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da www.comunistitorino.it/index.php?option=com_content&view=article&id=104:gaza-una-crisi-premeditata&catid=1:ultime
 
Gaza una crisi premeditata
 
di Daniele Cardetta
con la collaborazione di Lino Sturiale
 
La crisi che sta attanagliando il Medioriente in questi mesi è una crisi preparata da tempo. E l’esplosione di questo attacco israeliano in grande stile sulla Striscia di Gaza, non solo è stata ampiamente prevista da quasi tutti gli analisti, ma era stata anche messa in conto dai soggetti chiamati in causa.
 
Quello che Israele sta facendo con l’attacco di fine 2008, ancora in corso, è di una gravità inaudita perché, ove questa azione sterminatrice restasse impunita, saremmo di fronte a un precedente terribile, che delegittimerebbe completamente ogni residuo rispetto conservato nei confronti della pur stantia e inadeguata istituzione delle Nazioni Unite, che pure hanno subito l’attacco militare, molto probabilmente a base di bombe al fosforo, nel territorio palestinese di Gaza.
 
È pur vero, certo, che Hamas, con il suo ripetuto e quotidiano lancio di razzi verso Israele, ha contribuito a creare un clima di sospetti e paure nelle popolazioni, tuttavia il numero stesso di morti palestinesi innocenti a seguito della criminale “reazione”, ripeto, ancora in corso mentre scriviamo, rende completamente nulla e pretestuosa qualsiasi ragione invocata dagli Israeliani.
 
Questo è sotto gli occhi e nella coscienza di tutti, nel Mondo, basta dare uno sguardo ai giornali della carta stampata, alle televisioni e al web… oltre che alle piazze!
 
Ci si dimentica, troppo spesso, che gli Israeliani hanno tutti i diritti a lamentarsi di non poter entrare in università per via del lancio dei razzi dei Palestinesi (che per fortuna quasi mai provocano vittime, al contrario delle bombe israeliane), ma che i Palestinesi hanno ancora più diritto a ricordare al mondo intero che loro, nelle oggettive condizioni di segregazione in cui sono costretti a sopravvivere… le università nemmeno le hanno!
 
Tuttavia, trovare colpe e responsabilità dopo che i fatti tragici avvengono, è sempre troppo facile.
 
Per una maggiore comprensione di quanto sta accadendo, è necessario ricordare le circostanze che hanno portato Hamas, acronimo di Harakat al-Muqāwama al-Islāmiyya (in arabo: حركة المقاومة الاسلامية, "Movimento di Resistenza Islamico", ovvero حماس, "entusiasmo, zelo") è un'organizzazione religiosa islamica palestinese di carattere paramilitare e politico, che attualmente detiene la maggioranza dei seggi dell'Autorità Nazionale Palestinese, che ha nel suo Statuto il programma di distruggere Israele e che proclama la Jihad nella prospettiva dello Stato islamico, a vincere le elezioni tra le varie formazioni politiche dei Palestinesi.
 
Si tratta di circostanze molto particolari, viziate, anche da pesanti pressioni statunitensi e da un sistema imposto dall’esterno. Hamas, infatti, ha vinto regolari elezioni nel 2006. A seguito di questo Israele ha stretto Gaza in una morsa che possiamo definire senza mezzi termini una sorta di riserva a cielo aperto. Nonostante Hamas e tutta la Resistenza Palestinese abbiano mantenuto i termini del cessate il fuoco proposto dall'Egitto nel giugno 2008, Israele non ha mai rispettato il proprio impegno di togliere l’assedio.
 
Alla vigilia delle recentissime elezioni presidenziali statunitensi, del novembre 2008, Israele ha lanciato un'offensiva contro Hamas, uccidendone sette membri. Come pure, non andrebbe dimenticato il colpo di stato patito dalla stessa Hamas (che, beninteso, non è esente da colpe, che in quelle situazioni oggettive hanno di certo tutte le parti in causa), e organizzato con la connivenza israeliana e statunitense ai suoi danni usando la complicità di Abu Mazen.
 
Dopo la vittoria di Hamas, peraltro facilmente pronosticabile, a ben vedere persino scontata, in quel clima di odio e di paura, nulla si è fatto per cercare di mediare le loro posizioni cercando di riconoscerne perlomeno il peso politico, anzi la comunità internazionale ha pensato bene di non riconoscere Hamas come interlocutore politico; questo, nonostante avesse vinto legittimamente regolari elezioni.
 
