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- popoli resistenti - palestina - 23-07-08 - n. 237
traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Palestina nel Medio Oriente: tra neoliberismo e potere statunitense
di Adam Hanieh*
16/07/2008
Prima parte
Durante il corso degli ultimi sei mesi, l’economia palestinese è stata trasformata radicalmente in conformità ad un nuovo piano tracciato dall’Autorità Palestinese (AP) chiamato Piano di Riforma e Sviluppo Palestinese (PRDP). Sviluppato in stretta collaborazione con istituzioni come la Banca mondiale ed il Ministero Britannico per lo Sviluppo Internazionale (DFID), il PRDP è attualmente in fase di perfezionamento in Cisgiordania, dove l’AP di Abu Mazen ha l’effettivo controllo. Esso abbraccia i precetti fondamentali del neoliberismo: una strategia economica condizionata dal settore privato, in cui lo scopo è quello di attirare gli investimenti stranieri e ridurre al minimo la spesa pubblica.
Capire la logica di questa struttura economica è esplicativo per la valutazione dell’attuale fase della lotta palestinese. La visione neoliberale che puntella queste politiche fa da corollario centrale alla direzione politica sostenuta dal governo israeliano, l’Autorità Palestinese ed i loro sostenitori USA ed UE. Lo scopo, come spiega la prima parte di quest’articolo, è formalizzare una rete spezzata di cantoni sotto controllo palestinese e zone industriali associate, dipendente dall’occupazione israeliana, ed attraverso la quale una massa di lavoro palestinese a basso costo viene sfruttata da gruppi di capitalisti israeliani, palestinesi ed altri regionali. La struttura istituzionale in evoluzione per l’economia palestinese, non solo include l’occupazione israeliana nel modello di “sviluppo” concepito, ma agisce anche per alimentare la responsabilità delle élite politiche ed economiche palestinesi per come queste strutture operano.
In ogni modo, tale analisi è solamente una parte della storia. La seconda parte di quest’articolo considera che questi cambiamenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non possono essere compresi pienamente senza una valutazione della struttura regionale del Medio Oriente. Negli ultimi vent’anni, con una particolare accelerazione sotto l’amministrazione Bush, gli Stati Uniti hanno intrapreso una politica di integrazione delle loro basi d’appoggio nella regione, all’interno di un’unica zona economica neoliberista legata agli Stati Uniti attraverso una serie di accordi commerciali bilaterali. Questa visione è finalizzata allo sviluppo del libero flusso di capitali e beni (ma non necessariamente della forza lavoro) in tutta la regione del Medio Oriente. I mercati della regione saranno dominati da importazioni statunitensi, mentre la forza lavoro a basso costo, concentrata in “libere” zone economiche possedute dal capitale regionale ed internazionale, produrrà beni a buon mercato destinati ad essere esportati nei mercati di Stati Uniti, Unione Europea, Israele e del Golfo.
Un elemento centrale di questa visione è la normalizzazione e l’integrazione di Israele nel Medio Oriente. Gli Stati Uniti prevedono un Medio Oriente fondato sul capitale israeliano ad ovest e su quello del Golfo ad est, che, sorretto dai bassi salari, diventi una zona neoliberale che attraversi la regione. Ciò significa che la storica distruzione da parte di Israele dei diritti nazionali palestinesi deve essere accettata e consacrata da tutti gli stati della regione. Al posto della vera autodeterminazione palestinese (in primo luogo il diritto al ritorno per i rifugiati), sarà fondato uno stato artificiale nominale nelle isole dipendenti del territorio di Cisgiordania e Striscia di Gaza. Quest’obiettivo è un pre-requisito essenziale della strategia degli Stati Uniti nella regione. Le nostre attività politiche devono essere consapevoli di questo se vogliamo costruire con successo validi movimenti di solidarietà per confrontarsi e respingere questo progetto.
