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- popoli resistenti - palestina - 28-12-08 - n. 255
Proponiamo un illuminante articolo dello storico israeliano Ilan Pappe fattoci pervenire da ISM-Italia. Scritto più di un anno fa, rappresenta una efficace analisi delle strategie messe in atto dal governo israeliano fino ad oggi. Un prezioso strumento per comprendere le ragioni della politica genocida cui è sottoposto il popolo palestinese.
Traduzione a cura di ISM-Italia
La Ricetta Israeliana per il 2008: Genocidio a Gaza, Pulizia Etnica in Cisgiordania
di Ilan Pappe
The Indypendent, 23 giugno 2007
Non molto tempo fa, affermavo che Israele sta attuando una politica genocida nella striscia di Gaza. Avevo esitato prima di utilizzare questa parola molto pesante e tuttavia avevo deciso di usarla. Le reazioni ricevute indicavano difficoltà nell’uso di tale parola. Per un attimo ho ripensato al termine, ma ho concluso con una convinzione ancora maggiore: è l’unico modo appropriato per descrivere quello che l’esercito israeliano sta facendo nella striscia di Gaza.
Il 28 dicembre del 2006, l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha pubblicato il suo rapporto annuale sulle atrocità commesse da Israele nei territori occupati. L’esercito israeliano ha ucciso nel 2006, 660 palestinesi, tre volte il numero dell’anno precedente (circa 200). La maggior parte delle persone uccise vivevano nella Striscia di Gaza, dove l’esercito israeliano ha demolito circa 300 case e sterminato intere famiglie. Dal 2000 l’esercito israeliano ha ucciso almeno 4000 palestinesi, la metà dei quali bambini e più di 20.000 sono stati i feriti.
Ma il punto non è l’intensificazione degli omicidi intenzionali, ma la strategia.
Annessione
I politici israeliani stanno fronteggiando due realtà molto diverse in Cisgiordania e a Gaza. Nella prima essi stanno per finire la costruzione del loro confine orientale. Il loro dibattito ideologico interno è finito e il loro piano generale per l’annessione di metà della Cisgiordania sta per essere realizzato a velocità crescente.
L’ultima fase è stata ritardata a causa della promessa fatta da Israele, nella Road Map, di non costruire nuovi insediamenti. Israele ha escogitato due vie per aggirare tutto questo. Primo, ha definito un terzo della Cisgiordania “Grande Gerusalemme” e questo le permette di costruire, dentro questa nuova area annessa, città e centri comunitari. Secondo, amplia i vecchi insediamenti in modo tale da non avere bisogno di costruirne dei nuovi.
Transfer strisciante
Gli insediamenti, le basi militari, le strade e il muro permetteranno a Israele di annettere almeno metà della Cisgiordania a partire dal 2010. Entro questi territori vi è un numero considerevole di palestinesi contro i quali le autorità israeliane continueranno a mettere in atto politiche di transfer strisciante.
Non c’è nessuna fretta; per quanto riguarda gli israeliani essi hanno preso il sopravvento: i meccanismi quotidiani di abusi e di deumanizzazione misti, militari e burocratici, sono come sempre efficaci nel garantire la propria quota al processo di espropriazione.
Il pensiero strategico di Ariel Sharon secondo cui questa politica è migliore rispetto agli ottusi sostenitori del “transfer” (trasferimento) e della pulizia etnica, come sostenuto da Avigdor Liberman, è accettato da tutti i partiti di governo, dal Labor a Kadima. Per la striscia di Gaza non c’è una chiara strategia israeliana, ma ogni giorno c’è un nuovo esperimento. Gaza, agli occhi degli Israeliani è una entità geopolitica distinta dalla Cisgiordania. Hamas controlla Gaza, mentre Abu Mazen sembra governare la Cisgiordania con la benedizione israeliana e americana.
Non c’è un lembo di terra a Gaza che Israele voglia e non c’è un retroterra, come la Giordania, nel quale i Palestinesi di Gaza possano essere espulsi.
La pulizia etnica là è inefficace. La strategia iniziale a Gaza fu la ghettizzazione dei Palestinesi all’interno della striscia, ma questo non sta funzionando. Gli Ebrei conoscono tutto ciò molto bene dalla loro stessa storia. I passi successivi contro queste comunità nel passato furono anche più orribili e barbari. E’ difficile dire che cosa il futuro riserva alla popolazione di Gaza, ghettizzata, messa in quarantena, indesiderata e demonizzata.
Buttare via la chiave
Creare una prigione e buttare a mare la chiave, come ha affermato il professore John Dugard, è stata un’opzione alla quale i Palestinesi di Gaza hanno reagito con forza a cominciare dal settembre 2005. Determinati a mostrare senza il minimo dubbio che sono ancora parte della Cisgiordania e della Palestina, lanciarono il primo significativo numero di missili nel Negev Occidentale. L’attacco fu la risposta alla campagna israeliana di arresti di massa di attivisti di Hamas e della Jihad Islamica nell’area di Tulkarem.
Gli israeliani risposero con l’operazione ‘Prima Pioggia’. Aerei supersonici furono fatti volare su Gaza per terrorizzare l’intera popolazione, seguiti da pesanti bombardamenti di vaste aree dal mare, dal cielo e da terra. La logica era, come l’esercito israeliano spiegò, quella di creare una forte pressione così da indebolire il sostegno ai gruppi che lanciano i razzi. Come c’era da aspettarsi anche da parte israeliana, l’operazione fece aumentare soltanto il sostegno al lancio di razzi.
