La lotta dei prigionieri Palestinesi: una nuova tappa dell'Intifada
24 agosto 2004
Comunicato di Nadi al-asir al-filistini, n° 067 22/08/2004
(Club dei prigionieri palestinesi)
Il 15 agosto 2001 i prigionieri palestinesi hanno iniziato uno sciopero della
fame per protestare contro il deterioramento critico delle loro condizioni di
detenzione. 1500 prigionieri in tre prigioni centrali hanno iniziato il 15
agosto e 2500 prigionieri di altre prigioni centrali li hanno raggiunti il 18
agosto e in totale vi sono oggi 4000 prigionieri palestinesi in sciopero della
fame. Il movimento è seguito anche dai prigionieri rinchiusi nei campi militari
(Ofer, Naqab e Megiddo) che, non potendo intraprendere lo sciopero della fame,
organizzano altre forme di lotta per affermare la loro partecipazione a questo
grande movimento di protesta. Inoltre, i prigionieri malati minacciano di
raggiungere il movimento a partire da lunedì 23 agosto.
Non è la prima volta che i prigionieri palestinesi intraprendono uno sciopero
della fame generalizzato nella maggior parte delle prigioni. Già nel 1992 uno
sciopero della fame di 15 giorni aveva obbligato la direzione delle prigioni ad
apportare dei miglioramenti nelle condizioni di detenzione. Prima e dopo, molti
scioperi o scioperi della fame hanno avuto luogo, soprattutto nelle prigioni di
Beer Sheva, Askelon, Nafha ed anche nell'insieme delle prigioni, per
rivendicazioni politiche o per migliorare le condizioni di detenzione, come lo
sciopero attuale.
Cosa chiedono i prigionieri?
Una vita degna ed umana dietro le sbarre. La lista delle rivendicazioni è lunga
ed è stata diffusa più volte, con più o meno precisione, dalle diverse
associazioni di solidarietà con i prigionieri. In sintesi, i prigionieri
palestinesi chiedono condizioni di vita decenti (nutrimento, proprietà), la
soppressione delle multe, dei vetri di isolamento nei parlatori
(americanizzazione delle prigioni), delle perquisizioni corporali, delle
perquisizioni ininterrotte e provocatorie delle celle e chiedono anche la fine
delle umiliazioni, dei pestaggi, delle torture fisiche e morali,
l'autorizzazione di visite regolari dei famigliari, l'autorizzazione di
telefonate con le famiglie, il diritto di studiare liberamente, il diritto di
ricevere pacchi (cibo, vestiti, effetti personali), il diritto alle cure per i
malati e i feriti.
Si tratta di rivendicazioni giuste e semplicemente umane, che rispondono alle
norme ed ai trattati internazionali.
Attorno ai prigionieri si è mobilitata tutta la società palestinese. In tutte le
province e le città di Gaza e della Cisgiordania, nei territori occupati nel
1948, i Palestinesi hanno affermato dai primi giorni dello sciopero la loro
solidarietà e il loro sostegno al movimento dei prigionieri. Tende della
libertà sono state montate nelle principali città, la gente vi affluisce e
molte personalità hanno dichiarato di intraprendere lo sciopero della fame in
solidarietà, come lo sceicco Tamini e l'archimandrita Hanna Atallah.
Un movimento unitario.
Gli appelli del movimento unificato dei prigionieri (due, sino ad ora) sono
chiari: lo sciopero intrapreso dai prigionieri è un movimento unitario e non
partigiano. Il secondo appello mette chiaramente in guardia contro lo sviamento
del movimento da parte delle organizzazioni politiche, non perchè gli
scioperanti non siano politicamente impegnati, ma perchè hanno deciso di potare
dalle prigioni in cui si trovano un colpo alle divisioni della scena
palestinese esterna. Il loro movimento raccoglie tutte le forze politiche
impegnate nella resistenza palestinese all'occupazione.
In questo senso, noi che siamo impegnati nel sostegno al popolo palestinese ed
alle sue giuste rivendicazioni di liberazione, dobbiamo rispettare questa unità
e valorizzarla nella nostra azione di solidarietà.