Neoliberismo in Palestina: Il Piano di Riforma e Sviluppo
Il 17 dicembre 2007, in una conferenza a Parigi, più di 90 rappresentanti internazionali di vari paesi ed organizzazioni donatrici si sono riuniti per fornire il loro appoggio al governo dell’Autorità Palestinese guidato dal Presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e dal Primo ministro Salam Fayyad. Questo meeting, il più grande nel suo genere dal 1996, è stato presieduto dal governo francese e norvegese, da Tony Blair (come rappresentante del Quartetto per il Medio Oriente), e dalla Commissione europea. Sono seguiti i discorsi dei rappresentanti di vari stati membri dell’UE, dell’Autorità Palestinese, del Fondo Monetario Internazionale, e del governo israeliano, impegnandosi per il trasferimento di 7.7 miliardi di dollari all’AP.
Gli sforzi principali di questa conferenza erano indirizzati nel tentativo di incassare l’appoggio finanziario per la nuova strategia economica dell’AP, chiamata Piano di Riforma e Sviluppo Palestinese per il 2008-2010 (PRDP). Basato su una serie particolareggiata di proposte avanzate dalla Banca Mondiale e da altre istituzioni finanziarie internazionali, le linee guida del PRDP erano state già presentate nel novembre 2007. Da allora, il Piano è divenuto la forma di riferimento della politica economica, particolarmente nelle aree della Cisgiordania dove l’AP di Abu Mazen ha il pieno controllo.
La prima cosa da notare sul PRDP è la pressione esercitata da Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e dalle altre istituzioni neoliberiste come il Ministero Britannico per lo Sviluppo Internazionale (DFID), che può essere percepita chiaramente nelle raccomandazioni e nelle indicazioni di linea politica. Le argomentazioni dietro al PRDP sono esplicitamente neoliberiste, con la richiesta fatta all’AP di intraprendere una serie di riforme fiscali per far crescere un “ambiente idoneo per il settore privato" come "motore della crescita economica sostenibile”. Le organizzazioni di base palestinesi hanno abbondantemente descritto le istituzioni finanziarie neoliberiste come “un governo ombra a tutti gli effetti in Cisgiordania, che detta il programma di sviluppo del governo di Salam Fayyad.” [1]
Cosa significa realmente il PRDP per i palestinesi? Come suggerisce il nome, ci sono due principali componenti politiche nel Piano: “riforma” e “sviluppo”. La componente di riforma impegna l’AP in un programma di rigorosità fiscale che supera le misure imposte da FMI e Banca Mondiale in ogni altro stato nella regione. Tre sono gli elementi chiave di questo programma.
Primo, nel probabilmente più duro attacco al settore pubblico nella storia recente del Medio Oriente, l’Autorità palestinese si è impegnata a tagliare il 21% dei posti di lavoro nel settore pubblico entro il 2010. Quasi 40 mila persone perderanno il loro lavoro in virtù di questo allontanamento di massa. [2]
Secondo, l’AP si è impegnata a non aumentare i salari del settore pubblico per i prossimi tre anni. In un contesto di inflazione molto elevata (11% annua a marzo 2008) e rapida crescita dei prezzi alimentari ed energetici, questo congelamento salariale condurrà al disastro la media delle persone in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
Infine, un ulteriore elemento chiave del PRDP è la richiesta che i cittadini presentino un “certificato di pagamento” delle utenze per ricevere alcuni servizi comunali o statali. Questa misura avrà un impatto drammatico sui poveri, poiché il sovvenzionamento delle bollette di elettricità ed acqua (permettendo a questi servizi di continuare ad essere erogati nonostante il non pagamento dei conti) era un mezzo fondamentale di sopravvivenza per milioni di persone in un ambiente dai rapidi movimenti a spirale dei livelli di povertà. Questa nuova misura significa che, agli individui che fanno domanda per vari servizi – incluse le richieste per carta di identità, patente di guida, licenze edilizie, ecc –sarà negata in caso di debiti insoluti. Gli impiegati del settore pubblico si vedranno decurtati i debiti delle utenze dai loro salari.
Le Istituzioni finanziarie internazionali mettono una tale alta priorità sul PRDP che virtualmente l’intero sostegno dei donatori all’Autorità palestinese - inclusi i 7.7 miliardi di dollari messi in conto alla Conferenza di Parigi - è condizionato alla sua realizzazione. Al fine di assicurare quest’accondiscendenza, un nuovo conto bancario, chiamato Fondo di garanzia del PRDP, è stato istituito e attraverso questo fluirà l’appoggio internazionale all’AP. Questo conto ha la sua sede a Washington ed è gestito dalla Banca Mondiale. La BM ha affermato esplicitamente che i pagamenti attraverso questo conto sono stabiliti sulla base "dell’accertamento dei progressi nella realizzazione del PRDP". [3]
Una “Cultura del Diritto”?
