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- popoli resistenti - palestina - 22-09-08 - n. 242
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
16 - 18 settembre 1982
Sabra e Chatila, i ricordi della morte di ieri e di oggi
di Suhail Hani Daher Akel*
Con l'invasione israeliana del 6 giugno 1982, conosciuta con il nome di “Pace in Galilea”, il Libano, si trasformò in un vero inferno, nel quale bambini, donne ed anziani bruciarono sotto il tallone della soldatesca del premier Menahem Beguin e del ministro della Difesa, Ariel Sharon.
Per 88 giorni, il Libano ed i campi profughi palestinesi furono sommersi da un caos totale, serrati da morte, dolore e distruzione. Dalla notte del 16 settembre, fino al 18 settembre 1982, i campi dei rifugiati palestinesi di Sabra e Chatila a Beirut, furono circondati dall'esercito di Ariel Sharon, isolandoli dal mondo. Sedussero un piccolo gruppo di mercenari libanesi mossi da bassi istinti e che non esitarono a scaricare il loro odio fomentato.
Con asce, coltelli e fucilazioni in massa, assassinarono impunemente civili palestinesi indifesi, mentre, affrettatamente i Bulldozer israeliani s’incaricavano di rimuovere macerie miste ai cadaveri dei rifugiati. Più di 5.000 martiri palestinesi e civili libanesi cominciarono a trasformare l'aria di Sabra e Chatila in un ricordo di morte.
Come premier, Ariel Sharon fu accusato, nel giugno 2001 davanti alla giustizia belga da 23 sopravvissuti palestinesi e libanesi, di essere responsabile del massacro dei campi profughi di Sabra e Chatila. L’istanza si basò sulla Legge belga del 1993 che riconosce competenza universale alla giustizia belga per crimini di guerra, genocidio e contro l'umanità, indipendentemente dal luogo in cui sono commessi, dalla nazionalità e dalla residenza di vittime e accusati.
Sharon, ignorò il procedimento e gli alti responsabili del governo israeliano qualificarono immediatamente come “scandalosa” la decisione della giustizia belga, affermando che la decisione veniva accolta con collera dal Presidente israeliano Moshe Katsav (carica a cui rinunciò nel 2007 per accuse a sfondo sessuale), che diceva: “Nego assolutamente il diritto morale al Belgio di giudicare leader ed ufficiali dell’Esercito israeliano... Nessuno ha il diritto di mettere in dubbio le norme morali ed umane con le quali lavora l'Esercito israeliano”.
Con un alto grado d’intolleranza ed antisemitismo israeliano contro il popolo semita palestinese, e nel terzo millennio, lo tsunami disastroso di Israele, svelò la barbarie dell'occupazione consegnando cifre colme di esasperazione. Dal 28 settembre 2000 fino ai giorni nostri, assassinarono oltre 9.500 civili palestinesi, dei quali circa 2.100 erano bambini e più 75.000 palestinesi furono feriti. Assassinarono anche il leader martire Presidente Yasser Arafat ed i leader martiri di Hamas Sheij Ahmad Yassin ed Abdel Aziz Rantizi nel 2004.
Hanno demolito quasi 14.000 tra abitazioni ed edifici, e strappati più di 1,5 milioni di alberi di ulivo e da frutta. Centinaia di ettari di terre palestinesi sono state espropriate per la costruzione del Muro dell’apartheid e per l'installazione di insediamenti israeliani con l'obiettivo di minare la geografia palestinese di Gerusalemme.
È assurdo che, con le risoluzioni giuridiche internazionali, firmate nero su bianco da Israele, il mondo mantenga la sua compiacenza con la potenza occupante ed i suoi crimini contro l’umanità di ieri e di oggi.
L'ingiustizia e l'oppressione non prevarranno mai. I campi di Sabra e Chatila nel 1982 come il villaggio Deir Yassin nel 1948 e l'Intifada di al-Aqsa di Gerusalemme nel 2000, continueranno ad essere il baluardo di libertà del popolo palestinese e dei popoli liberi del mondo.
(*) Ex Ambasciatore dello Stato di Palestina in Argentina