Oslo è entrato nello stadio tragicomico finale. Occorre ora è premunirsi perché l'epilogo progettato da Olmert non diventi realtà, scrive Mustafa Barghouti*
Chiunque abbia seguito i discorsi di Annapolis non sarà sorpreso dalle caratteristiche dell'attuale progetto di Olmert. Cerca di scolpire nella pietra la strategia doppia e coordinata perseguita da Israele sin da Oslo: dividere e procrastinare le questioni dello status definitivo fino a quando non siano rese superflue dalle realtà di tempo e di fatto, invocando intanto la sicurezza come pretesto per il rifiuto di rispettare gli impegni. Ogni menzione della sicurezza si riferisce esclusivamente a quella israeliana; l'idea è di formalizzare lo strano principio per cui chi è sotto occupazione ha la responsabilità di garantire la sicurezza dell'occupante.
La proposta di Olmert è un accordo simbolico, di cui posporre l'implementazione. Potrebbe essere attuato immediatamente senza costare alcunché ad Israele, nemmeno uno stop all'ampliare le colonie. L'Autorità Palestinese (AP), intanto, dovrebbe provare due cose: di essere un espertissimo poliziotto per procura, per conto dell'occupazione, e di poter riprendere il controllo di Gaza. Se non può dimostrarlo, l'accordo resta simbolico. In questo modo, Israele prende due piccioni con una fava: rinvia un'altra volta le questioni chiave, guadagnando tempo per costruire ulteriori colonie, e può dare la colpa ai palestinesi per il mancato onore all'accordo e l'attuazione della pace alla quale il suo governo sostiene di ambire.
Secondo un hadith profetico, “il credente non è punto due volte dallo stesso buco”. Dopo aver sperimentato per 15 anni dell'accordo di Oslo, è difficile che sia necessario spiegare ai palestinesi cosa accadrà con il suo equivalente, Annapolis.
Forse l'aspetto più pericoloso del progetto di Olmert è il tentativo di far dipendere un'attuazione parziale dei diritti nazionali palestinesi dalle performance securitarie dell'AP. È condannato a fallire fin dall'inizio: pone l'AP contro il suo stesso popolo e la sua causa nazionale, rendendo evidente, in modo sfacciato, che chi domina realmente è Israele. Eppure otterrà lo stesso l'obiettivo primario di quest'ultimo: approfondire le divisioni interne palestinesi, consolidandole.
Il progetto sostiene che l'AP ha acconsentito a posticipare la questione dello status di Gerusalemme. Davvero? Fino a quando?
Dato l'intensificarsi della costruzione di colonie e la continua ebraicizzazione di Gerusalemme, posticipare può avere un solo significato: rinunciare ad ogni rivendicazione palestinese sulla città. Ma nessun palestinese, nessun arabo onesto può assolutamente acconsentire ad un accordo che non faccia sì che la Gerusalemme araba sia la capitale dello Stato palestinese. Dobbiamo ricordare che ogni tentativo di posporre la questione della città è un tentativo di rescinderla dall'insieme dei diritti palestinesi, ponendo le basi per eliminarla.
Il progetto di Olmert pone il massimo di energie nel legittimare l'annessione delle principali colonie in Cisgiordania: costituiscono solo il sette per cento della regione, sostiene Olmert, ma il conto è quanto mai fuorviante. Significa ratificare il muro dell'apartheid, condannato dalla Corte Internazionale di Giustizia, come confine ufficiale di Israele. Vuol dire altresì annettere l'80% delle risorse idriche cisgiordane. E in cambio di che? Di una chiazza di deserto arido vicino al confine di Gaza, e solo se la situazione nella Striscia cambia, con l'affermarsi del controllo dell'AP. Non solo acconsentire allo scambio di territori ratifica l'annessione di terreni sull'altro lato del muro e del muro stesso: ratifica anche l'intero sistema di apartheid israeliano.
Quanto ai coloni, resteranno negli insediamenti – tutti – fino a che l'AP non dimostri buona volontà, sbarazzandosi di chiunque sia sgradito a Israele. Nel frattempo, l'espandersi di Ma'ale Adumim, Ariel, Gush Etzion, e di tutte le colonie intorno a Gerusalemme prenderà velocità, in apparenza per far posto ai coloni che acconsentono a trasferirvisi. Come spiegare il silenzio, da parte dei sostenitori del processo di Annapolis, circa il fatto che la costruzione delle colonie da quell'incontro è aumentata di 20 volte, e l'insistere perché i negoziati continuino, malgrado questo ampliarsi febbrile?
Quel che Olmert fino ad ora ha tenuto segreto è che Israele continuerà a controllare i confini, la valle del fiume Giordano e quanto resta delle risorse acquifere sotterranee, con il pretesto di misure di sicurezza. Tutto questo ammonta chiaramente a ben di più che al sette per cento del territorio. In quel sette per cento non si menzionano affatto la valle del fiume Giordano, il Mar Morto, i villaggi di Latrun.
Il piano israeliano, sostenuto dagli USA, è di portare ogni accordo raggiunto alla benedizione dell'ONU, cancellando in questo modo tutte le precedenti risoluzioni internazionali e le leggi a sostegno dei diritti nazionali palestinesi. Il prezzo a cui Israele mira consiste, oltre che nel rimuovere Gerusalemme dall'equazione, nel por fine, una volta per tutte, alle rivendicazioni dei profughi.
In sostanza, il piano che Olmert ha posto sui tavoli di negoziazione non è altro che un progetto per por fine ai principȋ nazionali palestinesi, minando una volta per tutte i legittimi diritti del nostro popolo. Segna la fine della tragicommedia di Oslo, e il trionfo di tutti coloro per i quali realismo significa resa. È un tentativo di eludere, eliminandole, quattro questioni dello status definitivo: Gerusalemme ed i profughi, colonie ed annessione di vaste zone della Cisgiordania, posponendo tutto il resto fino a quando le realtà sul terreno non rendano parimenti superflua ogni richiesta palestinese. In breve, è un tentativo di trasformare ogni idea di uno Stato indipendente in cantoni isolati, amministrati da un'autorità non sovrana, prigioniera in un regime di apartheid.
È tempo che i palestinesi fermino la ritirata ed il disintegrarsi. È tempo perché facciano di più che proferire riserve calcolate su questa o quella idea di Olmert. Devono rifiutare tutte le soluzioni parziali e ad interim, smascherando la politica israeliana: imporre realtà di fatto sotto la guisa di negoziati che non si ha mai lo scopo di far riuscire.
La vera risposta ad Olmert e all'establishment razzista che domina in Israele è di ristabilire l'unità nazionale, creando una leadership nazionale unificata e forgiando una strategia collettiva per gestire la lotta contro l'occupazione, non per conformarvisi. Tale strategia deve combinare forme di resistenza di massa e di base contro l'occupazione ed il sistema di apartheid con politiche sociali ed economiche che sostengano la gente e vadano incontro alle loro preoccupazioni. Deve anche costruire un forte movimento di solidarietà internazionale con la nostra causa, ravvivando il legame nazionale comune, fra i palestinesi qui e quelli all'estero.
L'autore è segretario generale dell'Iniziativa Nazionale Palestinese.