www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 28-11-06
Da Il Manifesto
Fermate l'embargo, basta eventi soltanto mediatici
Geraldina Colotti
19/11/2006
Visto negato alla dirigente del Fplp Leila Khaled, a Roma arriva solo un suo messaggio per la piazza. E una polemica: sì ai negoziati, no ai vertici che non risolvono nulla.
Leila Khaled è una figura storica della resistenza palestinese, rappresentante del Consiglio nazionale ed esponente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Avrebbe dovuto partecipare di persona alla manifestazione di Roma. L'avevano invitata l'Unione democratica arabo- palestinese (Udap), i Cobas e anche alcuni parlamentari, che sostengono di aver avuto garanzie per il rilascio del visto da parte dell'ambasciata italiana ad Amman. Ma il visto è stato rifiutato dal nostro ministero degli esteri. E di Leila a Roma è arrivato solo un messaggio, che è stato letto in piazza.
Come mai?
«Non me lo aspettavo. Prodi - dice al telefono - ha dichiarato di voler aprire una nuova pagina nei rapporti con il Medioriente. Ma come se non possiamo muoverci neanche su invito dei vostri parlamentari?»
Cosa si aspetta dall'Italia? Prodi, Chirac e Zapatero, vogliono indire una conferenza di pace.
Come esponente dell'Ufficio politico dell'Fplp (ho la delega al problema dei profughi), chiedo al governo italiano la revoca degli accordi militari con Israele, la fine dell'embargo. In sessant'anni di esilio e diritti negati ci sono state tante conferenze di pace, tutte senza esito, perché nessuno è riuscito a imporre a Israele il rspetto delle risoluzioni dell'Onu. Esploreremo sempre ogni margine di trattativa, però un altro evento mediatico senza costrutto non serve.
Qual è la sua lettura del quadro politico palestinese?
L'Fplp ha invitato sempre all'unità e si adopera per trovare un accordo fra tutte le componenti politiche palestinesi. Siamo consapevoli delle forti divergenze interne, ma in un movimento di liberazione nazionale occorre un'intesa in grado di contrastare l'egemonia dell'occupante e di chi lo sostiene, e un efficace ombrello organizzativo. Per questo lavoriamo per ricostruire una Olp che sia legittima rappresentante del popolo palestinese, si batta per la sua autodeterminazione, per il ritorno dei profughi e per la costruzione di uno stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme. Hamas è stato eletto democraticamente, ma non ha avuto la possibilità di governare per via di un micidiale embargo. Ora ci stiamo adoperando per formare un governo di unità nazionale che abbia come primo obiettivo quello di spezzare l'embargo. Comunque, non vogliamo che si ripeta con Hamas l'esperienza del passato, quando al Fatah ha deviato dalle decisioni politiche palestinesi senza portare a casa nessun risultato. L'esperienza ci ha insegnato che in Palestina nessuna organizzazione da sola potrebbe dirigere le sorti del nostro popolo.
Hanan Awwad, stretta collaboratrice di Arafat, ha detto al manifesto che il rais è stato assassinato e che occorre riaprire l'inchiesta. Cosa ne pensa?
Da noi sì dà per scontato che Arafat sia stato avvelenato, c'è più di un elemento certo, resta da sapere chi sia stato. L'Fplp è tra i promotori di un comitato di ricerca della verità che sta portando avanti l'inchiesta. Un uomo di quella grandezza non merita una fine oscura.
Quali sono oggi gli alleati della resistenza palestinese ?
Senza dubbio le masse arabe, le forze democratiche e di sinistra sono nostri alleati naturali, insieme a quel che resta del panarabismo. Adesso è in corso in Libano un convegno di carattere panarabo che ha al centro la solidarietà con la resistenza palestinese, libanese e irachena. Sono nostri alleati i popoli dell'America latina che hanno eletto governi contrari alle politiche repressive. Con la fine del bipolarismo, sono cambiate le forme della resistenza, sono sorti movimenti mondiali contro la globalizzazione. I loro contorni politici a volte non sono definiti per chi, come noi, si riferisce ancora a un quadro d'analisi marxista, ma andiamo nella stessa direzione.
Lei è stata una delle prime guerrigliere, è femminista e laica. Come valuta le azioni suicide che vedono partecipi anche le donne?
La lotta armata non è stata una scelta individuale, ma quella di un popolo che, dopo il '67, cercava di affermare i propri diritti politici e non voleva essere considerato dal mondo un problema umanitario. Sono passati quarant'anni. Abbiamo tentato tutte le strade, e tutte le strade sono state chiuse. Prima di chiederci perché un giovane, anziché pensare alla vita, arrivi a usare il suo corpo come arma, chiedetevi perché altri territori sono stati confiscati, i contadini privati dei mezzi di sussistenza. Le colonie aumentano di giorno in giorno, e così le esecuzioni mirate, le uccisioni di civili, le punizioni collettive, mentre un muro ci seppellisce vivi. Gli israeliani vengono, ci strappano un altro pezzo di terra, lo recintano, piazzano le tende e le trasformano in campi di detenzione e tortura. Una morte annunciata ogni giorno. Provate a immaginare cosa significhi.