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da www.solidnet.org
From: Palestinian People's Party, Tuesday, 15 March 2005
http://www.palpeople.org , mailto:hanna@palpeople.org

Il disimpegno non può diventare una soluzione ad interim di lungo termine!


Hanna Amireh*
5 Marzo 2005

Quelli che difendono il piano di disimpegno di Sharon giustificano il loro appoggio dicendo che questo è il massimo che Israele possa offrire nella fase attuale e che il sistema politico israeliano non può fare più di questo.

Perciò il governo israeliano non può soddisfare la richiesta della Palestina di cominciare dirette trattative dello status finale e nemmeno parlare della definizione di un stato palestinese; al contrario, la volontà di Israele è di continuare a porre altri ostacoli ad ogni seria trattativa finché i palestinesi non soddisferanno le condizioni di sicurezza israeliane, vale a dire la lotta al terrorismo e lo smantellamento delle infrastrutture delle fazioni armate palestinesi.

In questo contesto, Israele nasconde, in modo sistematico e deliberato, la limitatezza delle proprie posizioni politiche che non arrivano a rispondere al tetto minimo dei legittimi diritti nazionali del popolo palestinese, tentando di impedire ogni seria azione politica focalizzando l’attenzione sulla “sicurezza”.

Il governo israeliano usa “sicurezza e considerazioni di sicurezza” per 
costruire un recinto di segregazione razziale ed imporre la sua soluzione unilaterale o la soluzione dello status quo, attraverso confini molto ridotti dello stato palestinese e attraverso l’isolamento della sua capitale, attraverso il rafforzamento del suo schema di dislocazione nei territori palestinesi.

Fin dalla dichiarazione ufficiale di Israele del suo piano di disimpegno a
Gaza, ogni giorno abbiamo sentito e letto di un nuovo progetto di colonizzazione nel West Bank, o di terra confiscata o di nuove misure per  consolidare l'assedio imposto alla città di Gerusalemme e per spingere i suoi cittadini a scegliere tra due opzioni: il completo isolamento o lo sfratto in massa.

In questo senso, vanno notate le dichiarazioni del generale Dan  Halloutz, futuro Capo di Stato Maggiore nell'esercito israeliano, che disse che il muro di separazione attorno a Gerusalemme sarebbe stato completato dal prossimo Luglio e che il processo di costruzione del 95% del muro nel West Bank verrà concluso  entro la fine di quest’anno. Queste asserzioni sono state fatte da Halloutz di fronte Comitato di Sicurezza e Affari Esteri della Knesset israeliana al tempo in cui Israele era solamente in grado di edificare un terzo del recinto, a più di due anni dall'inizio della costruzione del muro.

Inoltre, il Ministero dell'Edilizia israeliano rivelò documenti di un progetto di costruzione di circa 6.400 unità di nuovi fabbricati in otto colonie, prevalentemente attorno alla città di Gerusalemme. Vi era anche dichiarata l’intenzione di rafforzare la Legge Proprietaria degli Assenti (proprietari che non vivono sulle terre) rispetto ai cittadini gerusalemiti arabi, e l’intenzione di proibire ai cittadini di Gerusalemme di entrare nel resto delle regioni del West Bank, senza permessi speciali e le altre misure.

Dalla comparazione tra le scadenze dei progetti summenzionati e le scadenze per perfezionare il piano di disimpegno, si può notare la stretta relazione tra loro e che entrambi i tetti temporali sono stati fissati per la fine di quest’anno, il che vuol dire che il 2005 testimonierà la realizzazione del piano di disimpegno da Gaza- a meno che debba essere differito per un po’ di tempo a causa della decisione del Partito del Likud di condurre un referendum sul piano. Lo stesso anno testimonierà anche il completamento del muro nel West Bank e quello dell'assedio attorno a 
Gerusalemme e l'espansione di colonie e attestamenti attraverso l’annessione di blocchi di settlement e la costruzione della così detta rete di strade alternative... ecc.

Secondo Sharon, la soluzione unilaterale prenderà la forma del
disimpegno da non più del 4% dell'area dei territori palestinesi- l'area della striscia di Gaza- e la seconda forma del disimpegno sarà il consolidamento dei collegamenti o l’occupazione del West Bank. In cambio dello smantellamento di 21 colonie e dell’evacuazione di 8.000 settlers dalla striscia di Gaza, cercherà di impadronirsi di più di metà dell’area del West Bank e di sistemarvi più di 40.000 coloni aggiuntivi, il più presto possibile.

Tutto ciò sta succedendo nel mezzo di campagne mediatiche, promesse di aiuti finanziari, visite, conferenze e dichiarazioni di molti leader arabi e stranieri, con lo scopo di diffondere un clima di ottimismo sulla possibilità di risoluzione del conflitto israelo-palestinese e di dare l’impressione che il piano di disimpegno sia la magica chiave per tale soluzione. Ma il pericolo maggiore sono le aperture espresse dai paesi arabi, di presentarsi anticipatamente con ricompense incoraggianti che possono rinforzare lo status interno, regionale ed internazionale di Sharon, inclusa l’instaurazione di relazioni diplomatiche con Israele- in relazione a ciò, il Ministero degli Esteri israeliano prevede di avviare relazioni con dieci Paesi arabi nel prossimo futuro.

La realtà attuale crea al popolo palestinese e alla sua leadership seri pericoli da affrontare e tali pericoli devono essere affrontati con saggezza e acume perché l'impatto e le conseguenze dureranno per molti anni a venire. La sfida più seria in questo scenario è come affrontare il piano israeliano che punta a trasformare i progetti di disimpegno in una soluzione provvisoria di lungo termine!! Quanto tempo e quale appropriata copertura può accordare Sharon- o il suo successore- per perfezionare tutti i suoi piani di colonizzazione e non-colonizzazione del West Bank !!