Per una piena comprensione dell’impatto del PRDP è necessario collocare tali misure all’interno della situazione economica esistente in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Durante il periodo 1999-2007, il Pil pro capite palestinese è decresciuto di circa due terzi ed i risparmi personali sono stati prosciugati come risultato degli attacchi israeliani alle aree palestinesi. Questi sono i peggiori livelli di povertà mai visti: circa i tre quarti delle famiglie di Gaza e oltre la metà di quelle in Cisgiordania ora vivono in povertà. [4]
In aggiunta, nel corso degli ultimi 15 anni c’è stato un cambiamento significativo nella struttura della forza lavoro palestinese, che va a combinarsi ulteriormente agli effetti di queste politiche. Israele ha ridotto l’uso di manodopera palestinese in settori come quello edile o agricolo, sostituendola con forza lavoro migrante proveniente da Asia ed Europa orientale. Di conseguenza, il lavoro fornito dall’Autorità Palestinese è divenuto un fattore chiave per la sopravvivenza dei palestinesi. Circa 1/5 dei lavoratori palestinesi in Cisgiordania e Striscia di Gaza sono impiegati nell’AP nei settori dell’istruzione, salute, sicurezza, ed affari municipali. In un ambiente contraddistinto da crescenti rapporti di dipendenza (nel 2007, una media di 5.3 persone dipendono da ciascuna persona impiegata), quasi 1 milione di persone fanno affidamento sui salari che provengono dal lavoro nel settore pubblico. [5]
Il 5 febbraio 2008, subito dopo l’annuncio delle misure fiscali del PRDP, il lavoratori del settore pubblico hanno lanciato uno sciopero. Inoltre, per protestare contro i tagli salariali ed il “certificato di pagamento”, i lavoratori hanno chiesto un aumento della componente salariale rappresentata dalle “spese di viaggio” a causa dei loro costi sempre più alti (conseguenza dei posti di controllo militari israeliani e degli aumenti del prezzo del combustibile). [6]
Lo sciopero, comunque, è stato un insuccesso per quanto riguarda il tentativo di fermare la realizzazione del PRDP. Una delle ragioni principali sta nel fatto che i lavoratori del settore pubblico in Cisgiordania (ed i loro rappresentanti sindacali) sono tradizionalmente legati a Fatah, il partito dominante che controlla l’Autorità Palestinese ed è responsabile per il PRDP. A causa di questa relazione, gli scioperi e le altre azioni dei lavoratori tendono ad essere limitate in nome della convenienza politica. [7]
Ciononostante, lo sciopero ha indicato la profonda frattura tra la parabola neoliberista dell’Autorità palestinese ed i suoi richiami mai sopiti alla liberazione nazionale. Una delle più dure indicazioni di ciò è stato il linguaggio usato dalla dirigenza dell’AP in riferimento alla proposta del PRDP riguardo al “certificato di pagamento”. Ripetutamente in tutto lo sciopero, alti rappresentanti dell’AP hanno preso a condannare i lavoratori del settore pubblico ed i poveri per la loro supposta "cultura del non-pagamento" e "senso del diritto."
Deve essere compreso chiaramente che la popolazione palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non ha il controllo sui servizi di base come acqua, elettricità ed accesso telefonico. Come risultato del sistema di controllo stabilito da Israele in queste aree, tutte queste utenze sono fornite da società israeliane attraverso interlocutori palestinesi. La bolletta che un cliente riceve per l’elettricità può essere scritta in arabo, ma il servizio fa capo in ultima analisi ad una società israeliana (con l’eccezione di una piccola quantità di energia elettrica generata nella Striscia di Gaza).
A causa di questa relazione, il “certificato di pagamento” contenuto nel PRDP in sostanza significa che l’AP ha assunto il ruolo di esattore del debito per le società israeliane, scegliendo di designare come bersaglio gli strati più poveri della comunità per sostenere le strutture di occupazione. Anche peggio, il linguaggio neoliberista adottato dall’AP biasima milioni di persone, che vivono in condizioni di povertà mai viste prima, perché tentano di trovare modi di sopravvivenza.