La società palestinese è unita attorno ai prigionieri. Il numero delle persone
arrestate, ancora in prigione o rilasciate, è così grande da unire tutta la
popolazione palestinese. Nessuna famiglia è stata risparmiata dagli arresti.
Chiunque può essere arrestato dai soldati e condotto nei centri di detenzione,
per esservi rinchiuso da qualche giorno a molti anni, anche senza processo. Le
famiglie che attualmente non hanno nessuno in cercere, lo hanno avuto in
passato. E' per questo che la questione dei prigionieri è la questione generale
che tocca tutti i Palestinesi. Inoltre, i prigionieri sono di tutte le età: vi
sono bambini, ragazzi, adulti ed anziani. Essi arrivano da tutte le regioni,
dal nord e dal sud, dal centro, dall'ovest e dall'est. Nessuna provincia è stata
risparmiata, nessun luogo ha evitato le retate o gli attacchi armati.
Chi sono questi prigionieri?
Secondo i dati forniti dalle associazioni di solidarietà, come Ansar al-sageen,
vi sono circa 418 prigionieri che sono in carcere da più di dieci anni, prima
degli accordi di Oslo. Sono i prigionieri che lo Stato sionista ha rifiutato di
liberare nel quadro degli accordi. Gli altri, tutti dall'Intifada di al Aqsa.
Fra i prigionieri, 6 lo sono da più di 25 anni, 11 da più di 20 anni e 297 da
più di 10 anni. Il prigioniero più vecchio è
Saïd Atabeh, arrestato nel 1977 (27 anni di prigione).
Vi sono Palestinesi accusati e giudicati da Israele per aver commesso atti di
resistenza armata contro l'occupazioen, vi sono quelli sequestrati dalle truppe
di occupazione durante le massicce retate, soprattutto fra la primavera e
l'estate 2001, vi sono quelli accusati di appartenere ad organizzazioni
politiche «nemiche», vi sono tutti quelli arrestati durante le manifestazioni,
gli scontri con l'esercito di occupazione, perchè lanciavano pietre o
bruciavano pneumatici. Vi sono anche quelli arrestati per fare pressione sui
loro parenti ricercati dalle forze di occupazione. Vi sono giovani accusati di
aver manifestato l'intenzione di fare qualcosa contro l'occupazione. Fra i
prigionieri, alcuni dirigenti politici: due deputati, Marwan Barghouty e Hussam
Khadr, un membro del comitato esecutivo dell’OLP, Abdul Rahim Mallouh,
dirigenti di formazioni politiche, Muhammad Kana’ina e Cheikh Raed Salah, così
come il leader delle Brigate di Al Aqsa, Nasir Uways, per non citarne che
alcuni.
(...)
Solo i prigionieri di Cisgiordania e Gaza sono considerati da Israele come
prigionieri dell'Autorità Palestinese, la cui sorte può essere negoziata. I
prigionieri di Gerusalemme (annessa illegalmente dallo Stato ebraico), i
prigioieri del Golan (annesso illegalmente dallo Stato ebraico) e i prigionieri
della parte occupata nel 1948 (i Palestinesi dell'Interno) sono considerati
come una questione interna. (...)
Tuttavia, i prigionieri di Cisgiordania e Gaza non sono considerati prigionieri
di guerra, nè trattati come tali. Al contrario. Durante gli accordi di Oslo,
una parte dei prigionieri sono stati liberati, ma un'altra parte è stata
trasferita nelle prigioni situate nello Stato di Israele, in violazione dei
trattati internazionali e soprattutto della Convenzione di Ginevra. Da allora,
Israele se ne frega di tutte queste considerazioni giuridiche, e imprigiona i
Palestinesi in carceri o centri di detenzione, senza distinzione. Di norma, i
Palestinesi arrestati in Cisgiordania e a Gaza rimangono nei centri di
detenzione fino a quando un tribunale militare decide la loro pena. Quando la
sentenza è stata pronunciata, sono trasferiti nelle prigioni centrali, situate
nello Stato sionista. Ma molti prigionieri sono rimasti nei centri di
detenzione anche dopo la sentenza del tribunale.