Questo pericolo non è virtuale; è un pericolo reale; non è sufficiente dire semplicemente che il piano di disimpegno costituirà il primo passo verso il completo ritiro israeliano o un primo passo verso la realizzazione di tutti gli articoli della roadmap o altri argomenti, come a dire che il ritiro da Gaza è una concessione dolorosa o che questo è il massimo che Israele, nella situazione attuale, possa offrire e che non vi è nessuna possibilità di esigere di più! Il 3 Marzo, nel suo discorso di fronte al Comitato Centrale del Likud, Sharon ha confermato molto chiaramente il pericolo cui stiamo alludendo, quando ha detto: Grazie alle colonizzazioni noi manterremo per sempre importanti e basilari ubicazioni per la nostra esistenza a Gerusalemme, nostra capitale eterna, e installazioni coloniali nei luoghi più sacri della nostra storia e nelle aree di sicurezza che sono fondamentali per la nostra difesa”.

Nel testo del piano di disimpegno, possiamo trovare indicate le aree obiettivo nel West Bank che rimarranno parte dello stato di Israele, inclusi i principali blocchi coloniali, città, centri abitati, zone di sicurezza e altre aree. Lo stesso testo dichiara anche che lo stato di Israele continuerà a costruire il muro di separazione.

Questa è una definizione estremamente franca della posizione ufficiale stabilita da Israele, che equipara il piano di disimpegno alla soluzione provvisoria di lungo termine, e li mette sotto uno stesso titolo, che è la soluzione unilaterale israeliana.

Per guadagnare il tempo necessario a perfezionare i propri obiettivi, Israele ha bisogno di trattative provvisorie di lungo termine, con molte interruzioni, divisioni, frammentazioni, che potrebbero durare per un periodo illimitato di tempo! Per fare questo, necessita anche di una copertura internazionale, specialmente americana.

Le recenti trattative per il ritiro dalle città palestinesi e per togliere l’assedio a loro imposto, il ritorno dei deportati, il rilascio di detenuti e la fine delle incursioni, dei raid e della politica di assassinio, possono presentare una nuova prova delle politiche israeliane evasive ed elusive; e rappresentano anche una tragica ripetizione di un trend adottato dai governi di Israele che si sono susseguiti fin dalla firma degli Accordi di Oslo nel 1.993. Durante questi anni, ci sono stati nove governi palestinesi e cinque primi ministri israeliani e la fase provvisoria resta ancora immutata e restano i negoziati, variando tra stallo, reticenza e dilazioni.

Di fronte a tale realtà, sorgono molte domande, come: può il “piano di accumulazione graduale” negli attuali negoziati costituire una risposta appropriata al piano israeliano? È utile dividere i problemi posti nelle trattative in due o più fasi, cominciando con i problemi che Israele vuole discutere e rimandando i problemi che Israele non ha voglia di discutere adesso? Le trattative possono muoversi dai problemi più facili ai problemi più difficili, e per quanto tempo saranno rimandati questi? Alla luce delle correnti misure israeliane, quanta parte del territorio palestinese, specialmente Gerusalemme, rimarrebbe oggetto di negoziato? È corretto che da parte palestinese si sia negoziato a lungo su problemi che Israele ha poi considerato come misure per costruire la fiducia o gesti di buona volontà? Ci sono molte altre legittime questioni che richiedono risposte sincere.

È ora di formulare una politica palestinese e un piano di negoziato basato su concomitanza e interrelazione tra le fasi e i problemi e che non consenta la separazione e la divisione delle questioni in discussione. Tale piano deve sottolineare che la sua eminente priorità è quella di mettere fine alle attività di colonizzazione e di rimozione dei suoi avamposti, di arrestare la costruzione del muro di segregazione razziale e porre fine ad ogni misura di giudaizzazione in Gerusalemme; e tutto questo dovrebbe accadere prima di cominciare a parlare di evacuazione di città, levare l'assedio, rilasciare i prigionieri, far ritornare i deportati e mettere fine a tutte le incursioni, raid e assassini, perché questi sono problemi secondari anche se importanti e verranno di conseguenza in caso un accordo raggiunto sui problemi più importanti che metterebbero fine alla politica di occupazione, all’imposizione dello status quo relativamente ai problemi di terra e sovranità.

Siamo ad una nuova fase e ad un punto di svolta pericoloso. Non c'è dubbio che le Elezioni Presidenziali palestinesi e l'elezione di Mahmoud Abbas come Presidente dell’ANP, le imminenti elezioni legislative di Luglio, la dichiarazione di calma, che è una buona e saggia decisione, mettono d’accordo tutte le fazioni e le forze palestinesi; senza dubbio creeranno il giusto clima internazionale nell'interesse della causa palestinese ed offriranno la possibilità di muoversi verso la ricerca di una soluzione giusta e comprensiva per la causa palestinese.

Fare uso di questo clima richiede di non mostrare nessuna paura del rifiuto di Israele alle legittime richieste palestinesi e alle richieste di cominciare
a parlare immediatamente dello status finale e a realizzare un blocco totale dello status quo della politica di colonizzazione e alla costruzione del muro di segregazione razziale. Queste sono le fondamentali e giuste richieste alle quali noi dovremmo aggrapparci nel rispondere al piano unilaterale israeliano, per non permettere al piano di disimpegno di  diventare una soluzione provvisoria di lungo termine.

* Membro del Comitato Esecutivo (OLP)
   Membro di Politburo del Partito Popolare Palestinese.

Traduzione dall’inglese Bf