L’Attivista sudafricano, Salim Vally, ha recentemente notato che i governi municipali neoliberali in Sudafrica utilizzano lo stesso linguaggio della "cultura del diritto" per descrivere l’incapacità dei residenti dei distretti poveri nel pagare i nuovi costi delle utenze. In una conferma impressionante dei trend simili in ambo i paesi, Vally rivela effettivamente che, alcuni anni fa, funzionari del governo municipale della sudafricana Cape Town consegnarono ad una delegazione palestinese in visita (incluso il capo negoziatore AP, Saeb Erekat), una fornitura di contatori dell’acqua pre-pagati come parte del percorso di incoraggiamento per l’imposizione di tariffe all’utenza. L’AP si è impegnata ad installare questo tipo di contatori come parte del PRDP. [8]
Espellendo 1/5 della forza lavoro, imponendo un congelamento salariale per rispondere all’impennata dei prezzi, e costringendo i poveri a pagare immediatamente milioni di dollari di debiti, il PRDP avrà un impatto brutale e senza eguali sulla popolazione. Queste misure neoliberiste apriranno indubbiamente spaccature significative all’interno delle diverse forze politiche e dei movimenti sociali nel prossimo futuro. Però la chiave di ogni valida risposta è la comprensione che il PRDP non è solamente un tentativo calcolato di impoverire la popolazione. Piuttosto, punta a completare la seconda componente del Piano: il suo particolare modello “sviluppo”.
“Sviluppo” e modello di zona industriale
A fianco delle misure fiscali discusse sopra, il PRDP promuove una serie di progetti di sviluppo che sono stati appoggiati pesantemente da Stati Uniti, UE e dal governo israeliano. Una pre-condizione essenziale di questo modello di sviluppo è l’esistenza di una grande fascia di lavoratori palestinesi disperati, colpiti dalla povertà, disposti ad accettare i lavori concepiti per questo tipo di sviluppo. Questa è l’intersecazione fra la componente della “riforma” e quella dello “sviluppo” del PRDP.
Il modello di sviluppo del PRDP aspira all’utilizzo di lavoro palestinese a basso costo in zone industriali, localizzate ai bordi del mosaico dei territori palestinesi della Cisgiordania. In questo scenario, il capitale israeliano, palestinese e regionale coopereranno (sotto la bandiera della “pace”) all’interno di queste zone industriali per approfittare dei relativi costi salariali palestinesi molto bassi. Mentre alcuna di queste produzioni coinvolgeranno settori tradizionalmente a basso valore aggiunto come quello tessile, alcune zone si concentreranno sui settori high-tech complementari all’economia israeliana, dove una forza lavoro palestinese bene istruita può offrire alternative di basso salario. I beni prodotti saranno esportati verso Stati Uniti, Unione Europea e gli stati del Golfo. L’Autorità Palestinese assumerà il ruolo di polizia nei confronti dell’esercito industriale di riserva composto da diversi milioni di lavoratori, chiusi dietro ai muri e ai checkpoints dei territori palestinesi. In cambio, la dirigenza dell’AP maneggerà le leve di uno stato, otterrà per sé i diritti a viaggiare e muoversi liberamente, e guadagnerà una quota degli utili che scaturiscono dalle zone.
La prima fase in questo schema si concentra sulla Cisgiordania dove il governo di Abu Mazen e Salam Fayyad gestiscono il potere e sono capaci di portare a compimento questa idea con l’appoggio d’Israele. Una serie di zone industriali è progettata per le aree nei pressi di Jenin, Nablus e Tarqumiya (vicino ad Hebron). Anche se i dettagli esatti sono stati taciuti, la richiesta delle istituzioni coinvolte per la fase iniziale è stimata essere rivolta all’assunzione diretta di circa 40 mila lavoratori, con un numero simile di lavori creati “indirettamente” fuori dalle zone [9]. Se questi progetti andranno in porto avranno un impatto notevole sulla struttura del lavoro palestinese in Cisgiordania: appena sotto il 20% dei lavori in Cisgiordania sarà legato in qualche modo a queste zone industriali.