I prigionieri amministrativi sono le persone arrestate ma non giudicate,
internate a causa dei «dossiers segreti» tenuti dai servizi di intelligence.
C'erano 1135 detenuti amministrativi nel luglio scorso. La loro detenzione può
essere rinnovata senza limiti, di sei mesi in sei mesi. Per questo migliaio di
prigionieri, l'incertezza riguardo al loro periodo di detenzione è la
sofferenza più grande. Ogni sei mesi, sperano di fare parte del lotto di quelli
che escono. Vi sono anche quelli che non sono stati giudicati, ma che non sono
ancora amministrativi, e sono circa 3000. Sono le persone arrestate di recente,
che spesso si trovano con i prigionieri amministrativi nelle carceri militari.
I prigionieri di Geusalemme, della Palestina del '48 e del Golan sono
considerati come prigionieri «interni». Se il diritto di visita delle famiglie
è più ragionevole, essi non sfuggono ai trattamenti umilianti e violenti inflitti
agli altri prigionieri palestinesi. Nelle prigioni, portano avanti le stesse
lotte, condividono le stesse speranze e ritrovano l'unità che i dirigenti
sionisti tentano di spezzare. A differenza dei prigionieri arabi, i prigionieri
del Golan siriano occupato subiscono la stessa sorte dei Palestinesi del '48, a
causa dell'annessione. Nonostante la maggior parte dei Siriani del Golan abbia
rifiutato la nazionalità israeliana, essi subiscono la sorte dei Palestinesi
del '48.
La questione dei prigionieri è stata sollevata - probabilmente, senza la
fermezza necessaria - in tutti i negoziati fra l'Uutoià Palestinese e lo Stato
israeliano. Infatti, i risultati sono stati molto magri. In due riprese, il
governo israeliano ha « liberato» alcuni prigionieri nel corso degli ultimi
anni: nell'agosto 2003, i prigionieri rilasciati erano quelli le cui pene erano
quasi terminate o che erano in detenzione amministrativa e nel febbraio 2004,
nel corso delle scambio di prigionieri fra lo Stato di Israele ed Hezbollah, i
prigionieri palestinesi liberati sono stati quelli con le accuse meno gravi o
che sarebbero usciti entro breve tempo. Nadi al-asir al-Filistini definisce
queste «liberazioni come una misura per ridimensionare il sovraffollamento
momentaneo delle prigioni e dei centri di detenzione.
(...)
Guantanamo, Abu Ghrayb et Khiam
Da qualche mese, i prigionieri e i loro avvocati, i famigliari e i comitati di
solidarietà sono unanimi nel dire che la repressione contro i prigionieri ha
raggiunto livelli mai visti prima. Le violenze e le umiliazioni sono
generalizzate, le privazioni quotidiane. La maggior parte delle conquiste
precedenti dei prigionieri, ottenute con le loro lotte, sono state soppresse.
Per comprendere questa situazione, possono essere avanzate due motivazioni:
1 – Il governo Sharon rafforza la sua repressione contro tutto il popolo
palestinese. Egli vuole farla finita con la resistenza palestinese, con ogni
rivendicazione di liberazione del popolo palestinese. Gli omicidi mirati, i
bombardamenti indiscriminati, le distruzioni di case, di interi quartieri, la
costruzione del Muro, l'incremento della colonizzazione, il soffocamento di
ogni attività a Gerusalemme, tutto è fatto per schiacciare e far tacere il
popolo palestinese. La repressione nelle prigioni fa parte della stessa
politica della terra bruciata, come se Sharon e il suo governo volessero farla
finita il più presto possibile con «una spina» nel momento in cui gli Stati
Uniti sono nella stessa logica nel mondo contro quello che chiamano «il
terrorismo».