Certo, è ovvio, non è possibile affidare il futuro della Palestina a un gruppo di persone che non contempla nemmeno la possibilità del dialogo con i vicini Israeliani; tuttavia, Hamas ha conquistato, in quelle terribili condizioni, il consenso elettorale e politico della sua gente, dentro e fuori la Palestina e questo è un dato di fatto, oltre che un fenomeno del tutto legittimo, in quanto frutto non solo di elezioni regolari, ma di una situazione tragica, complicata, reale.
 
Ma non è nemmeno possibile, non riconoscendo Hamas, negare a un popolo, quello palestinese, il diritto ad esistere.
 
La speranza è che Israele si decida, o venga deciso bilateralmente - cosa al momento difficilissima, anche in caso, pure quello molto poco probabile, di costrizione internazionale - perlomeno ad accettare una tregua, dato che le condizioni materiali in cui versano i Palestinesi nella Striscia di Gaza sono estreme, di una gravità che va già da tempo oltre ogni convenzione internazionale e contro ogni codice “naturale”.
 
Inevitabilmente, e in tempi strettissimi, queste condizioni sono destinate a peggiorare enormemente; nel caso i combattimenti non dovessero arrestarsi, la situazione, partendo già da condizioni gravissime, degenererà inevitabilmente,.
 
Se Israele poteva avere pienamente ragione nel lamentarsi del lancio dei razzi, e avrebbe pure avuto il margine politico, ampio, per far anche valere le sue ragioni, con il comportamento che sta tenendo – militare e, nei fatti, antipolitico - sta screditando totalmente non solo la propria immagine, ma anche quella di coloro i quali non deprecano con efficacia e prontezza i crimini dei quali si sta macchiando, perlomeno (si fa per dire) da fine 2008 a questo momento.
 
Chi sta difendendo Israele in questo momento è complice di uno sterminio criminale.
 
Che motivo avrebbe Israele di non voler accordare una tregua, mentre tutta l’opinione pubblica mondiale spinge proprio in quella direzione? Come è possibile che Tzipora Malka Livni, convinta sostenitrice del principio "Due popoli, due stati", ministro israeliano degli Esteri, attualmente uno dei politici più popolari del Paese, uscita indenne dal tracollo che il Governo Olmert dopo l’insuccesso della guerra in Libano dell'estate 2006, impegnata per portare Israele a nuove elezioni tra qualche settimana, neghi che esista un emergenza umanitaria nella Striscia quando le notizie che vengono fornite da Croce Rossa e Nazioni Unite sono tragicamente ferali?
 
La cultura dell’odio, alimentata da troppo tempo da entrambe le parti, allora ha trionfato e a pagarne lo scotto, ancora una volta, sono gli innocenti e, almeno negli ultimi giorni – in quantità da sterminio, appunto - sono solo ancora gli innocenti palestinesi, che devono pagare l’ennesimo tributo di sangue.
 
I civili palestinesi sono doppiamente vittime: vittime delle bombe scellerate israeliane e vittime della cecità di Hamas che, con il suo estremismo, sta condannando i Palestinesi a non poter decidere del proprio presente e del proprio futuro; anzi li sta proprio scippando del loro futuro.
 
D’altro canto, additare Hamas come terroristi tout court, e basta, sarebbe oltremodo incompleto e parziale, proprio perché anni di lotte, e di mancate conquiste da parte Palestinese, hanno inevitabilmente portato gran parte della popolazione di quella Nazione grande e negata su posizioni estremiste. La Palestina, con il suo Popolo, è privata anche, ormai, della libertà di movimento, costretta a lavarsi con acqua salmastra senza rappresentatività internazionale, senza la possibilità di dire la propria e di modificare il proprio destino.
 
Ora il rischio, concretissimo, è proprio che, dopo aver subito una tale devastazione, diventino estremisti anche quei palestinesi che estremisti non erano e che quelli che estremisti lo erano già, lo diventino ancora di più.
 
In questo modo Israele avrà il pretesto che cerca per passare alla soluzione finale, e l’idea stessa di Palestina verrà quasi sicuramente spazzata via come le scuole e i centri ONU falciati in questi giorni; e noi non siamo d’accordo, proprio per niente.