In queste zone, le leggi sul lavoro palestinesi ed israeliane, i livelli salariali, le regolamentazioni ambientali, o le altre limitazioni riguardo i luoghi di lavoro non verranno applicate. I movimenti in entrata ed uscita dalle aree saranno controllati dalle forze militari israeliane e da quelle di sicurezza palestinesi. Presumibilmente, se verrà applicato il modello tipico di controllo del movimento di Israele, i lavoratori avranno bisogno di superare severi esami di sicurezza per ottenere i permessi di lavoro necessari. In questo modo, l’abilità al lavoro dipenderà dall’adeguamento agli ordini dei militari israeliani (più di 11 mila palestinesi sono attualmente detenuti come prigionieri politici per aver violato questi ordini). Al principale sindacato in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, la Federazione Generale dei Sindacati Palestinesi (PGFTU), non è stato dato il diritto di rappresentare i lavoratori nelle zone industriali.
I piani per la zona di Tarqumiya sembrerebbero confermare questa previsione. La Turchia sarà il maggiore partner finanziatore delle aziende nella zona e controllerà la sicurezza interna. AP e Israele controlleranno la sicurezza esterna dai loro rispettivi lati. Fonti turche si aspettano circa 200 fabbriche nella zona con circa 10 mila palestinesi assunti. Rappresentanti d’affari turchi fanno esplicitamente notare che in un ambiente globale di prodotti cinesi a buon mercato, zone come Tarqumiya aiuteranno la ricollocazione dell’industria turca nella regione per avvantaggiarsi del basso costo del lavoro, facendo anche intuire che i beni prodotti nella zona sarebbero esportati verso Stati Uniti, EU e gli stati del Golfo. [10]
Oltre a sfruttare manodopera a basso costo, queste zone servono a normalizzare e legittimare le esistenti strutture d’occupazione. Un chiaro esempio di ciò è mostrato dal caso della Zona Industriale di Jenin (JIE). Il terreno è stato confiscato per due volte ai contadini palestinesi: nel 1998, quando l’AP discusse l’idea di una zona industriale; e poi ancora una volta nel 2003, quando i militari israeliani confiscarono la terra come parte della costruzione del muro di segregazione razziale, la “buffer-zone” [11]. In realtà, in un esempio impressionante di come questo modello di sviluppo è integrato con le strutture d’occupazione, il Muro formerà il confine settentrionale del JIE.
La centralità del modello di zona industriale di “sviluppo” per Stati Uniti, Israele ed AP è stato confermata alla fine di marzo 2008, durante una visita del segretario di stato nordamericano, Condoleeza Rice, nella regione. Il 30 marzo, alla riunione di Gerusalemme tra Rice, il ministro della difesa israeliano Ehud Barak, e il primo ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad, la costituzione di zone industriali è stato il maggiore argomento di discussione. Alla riunione, Israele si è mostrata d’accordo ad agevolare la creazione del complesso di Tarqumiya, presentandola come una misura per la “costruzione della fiducia”. Il progetto di Tarqumiya è anche stato pesantemente incoraggiato dal rappresentante del Quartetto, Tony Blair, come uno dei quattro progetti, a cosiddetto “impatto rapido”, collegati alla realizzazione del PRDP.
La “Conferenza per gli investimenti in Palestina” di maggio
Come indicato nell’incontro di marzo tra Rice, Barak e Fayyad, la costruzione di zone come Tarqumiya e la JIE rappresentano un’alta priorità delle attuali trattative politiche. Un altro elemento affrontato della riunione a tre è stato la discussione su come Israele avrebbe dovuto aiutare la “Conferenza per gli investimenti in Palestina”, a Betlemme il 21-23 maggio. Questa conferenza ha confermato indiscutibilmente la traiettoria neoliberale dell’Autorità palestinese e l’integrazione dell’occupazione militare israeliana nel proprio modello di sviluppo.