Il vero obiettivo era sperimentale. I generali israeliani desideravano conoscere come tali operazioni sarebbero state recepite in patria, nella regione e nel mondo. E sembra che la risposta sia stata “molto bene”; nessuno mostrò interesse per il numero dei morti e per le centinaia di feriti palestinesi.
Tutte le successive operazioni furono impostate secondo “Prima Pioggia”. La differenza fu più potenza di fuoco, più morti e maggiori danni collaterali e, come c’era da aspettarsi, più missili Qassam in risposta. Le ulteriori misure assicurarono il completo imprigionamento della popolazione di Gaza, attraverso il boicottaggio e il blocco con il quale l’Unione Europea sta collaborando in modo vergognoso.
La cattura di Gilat Shalit nel giugno 2006 è stata irrilevante rispetto allo schema generale delle cose, ma ha dato una opportunità agli israeliani per una ulteriore escalation. Dopo tutto, non c’era ancora una strategia che aveva fatto seguito alla decisione tattica di Ariel Sharon di spostare 8.000 coloni, la cui presenza complicava le missioni ‘punitive’. Da allora le azioni ‘punitive’ continuano e sono diventate una strategia.
‘Prima pioggia’ è stato rimpiazzata da ‘Piogge d’estate’. In un paese dove in estate non c’è pioggia, le sole precipitazioni che si possono aspettare sono quelle delle bombe degli F-16 e dei colpi di artiglieria che colpiscono la popolazione di Gaza.
‘Piogge d’estate’ portò una ulteriore novità: l’invasione di terra in parti della striscia di Gaza. Questo permise all’esercito di uccidere civili ancor più efficacemente e di presentarlo come risultato di pesanti combattimenti all’interno di aree densamente popolate e non delle politiche israeliane.
Piogge d’estate e Nubi di autunno
Alla fine dell’estate arrivò ‘Nubi d’autunno’ che fu anche più efficace: il primo novembre 2006, in meno di 48 ore, gli israeliani uccisero 70 civili; alla fine di quel mese, con mini operazioni aggiuntive, almeno 200 persone furono uccise, metà delle quali donne e bambini.
Come si può vedere dalle date, qualche attività fu parallela agli attacchi israeliani in Libano, rendendo più facile effettuare le operazioni senza una grande attenzione dall’estero, salvo qualche critica isolata. Da ‘Piogge d’estate’ a ‘Nubi d’autunno’ si può osservare una escalation in ogni parametro. Il primo è la sparizione di ogni distinzione fra obiettivi “civili” e “non civili”: la popolazione è l’obiettivo principale delle operazioni dell’esercito. Il secondo è una escalation nei mezzi: uso di ogni tipo di strumento per uccidere da parte dell’esercito israeliano. Terzo, l’escalation nel numero dei morti e dei feriti: in ogni operazione futura un maggior numero di persone probabilmente saranno uccise e ferite. Infine, ed è la cosa più importante, le operazioni sono diventate una strategia - il modo in cui Israele intende risolvere il problema della striscia di Gaza.
Un transfer (trasferimento) strisciante nella Cisgiordania e una politica di genocidio controllato nella striscia di Gaza sono le due strategie che Israele utilizza oggi. Da un punto di vista elettorale quella a Gaza è problematica nella misura in cui non raggiunge nessun risultato tangibile; la Cisgiordania sotto Abu Mazen sta cedendo alla pressione israeliana e non c’è lì una forza significativa capace di bloccare la strategia israeliana di annessione e di espropriazione.
Gaza continua a rispondere al fuoco.
Ma la striscia continua a rispondere al fuoco. Questo potrebbe permettere all’esercito israeliano di iniziare operazioni più massicce di genocidio in futuro, ma vi è anche il pericolo grave, che, come nel 1948, l’esercito chieda una azione 'punitiva' e collaterale più drastica e sistematica contro la popolazione assediata della striscia di Gaza. Ironicamente, la macchina di assassinio israeliana si è fermata recentemente. I generali sono soddisfatti degli assassini fratricidi che infuriano a Gaza e che fanno il lavoro al posto loro.
Osservano con soddisfazione il sorgere della guerra civile a Gaza, che Israele fomenta e incoraggia. La responsabilità di porre fine agli scontri è ovviamente dei gruppi Palestinesi stessi, ma l’interferenza americana e israeliana, l’imprigionamento permanente, la fame e lo strangolamento di Gaza sono tutti fattori che rendono questo processo di pace interno molto difficile.
Tagliare l’ossigeno a Israele
Non bisognerebbe mai stancarsi di trarre le ineluttabili conclusioni politiche di questa realtà orribile dell’anno che ci siamo lasciati dietro le spalle e di quella che ci aspetta. Non vi è nessuna altra via per fermare Israele oltre il boicottaggio il disinvestimento e le sanzioni. Noi tutti dovremmo sostenere il boicottaggio con chiarezza, apertamente, senza condizioni, senza riguardo a quello che i guru del nostro campo ci dicono sull’efficienza o la ragion d’essere di queste azioni. L’ONU non interverrà a Gaza come ha fatto in Africa; i premi Nobel per la pace non si schiereranno a favore del boicottaggio come hanno fatto per le cause del Sud-Est asiatico. Il numero di persone uccise non commuoverà come avviene per altre calamità, e non è una storia nuova – è una storia pericolosamente vecchia e preoccupante. Il solo punto debole di questa macchina di morte è che i tubi per l’ossigeno israeliani sono collegati alla civiltà e alla opinione pubblica “occidentale”. E’ ancora possibile bucarli e rendere almeno più difficile per gli israeliani di realizzare la loro futura strategia di eliminazione del popolo palestinese con la pulizia etnica nella Cisgiordania o con il genocidio nella striscia di Gaza.