www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 12-05-08 - n. 227

da Contropiano - www.contropiano.org/Documenti/2008/Maggio08/10-05-08IntervistaMarwanAbdulal.htm
 
“Celebrare i 60 anni di Israele è come dare la medaglia a un criminale”
 
Intervista a Marwan Abdulal, Responsabile in Libano del “Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina” - Campo profughi palestinese di Nar El Bared ( Nord del Libano)
 
di Mila Pernice [Traduzione dall’arabo di Bassam Saleh]
 
Qual è la situazione sociale e politica dei campi profughi palestinesi in Libano?
 
La presenza palestinese in Libano vive in questa fase un momento preoccupante per la situazione socio-economica dei palestinesi in questo paese, ma anche dal punto di vista politico: perché la presenza palestinese qua è condizionata dalle politiche dei governi libanesi che hanno proibito a questo popolo tutte le possibilità di un lavoro dignitoso. Queste politiche hanno incentivato l’emigrazione dei palestinesi dal Libano nei paesi europei e non solo. La presenza palestinese in Libano, infatti, è in diminuzione, come risulta anche dai registri dell’UNRWA: attualmente i profughi sono 350.000 e questo numero è in continua diminuzione. Le giustificazioni del governo libanese per queste politiche si concentrano sul rifiuto della presenza palestinese come una presenza permanente. Ma non c’è una richiesta palestinese di stanziarsi in Libano. Noi chiediamo i diritti civili come tutti gli esseri umani, quello che chiediamo è che palestinesi vengano trattati con dignità e rispetto nell’ambito della sovranità libanese. Noi ci teniamo a precisare il nostro diritto al ritorno e a confermarlo ancora di più visto che quest’anno c’è la ricorrenza dei 60 anni dalla Nakba. Sono 60 anni che non ci siamo mai scordati il nostro diritto al ritorno ….. tanti di noi tengono ancora le chiavi della propria casa in Palestina nella speranza del ritorno.
 
Le lotte interne in Libano hanno spesso strumentalizzato la presenza dei palestinesi: ci sono dei tentativi di trasformare i campi profughi in punti di attrazione verso una parte o l’altra dei libanesi, come è successo qui a Nar El Bared, e forse ci sono altri campi che possono essere coinvolti in questi tentativi, con la scusa che la presenza palestinese potrebbe essere utilizzata contro la sicurezza dello Stato libanese. Noi diciamo invece che c’è una relazione fra le due cose: ogni colpo contro la sicurezza dei campi ha i suoi effetti sulla sicurezza dello Stato libanese e viceversa. Toccare i campi vuol dire toccare la presenza palestinese in Libano.
 
Quali sono le vostre relazioni con i partiti libanesi dell’opposizione, in particolare con Hezbollah e con il Partito Comunista?
 
Il “Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina” ha un ventaglio di relazioni larghissimo, ma in particolare abbiamo forti rapporti con il Partito Comunista perché abbiamo un ideale e una strategia comune, e non ci sono divergenze di analisi tra noi e il PC. Per esempio ci troviamo in piena sintonia sulla stessa questione interna libanese; così come le stesse posizioni politiche del FPLP in Palestina fanno da riferimento per il PC. Per quanto riguarda Hezbollah è un movimento di resistenza e noi lo trattiamo come tale. Quindi finché c’è un’aggressione israeliana e ci sono piani americani, noi appoggiamo Hezbollah e il suo metodo di resistenza, ma per quanto riguarda le lotte interne – abbiamo imparato molto dalle passate esperienze – sappiamo cosa vogliamo strategicamente, ma tatticamente noi guardiamo il Libano come unità intera, quindi non prendiamo posizione: non siamo con questa parte o con quell’altra. L’unità di misura della nostra posizione è la posizione delle altre organizzazioni sulla Palestina. Il popolo palestinese starà sempre con chi sta con il popolo palestinese e con la sua causa.
 
Quale è il ruolo delle organizzazioni palestinesi nella realtà politica libanese?
 