Oltre 1000 delegati erano presenti alla conferenza, incluse tutte le figure chiave dell’Autorità Palestinese (Abu Mazen, Salam Fayyad e gli altri ministri strategici) [12]. Ha riunito i più ricchi capitalisti palestinesi provenienti da fuori (particolarmente dal nord America ed Europa), con i gruppi del capitale regionale arabo di Giordania, Golfo ed altrove. La conferenza è stata patrocinata dai principali gruppi d’affari palestinesi attivi in Cisgiordania e Gaza (incluse Arab Bank, Bank of Palestine, Paltel, Consolidated Contractors Company, Arab Palestinian Investment Company) dal grande capitale estero (CISCO, Intel, Coca Cola, Marriott Hotels, Booz Allen Hamilton) e da organizzazioni governative statunitensi ed europee (USAID, DFID, e Agenzia di Sviluppo francese).
Lo scopo principale della conferenza era propagandare gli attacchi neoliberali al settore pubblico predisposti dall’AP nell’ambito del PRDP, descrivendoli come “buoni per gli affari” un’allettante ragione per investire nelle aree palestinesi. Oltre alle zone industriali sopra citate, molti altri progetti sono stati promossi nel corso dell’intera conferenza, con l’intento di unire il capitale arabo e israeliano in investimenti congiunti. Uomini d’affari israeliani sono stati incoraggiati ad assistere, anche se questo fatto non è stato ampiamente pubblicizzato a causa dell’opposizione dell’opinione pubblica palestinese a questo tipo di progetti unitari.
Uno dei progetti messi in evidenza durante la conferenza era il “Corridoio per la Pace e la Prosperità” (CPP) che ha come scopo la creazione di una zona agro-industriale nelle aree fertili della Valle del Giordano. Per secoli questa valle è stata un’area agricola chiave per i coltivatori palestinesi della Cisgiordania. Ma a seguito della sua occupazione nel 1967, i militari israeliani hanno iniziato ad espellere molti di questi coltivatori, confiscando la terra, e stabilendo insediamenti ebraici (prima come colonie agricole-militari e poi come colonie agro-industriali e civili). Con il controllo dell’acqua, delle vie d’accesso e delle altre risorse, la terra divenne sostanzialmente zona militare israeliana anche se villaggi palestinesi isolati rimasero nell’area.
Il CPP punta a stabilire una zona agricola di libero scambio nell’area che trasformerà gli agricoltori palestinesi su piccola scala in lavoratori a giornata sub-appaltati alla grande agro-industria controllata dal capitale israeliano e regionale [13]. In altre parole, non solo il CPP accetta l’occupazione e l’espropriazione della terra che ha avuto luogo durante il corso degli ultimi 40 anni nella Valle del Giordano, ma ha come obiettivo l’integrazione di questa occupazione nel progetto stesso. La crescita della produzione agricola generata dal CPP non farà niente per rispondere alle preoccupazioni legate alla sicurezza alimentare nell’area: la produzione è destinata all’esportazione verso Israele e gli stati del Golfo.
Un’indicazione finale della relazione tra le strutture dell’occupazione ed il modello di sviluppo neoliberale è rappresentato dall’appoggio fornito dai militari israeliani alla conferenza stessa. Mentre i residenti di Betlemme quotidianamente non sono in grado di muoversi senza elaborate procedure di sicurezza, speciali carte d’identificazione colorate e posti di controllo riservati sono stati messi a disposizione dei corsisti della conferenza, accordando loro il permesso di entrare nel paese e di viaggiare senza fastidi o controlli ai confini israeliani. Nonostante il fatto che oltre 200 palestinesi nella Striscia di Gaza sono morti nell’ultimo anno a causa dell’assedio israeliano e dell’impossibilità di muoversi per trattamenti medici urgenti, le autorità israeliane hanno permesso agli uomini d’affari di Gaza di prendere parte alla conferenza. Un segnale, esposto dai militari israeliani all’ingresso di Betlemme, dava il benvenuto ai partecipanti alla conferenza. Il segnale era scritto in arabo, ebraico e inglese, adornato dai logo dell’occupazione militare israeliana.