2 – Come gli Stati Uniti a Guantanamo e Abu Ghrayb in Iraq, Israele vuole
imporre una situazione in cui sia disimpegnato dai diversi trattati
internazionali che lo vincolano, con il pretesto che i prigionieri palestinesi
sono dei «terroristi». Questo non significa che fino a questo momento Israele
abbia rispettato questi trattati o le convenzioni di Ginevra relative ai
prigionieri, ma quando i rappresentanti del governo sionista si trovano nelle
tribune internazionali tentano di giustificarsi rispetto ai trattati che hanno
firmato, e promettono di migliorare, di regolare, ecc. la situazione. Riguardo
alle convenzioni di Ginevra, Israele non ha mai voluto ammettere che è
vincolato da esse perchè non riconosce nemmeno di essere uno Stato occupante.
Ma attualmente si tratta ancora di altro. Israele non cerca nemmeno più di
salvare le apparenze, perchè prende a modello il comportamento degli Stati
Uniti a Guantanamo. Migliaia di persone rinchiuse, in condizioni spaventose,
senza processo, senza visite, fuori da tutte le norme internazionali,
nell'arbitrio più totale, con il pretesto della lotta contro il «terrorismo».
Alcuni prigionieri palestinesi hano recentemente fatto notare che la direzione
delle prigioni o gli stessi guardiani li minacciano di fare come ad Abu Ghrayb,
se non sono contenti della loro sorte. Questo perchè, dopo Guantanamo, l’orrore
delle pratiche messe in atto nella prigione irachena è un altro modello che gli
occupanti sionisti non hanno ancora imitato, perlomeno in tutta la sua
ampiezza. In realtà, il modello di Abu Ghrayb ha iniziato ad essere messo in
pratica, come le perquisizioni collettive dei prigionieri nudi. Diverse
testimonianze recenti hanno denunciato queste pratiche umilianti. Bisogna dire
anche che certe pratiche americane ad Abu Ghrayb sono le stesse anticipate dai
sionisti nelle prigioni segrete, fra cui la prigione 1391 : una prigione al
riparo da ogni sguardo, dove i servizi di informazione israeliani praticano gli
atti più vili e più feroci per far «confessare», per umiliare e punire le
persone arrestate.
Quante prigioni segrete restano ancora da scoprire?
Al momento dell'affare di Abu Ghrayb, molte persone ben intenzionate hanno
immediatamente fatto circolare informazioni sulle torture e le violenze commesse
dalle guardie israeliane nelle prigioni, volendo mettere in parallelo le due
situazioni. E' vero che le torture sono praticate e generalizzate, poiché la
maggior parte dei prigionieri subiscono lo shabeh (1), che non è né più, né
meno che una tortura. Molte testimonianze di prigionieri confermano le torture
morali e fisiche inflitte agli adulti ed ai bambini durante gli interrogatori.
Riguardo le violenze, esistono ugualmente testimonianze raccolte dai
prigionieri, in particolare i bambini.
E' vero anche che istruttori israeliani hanno partecipato alle torture dei
prigionieri di Abu Ghrayb, ma quello che differenzia fondamentalmente le due
esperienze è che ad Abu Ghrayb i guardiani ed i loro superiori americani
volevano umiliare e vendicarsi di un popolo, dei suoi valori, della sua
civiltà, subito dopo la loro invasione dell'Iraq, come per «gustarsi la
vittoria». Mentre nelle prigioni sioniste, benché queste pratiche siano
vecchie, non sono state generalizzate. Ma nel clima attuale i guardiani e i
soldati sionisti mostrano un sadismo sempre più accentuato. Alcuni soldati
iniziano a scattare foto dei loro «exploits» all'esterno delle prigioni.
D’altronde, fino ad ora i soldati e i guardiani sionisti, almeno
apparentemente, hanno lasciato fare il «lavoro sporco» ai non ebrei. Come per i
massacri di Sabra e Chatila, in cui l'esercito di Sharon ha lasciato fare le
milizie cristiane libanesi, supervisionando le operazioni e assicurando la
tranquillità dei boia, i soldati e i guardiani fanno eseguire le operazioni
basse e vili dai «drusi» e dai membri delle milizie cristiane recuperati dopo
la liberazione del sud del Libano. Molte testimonianze di prigionieri lamentano
la repressione selvaggia operata da queste categorie, al punto che i
responsabili della comunità drusa (palestinese del '48) sono stati obbligati a
pubblicare un documento che sconfessa l'operato dei membri odiosi della loro
comunità (luglio 2004).
