www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 08-03-03

Palestina in ginocchio / Rapporto della Banca mondiale sulla crisi


Il 60% dei palestinesi vive  sotto la soglia della povertà

di Davide Orecchio

Due milioni di palestinesi (il 60% della popolazione) vivono sotto la soglia della povertà, mantenendosi ogni giorno con meno di due dollari americani a testa. Nel settembre 2000, quando scoppiò la seconda Intifada, i poveri in Palestina erano 637 mila. Il che significa che in due anni di conflitto con gli israeliani il livello d’indigenza è triplicato. E’ solo il più scioccante di una lunga serie di dati forniti dalla Banca mondiale in un rapporto sulla crisi dell’economia palestinese (“Two years of Intifada.
Closures and palestinian economic crisis”). Un tracollo che ha una sola causa: la barriera di sicurezza eretta da Israele intorno alla Cisgiordania, che sta lentamente ma progressivamente strangolando l’economia dell’Autorità palestinese (Ap), ormai chiusa in se stessa e paralizzata dalla quarantena. La situazione potrebbe poi precipitare in seguito alle ricadute di un’eventuale guerra in Iraq.  Il disastro, sottolinea il rapporto, comincia dalla vita di tutti i giorni. Dal lavoro che gli arabi, confinati in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, non hanno più. Due anni fa lavoravano in Israele e negli insediamenti israeliani 128 mila palestinesi. Scoppiata l’Intifada, il governo di Tel Aviv ha tagliato drasticamente i permessi di lavoro. Di conseguenza la disoccupazione è esplosa fino ad arrivare al 50% della popolazione attiva. Attualmente mezzo milione di palestinesi si nutre di aiuti umanitari. Il consumo di cibo pro capite è crollato del 30%. A Gaza il 13,3% della popolazione soffre di denutrizione acuta: una percentuale da Terzo Mondo, analoga a quella dello Zimbawe (13%) e del Congo (13,9%).

E poi ci sono i dati macroeconomici, nei quali si rispecchia la tragedia quotidiana dei palestinesi. Stando al rapporto, il prodotto interno lordo pro capite nell’Ap si è dimezzato nel corso di questi due anni di crisi, così come le esportazioni (mentre le importazioni sono diminuite di un terzo). Anche le entrate fiscali sono crollate, non solo a causa della disoccupazione e della povertà, ma anche perché Israele non raccoglie più le imposte per la Ap (un accordo tra i due governi, ormai ridotto a carta straccia, prevedeva questa forma di collaborazione). Messe insieme tutte queste concause, il risultato finale è che il gettito fiscale dell’Autorità palestinese è crollato dai 91 milioni di dollari del 2000 agli attuali 19 milioni. L'economia nazionale ha perso in due anni 5,4 miliardi di dollari.  Secondo la Banca Mondiale sono tre i motivi per cui l’economia palestinese non si è sfasciata definitivamente: la solidarietà e la capacità di resistenza dei palestinesi, la perdurante fornitura di servizi essenziali da parte dell’Autorità, gli aiuti umanitari (giudicati “essenziali” dal rapporto) che sono quasi raddoppiati rispetto al periodo pre-Intifada, arrivando alla cifra di un miliardo di dollari nel 2002.

Tuttavia non ci sono buoni segnali sul fronte delle donazioni per il 2003. Molti paesi europei e arabi potrebbero ridurre il volume delle elargizioni economiche indispensabili alla sopravvivenza dell’economia palestinese. Per questo motivo la Banca Mondiale fa appello agli Stati che hanno finora sostenuto l’Autorità: nel 2003, si legge nel rapporto, sarebbe necessario arrivare a una soglia minima di 1,1 miliardi di dollari in donazioni. Che comunque non risolverebbero il problema.
“Mantenere alto il livello degli aiuti è vitale - riconosce Nigel Roberts, responsabile della Banca Mondiale per Gaza e Cisgiordania - ma non sarà sufficiente a prevenire il declino economico. Con le barriere di sicurezza ogni miliardo ottenuto dagli aiuti stranieri si limiterà a ridurre di circa il 6% il tasso di povertà. Questa è una crisi che non può essere risolta unicamente dal denaro”. Secondo Roberts occorre una “piattaforma condivisa” che promuova il “progresso sociale ed economico sia in Israele sia in Palestina”.

Per l’organismo mondiale, l’Autorità dovrebbe lanciare un piano di emergenza nazionale per fronteggiare le difficoltà del 2003. Su quello che dovrebbe fare Israele, invece, la Banca mondiale mostra qualche imbarazzo in più ad avanzare proposte. Riconoscendo il “legittimo diritto di Israele a difendere i propri cittadini”, il rapporto invita Tel Aviv, in modo generico, a favorire la “stabilizzazione economica” mitigando le barriere e i blocchi interni alla regione. In secondo luogo, il rapporto invita Israele ad agevolare, più di quanto non faccia adesso, il lavoro delle organizzazioni umanitarie e delle Ong.

( 5 Marzo 2003)

Da Rassegna Sindacale