"Per lo Stato Palestinese. Il più presto possibile"
di Andrea D’Urso
18/02/2006
Intervista al giornalista de il manifesto Stefano Chiarini
Siamo in
collegamento con Stefano Chiarini, giornalista del manifesto ed esperto in
questioni mediorientali.
La Sinistra per Israele definisce Sharon “uomo di pace” ma anche alcuni
soggetti della sinistra d’alternativa tradizionalmente vicini alla causa
palestinese hanno preso le distanze dall’iniziativa del 18 febbraio. Quali
sono, secondo te, le ragioni?
La parola d’ordine fondamentale della manifestazione è la richiesta di uno Stato
palestinese nei territori occupati accanto ad Israele. Ciò deve avvenire il più
presto possibile, prima che divenga impossibile uno scambio “pace contro
territori”; se la colonizzazione si estende a tuta la West Bank, come sta
avvenendo, non ci sarà più la possibilità di questo scambio e quindi la
possibilità della pace.
Il secondo punto che poniamo è il congelamento del trattato di cooperazione
militare tra Italia ed Israele perché ciò coinvolge direttamente il nostro
paese nelle politiche israeliane.
Questi sono gli obiettivi della piattaforma. In un certo senso, quindi, la non
adesione di alcuni (in particolare la maggioranza di Rifondazione Comunista) ci
ha sorpreso e meravigliato. Crediamo sia riconducibile al clima elettorale;
infatti la critica che ci è stata mossa è quella di non aver specificato la
richiesta di “due popoli, due stati”, rivendicazione che è per noi ovvia dal
momento che chiediamo uno Stato palestinese accanto ad Israele.
La parola d’ordine “due popoli, due stati” è giusta ma, a mio avviso,
incompleta, nella misura in cui non specifica che uno Stato c’è già e l’altro
no e non dice che cosa bisogna fare affinché si materializzi questo secondo
Stato, uno Stato palestinese che non si sta realizzando per il rifiuto
israeliano di ritirarsi dai territori occupati.
Il secondo punto controverso è il seguente: pur condannando risolutamente il
terrorismo in ogni sua forma, sosteniamo il diritto del popolo palestinese a
resistere, nei modi che ritiene più opportuni, ad una occupazione militare come
quella che sta subendo.
Una resistenza nei confronti dell’esercito occupante, lo ribadisco,
perfettamente legittima.
Lo stesso tribunale di Milano ha riconosciuto in questi giorni che in Iraq c’è
una guerra e c’è una resistenza che vi si contrappone. Ci meraviglia che a
sinistra si sostengano tesi che persino la magistratura sembra aver smentito…
Un punto qualificante della piattaforma è la revoca degli accordi
militari tra Italia ed Israele…
Negli ultimi anni abbiamo assistito all’abbandono, da parte dell’Italia, di una
posizione neutrale e all’appiattimento sulle posizione di Israele. Abbiamo
assistito cioè alla totale assenza di volontà, da parte del governo, di
esercitare alcuna pressione su Israele affinché lasciasse i territori occupati.
Al contrario, si sono rinsaldati i legami della cooperazione senza tenere conto
di quella clausola sui diritti umani che dovrebbe valere nei confronti di ogni
Stato, e quindi anche di Israele.
Ogni accordo sulla tecnologia e le armi dovrebbe essere raggiunto solo quando
si è stabilita una pace nella regione. Altrimenti in qualche modo ci si rende
partecipi di uno sforzo bellico.