Un precedente israeliano, prima di Guantanamo, è la prigione di Khiam, nel
Libano del sud occupato. Situato in territorio conquistato e non occupato,
secondo le norme israeliane, questo carcere era amministrato dai sionisti e dai
miliziani di Lahad (2). Se i militari israeliani non si compromettevano nelle
azioni più degradanti, lasciate abitualmente ai miliziani che appagavano la
loro sete di vendetta, la prigione di Khiam è rimasta per molto tempo una
prigione "segreta", fuori dai controlli e dalle norme internazionali.
Come sostenere i prigionieri palestinesi.
Oggi, i prigionieri palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame
illimitato per reclamare il miglioramento delle loro condizioni di detenzione.
Essi hanno messo in gioco la propria vita, consapevoli che il governo
israeliano e la direzione delle prigioni mostrano fino ad ora un'intransigenza
arrogante di fronte alle loro richieste. Le dichiarazioni dei dirigenti
sionisti sono chiare: «i prigionieri possono morire», «non verranno ricoverati
negli ospedali israeliani» ha dichiarato il ministro degli interni israeliano.
E' iniziata una dura battaglia e i prigionieri dichiarano che andranno fino in
fondo.
E' evidente che dobbiamo rendere popolare la loro lotta, che dobbiamo esprimere
con forza la nostra solidarietà con loro e fare in modo che il governo
israeliano ceda alle loro rivendicazioni. Dobbiamo moltiplicare le azioni di
solidarietà, spiegare ampiamente le condizioni in cui si trovano e le ragioni
del loro movimento.
Dobbiamo ugualmente esigere dai responsabili politici che facciano pressione
sul governo israeliano per indurlo a cedere.
Dobbiamo contattare le organizzazioni internazionali umanitarie per indurle a
visitare le prigioni israeliane al più presto: la Croce Rossa Internazionale
non può continuare con la politica dello struzzo di fronte alle autorità
israeliane.
Ma, aldilà di queste azioni per far avere un esito positivo alle rivendicazioni
attuali dei prigionieri palestinesi, è necessario porre questa questione sulle
sue basi corrette: dobbiamo esigere la liberazione di tutti i prigionieri
palestinesi. Bisogna esigere da tutti quelli che partecipano ai negoziati di
mettere la liberazione di prigionieri palestinesi come preliminare per ogni
negoziato. E' necessario che questa questione sia al centro dell'attività di
tutte le associazioni che sostengono il popolo palestinese. I prigionieri
palestinesi sono tutti combattenti per la libertà. Nessun avanzamento politico
può essere realizzato se i prigionieri palestinesi non saranno liberati e
nessuno, né israeliano né altro, ha il diritto di distinguere fra loro, fra
quelli che hanno le mani «sporche di sangue» e gli altri. Perchè la questione
di fondo è l'occupazione di un paese che ha portato alla resistenza ed alla
lotta per la liberazione.
R. Ousseiran
22 agosto 2004
Nadi al-Asir al-Filistini (Club dei prigionieri palestinesi)
Tradotto dal francese da Germano Monti
(1) Lo shabeh è una tortura che consiste nel tenere per giorni e giorni il
prigioniero legato in una posizione innaturale su una piccola sedia sbilenca.
(2) Il "generale" Lahad era un diserore dell'Armèe libanese posto
dagli Israeliani a capo del sedicente Esercito del Libano del Sud, milizia
cristiana collaborazionista con gli occupanti sionisti. I miliziani di Lahad
erano celebri per la loro ferocia, manifestata - fra l'altro - nelle stragi di
Sabra e Chatila e contro i prigionieri palestinesi e libanesi della resistenza.
Il "generale" venne giustiziato da una combattente del Partito
Comunista Libanese.