Ci sono tentativi libanesi di strumentalizzare i palestinesi, considerando che i palestinesi appartengono ad un'unica confessione, per lo più quella musulmana. I palestinesi quindi vengono considerati come una riserva, cosa che rifiutiamo, come rifiutiamo che i palestinesi prendano parte nel conflitto interno libanese, da cui cerchiamo di tenere lontani i campi. Ci sarà una guerra civile in questo paese – speriamo che non succeda – e di mezzo ci andranno i palestinesi e la sicurezza del Libano.
 
Cosa mi dici della situazione politica nella Palestina occupata? Quando sono cominciati gli scontri tra Hamas e Al Fatah, il FPLP ha invitato il popolo palestinese all’unità; ci sono progressi in questa direzione?
 
Con dispiacere dico che la lotta tra Fatah e Hamas è molto vecchia. Ma se vediamo in modo molto profondo alla questione, vediamo che Israele sta cercando di ottenere dei risultati da queste divisioni. Quella tra Fatah e Hamas non è più una divergenza solo politica, ma geografica, politica e ideologica, e anche a livello istituzionale, in particolare dopo l’adozione della soluzione militare da parte di Hamas a Gaza, che ora sta tentando di annullare tutte le altre organizzazioni. Hamas sta creando un modello istituzionale islamista hamasita. La differenza fra Hamas e Hezbollah è che Hezbollah ha un punto di vista politico sul potere, mentre Hamas è attaccata al potere. C’è differenza anche nel modo di condurre la resistenza. Hamas per mantenere il potere sta concedendo molto. Anche in Cisgiordania Al Fatah sta lavorando allo stesso modo, istituzionalizzando il suo potere. Siamo in una situazione tragica, perché a Gaza Hamas è il potere, e il resto è tutta opposizione. Anche Al Fatah ha il potere in Cisgiordania, e il resto è tutta opposizione. Sopra Hamas e Al Fatah, e sopra le opposizioni, c’è sempre Israele, e l’occupazione. E’ come dire che ci sono due uomini in carcere che dividono la cella, e la chiave la tiene sempre il carceriere. Questa è una situazione tragica, anche se noi continuiamo a dire che c’è la possibilità di arrivare a un programma comune. Ognuno si deve concedere per gli interessi del popolo, come è già successo con gli accordi della Mecca, del Cairo, e con il documento unitario dei prigionieri. In tutti questi accordi, specialmente con il documento dei prigionieri, abbiamo concordato un programma politico. Quindi, se vogliamo fare la resistenza, dobbiamo essere uniti, se dobbiamo fare il negoziato dobbiamo essere uniti, solo così potremo arrivare a qualche vittoria; di qui l’invito che faremo come FPLP a preparare tutte le iniziative e le lotte possibili per arrivare a un accordo di unità. Noi suoneremo sempre il campanello d’allarme perché il problema più importante è che la questione nazionale è in pericolo. Israele sta praticando il ruolo di fautore di queste divisioni perché da questa situazione ci guadagna. Ora Israele sta cercando di aprire canali di trattative separate tra le due parti per consolidare le divisioni. Siamo ancora sotto occupazione, quindi invitiamo tutti prima di tutto all’unità, e alla fermezza del nostro popolo a rimanere nella sua terra. Invitiamo tutti alla resistenza per continuare il nostro progetto nazionale.
 
In Italia quest’anno è in corso una Campagna di sensibilizzazione – 2008 Anno della Palestina – promossa da molte associazioni di solidarietà, come il Forum Palestina, l’UDAP ed altre, per ricordare la Nakba, e contro le celebrazioni per i 60 anni dalla fondazione dello Stato di Israele. Il prossimo 10 maggio ci sarà una manifestazione nazionale a Torino dove lo Stato di Israele è ospite d’onore alla Fiera del Libro. Come può il movimento di solidarietà italiano rendere più efficace la sua azione?
 
