenza
nazionale per fronteggiare le difficoltà del 2003. Su quello che dovrebbe fare
Israele, invece, la Banca mondiale mostra qualche imbarazzo in più ad avanzare
proposte. Riconoscendo il “legittimo diritto di Israele a difendere i propri
cittadini”, il rapporto invita Tel Aviv, in modo generico, a favorire la
“stabilizzazione economica” mitigando le barriere e i blocchi interni alla
regione. In secondo luogo, il rapporto invita Israele ad agevolare, più di
quanto non faccia adesso, il lavoro delle organizzazioni umanitarie e delle
Ong.
( 5 Marzo 2003)
Da Rassegna Sindacale