www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 18-04-06

Il voto israeliano
 
Dei cittadini di Israele hanno votato meno di due terzi degli aventi diritto – ma il loro voto determina la vita di tutti i palestinesi dei Territori Occupati, che per la Knesset non possono votare. Il destino delle terre di proprietà dei palestinesi e delle fonti idriche dei territori minacciosamente denominati 'Giudea e Samaria', la possibilità dei non ebrei di Cisgiordania di spostarsi da un paese all'altro e di recarsi a Gerusalemme Est, annessa ad Israele in barba a tutte le norme internazionali, degli abitanti della Striscia di Gaza di ricevere soccorso alimentare, di andare a pesca e di esportare i loro prodotti (trascuro il 'diritto' degli abitanti della Striscia di recarsi in Cisgiordania, e viceversa, dato che questo è loro proibito da anni), – tutto questo dipende dal voto israeliano. Lo stesso vale per la decisione di cosa fare dei dazi doganali e dell'IVA palestinesi, che Israele ha confiscato per punire gli abitanti del voto ad un partito che non gradisce: la scusa è che Hamas non disarma e non riconosce Israele, ma nessuno chiede ad Israele di limitare i propri armamenti e di riconoscere i palestinesi, con i quali non tratta da anni - da quando, cioè, il leader era Arafat.
 
Il numero di astensioni (il 45% fra i cittadini arabi) mostra che per molti le differenze fra i principali partiti non erano motivo sufficiente per una scelta. Sui rapporti con i palestinesi, poco divergono: concordano sul 'separarsi' da loro e sull'annettere le grandi colonie, site secondo il diritto internazionale (tenuto da Israele in non cale da decenni) nei Territori Occupati, mentre discutono su quanto estendere il territorio 'israeliano' oltre la Linea Verde e sul numero di enclavi in cui i palestinesi potranno 'vivere'. In presenza di una malnutrizione diffusa, per Dov Weissglas, consigliere del primo ministro, l'obiettivo era che 'dimagrissero': l'annessione di Gerusalemme e il Muro a Betlemme li privano degli introiti del turismo, mentre dall'inizio di gennaio a metà marzo il valico di Karni con la Striscia di Gaza è stato chiuso per 46 giorni, e in Cisgiordania 471 posti di blocco frenano ogni attività economica.
 
Le divergenze sono economiche: ha tenuto il Labour e perso il Likud, responsabile di un neoliberismo che ha portato un quarto della popolazione israeliana sotto il livello di povertà; ben 7 deputati ha avuto il partito dei pensionati, categoria duramente impoverita.
Chi ha vinto, il Kadima, rifiuta di allearsi con i partiti 'non sionisti' (cioè arabi); l'opzione peggiore è che si coalizzi con il Beytenu, partito razzista che vuol togliere la cittadinanza agli arabi israeliani. La speranza è che la sinistra faccia trattare con chi i palestinesi hanno eletto, e che quei pochi che osano sfidare i divieti governativi, recandosi nei Territori Occupati – per difendere i palestinesi dai soldati e dai coloni, ripiantare alberi divelti da questi ultimi, protestare contro l'esproprio di terre per costruire il Muro, e semplicemente per incontrarli da pari a pari – riescano a convincere gli altri israeliani che nemici non sono i palestinesi, ma il razzismo verniciato da incubi demografici.
 
 
Paola Canarutto – Ebrei contro l'Occupazione, European Jews for a Just Peace