Questo è il 60° anniversario della Nakba, e noi siamo, viviamo nella Nakba. Sono anche 60 anni di resistenza. Sono 60 anni che Israele ha continuato i suoi massacri, i crimini, le uccisioni, e noi abbiamo continuato la nostra resistenza per riappropriarci dei nostri diritti. Israele continua ancora nella sua politica di pulizia etnica, apartheid, razzismo, ed è normale trovare anche gente che difende i nostri diritti. Noi invitiamo tutti i popoli liberi e amanti della pace, che un giorno hanno preso posizione contro il nazismo, a prendere posizione contro il nuovo nazismo che stiamo affrontando. Il mondo libero, o che si dichiara tale, si deve fermare accanto a questo popolo che soffre e lotta per i suoi diritti, negati da 60 anni. Dico anch’io, non solo come uomo politico, ma anche come scrittore, che l’invito a Israele come ospite d’onore a Torino nel 60° anniversario della Nakba è come dargli un premio. E’ come dare una medaglia a un criminale, è come premiare Israele perché sta uccidendo il popolo palestinese. Quindi l’invito al mondo libero è di suonare la campana, perché c’è una parte del mondo che rifiuta l’occupazione, e che rifiuta la presenza israeliana a Torino.
 
Cosa pensate della presenza delle ONG nei campi?
 
Noi crediamo che l’aiuto che viene dato al popolo palestinese è necessario. Ci sono aiuti che arrivano tramite le ONG al popolo palestinese; noi sappiamo che un gran numero di queste ONG in realtà è finanziato dall’UE, e dai suoi governi. Non è vero che queste organizzazioni sono “non governative”, per la maggior parte. Hanno i loro programmi e le loro politiche, che spesso danno un sostegno condizionato, noi lo sappiamo, cercando di promuovere un cambiamento della nostra società, e dei concetti base della nostra lotta: parlano della necessità di risolvere i conflitti in modo pacifico, dell’accettazione dell’altro…senza specificare chi è l’altro… Sicuramente ci sono somme enormi di soldi spesi per cambiare le nostre regole e le nostre basi sociali, facendo il gioco di qualcun altro. Questo rientra nella logica della globalizzazione capitalista. Sappiamo che ci sono anche ONG vere, serie, che nascono da forze di sinistra, da forze popolari; sono organizzazioni che promuovono i diritti umani, che sono vere e ben accette. Dobbiamo accogliere e accettare la presenza delle ONG, ma in genere con molta attenzione.
 
Perché è importante la resistenza – al Mukawama – nei campi?
 
La resistenza non presuppone solo l’utilizzo delle armi: l’alma più importante per noi è la memoria. Come ho scritto spesso, qui a Nar El Bared, questo campo non è il mio luogo, quindi per me non è sacro. Questo luogo ha un’identità che è solo temporanea. Ma è il contenitore che ha mantenuto la memoria, che ha mantenuto vivo il diritto al ritorno alla mia vera identità. Questa casa in questo campo è casa mia, ma non è la principale; è la borsa che mi porta verso l’altra casa, quella vera. E’ una valigia che porta 60 anni di ricordi dei nostri nonni, che hanno portato qui il ricordo dei loro villaggi, delle loro città. Il nostro dovere è riportare con noi questi ricordi, perché un giorno tornino alle loro origini in Palestina. I tentativi di colpire la nostra presenza in Libano, i nostri campi, sono tentativi che mirano a colpire la nostra identità, e il nostro diritto al ritorno. Sono tentativi di seppellire la questione palestinese, la nostra identità nazionale. Diceva il primo ministro fondatore di Israele: “i vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno”. In realtà i vecchi muoiono, ma i giovani non si sono mai scordati di niente. Questo grazie al contenitore, che è il campo, che ha protetto la memoria e i ricordi dei nostri nonni.
 
Vuoi aggiungere ancora qualcosa?
 
Saluto tutti i compagni italiani che anche nei momenti più difficili e complessi che stiamo attraversando, eravamo e siamo sicuri che saranno sempre vicino a noi. La loro presenza e il loro appoggio politico e di principio ci solleva il morale, perché loro appoggiano la resistenza, la giustizia, e ci dimostrano affetto. E questo affetto lo sentiamo e lo accogliamo.