Deve essere rilevato che la conferenza ha visto la forte opposizione delle organizzazioni di massa all’interno della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Una dichiarazione rilasciata dal “Comitato nazionale per il boicottaggio alla spogliazione e alle sanzioni”, e sottoscritta da un ampio schieramento di forze politiche, riportava:
"Lo sviluppo economico e sociale in Palestina è fondamentale, ed è per noi un imperativo intraprendere azioni per migliorare l’attuale situazione economica e politica. Tuttavia, nonostante le conferenze nazionali ed internazionali in corso, ideate per unire le imprese e le risorse nazionali, e nonostante il sostegno della solidarietà internazionale, noi crediamo che la conferenza economica che sarà tenuta a Betlemme nei prossimi giorni, con la presenza di rappresentanti israeliani ufficiali ed ufficiosi, abbia serie implicazioni politiche che non possono essere ignorate... I progetti proposti hanno come punto di partenza la partecipazione israeliana con un ruolo decisionale, ed il controllo israeliano sul loro status giuridico... [i progetti] sono pensati per soddisfare la domanda economica dell’amministrazione israeliana, non quella del popolo palestinese... Questi non sono i progetti di sviluppo che vogliamo o di cui abbiamo bisogno. Ciò che chiediamo è una conferenza nazionale palestinese con l’appoggio arabo ed internazionale per fortificare la perseveranza palestinese e come passo verso la fine della dipendenza dall’occupazione e dalla sua economia." [14]
In somma, le misure fiscali del PRDP e gli associati progetti di sviluppo non contribuiranno in nessun modo alla fine dell’occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. In realtà, queste misure agiranno solamente per rafforzare quest’occupazione conferendole una supposta legittimità, consacrando la leadership dell’Autorità Palestinese. L’enorme maggioranza della popolazione di queste aree vedrà peggiorate le condizioni di vita come diretto risultato di questi piani. Ma, mentre il PRDP ed eventi come la Conferenza per gli investimenti testimoniano in modo schiacciante la deriva dell’Autorità Palestinese, le forze che guidano questo tipo di visione neoliberale non sono semplicemente il risultato della corruzione, della lotta corpo a corpo, o di scelte strategiche sbagliate. Piuttosto, sono impresse all’interno dell’intera riconfigurazione economica a guida statunitense del Medio Oriente.
La seconda parte di questo articolo analizzerà questo processo regionale ed il ruolo della Palestina all’interno di esso.
*Adam Hanieh è un ricercatore in scienze politiche alla York University di Toronto, specializzato in politica economica del Medio Oriente e del Gulf Cooperation Council. Per contatti: hanieh08@gmail.com.
Note
1. Stop the Wall, "National BDS Steering Committee: Bethlehem investment conference: development or normalization," at www.stopthewall.org.
2. The PA attempts to obfuscate this mass layoff by claiming that those losing their jobs were not ‘legally appointed.’ Regardless of the hiring procedures, this will have an enormous impact on those relying upon this employment for survival. See Palestinian National Authority, "Building a Palestinian State: Towards peace and prosperity," p.14, www.imeu.net/engine/uploads/pna-full-report.pdf.
3. World Bank, Trust Fund Details – as of June 2008, www.worldbank.org.
4. Karen Laub, "IMF: Palestinian Reform Plan Doable", Associated Press, 11 December 2007.
5. Statistics on labour force and dependency ratios available from Palestinian Central Bureau of Statistics, at www.pcbs.gov.ps.
6. Amira Hass, "Democratic Suspicion", Haaretz, 6 February 2008.
7. A similar dynamic was revealed during the last significant strike over 10 years ago, when Palestinian teachers sought to win higher wage levels. This 1997 strike was initiated and led by a grassroots committee of teachers who bypassed the traditional union structures allied to Fatah. It was met with severe repression that saw dozens of teachers arrested by the Palestinian Authority. Industrial action by teachers continued off and on until 2000, when the onset of the Palestinian uprising ended organizing attempts in the name of "national unity."
8. Salim Vally, "From South Africa to Palestine: Lessons for the New Anti-Apartheid Movement," Left Turn Magazine.
9. See the Palestinian Industrial Estates and Free Zones Authority, www.piefza.org.
10. Guven Sak, "The Challenge of Developing the Private Sector in the Middle East," The Economic Policy Research Foundation of Turkey, May 2, 2008.
11. Stop the Wall, "Development or normalization? A critique of West Bank development approaches and projects", at www.stopthewall.org.
12. See the conference website at www.pic-palestine.ps for the conference attendees, press coverage, and presentations.
13. See "Development or normalization?", op cit, for a full critique of this project
14. Stop the Wall, "National BDS Steering Committee: Bethlehem investment conference: development or normalization", www.stopthewall.org.