www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - - n. 258

da The Electronic Intifada - http://electronicintifada.net/v2/article10232.shtml
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Sharpeville 1960, Gaza 2009
 
dott. Haidar Eid
 
22/01/2009
 
Il massacro del 2009 a Gaza sarà per la solidarietà internazionale verso la Palestina quello che rappresentò il massacro di Sharpeville per la solidarietà internazionale contro l’apartheid in Sudafrica.
 
“Dove posso trovargli un padre? Dove posso trovargli una madre? Ditemelo! “
 
Queste sono le parole disperate di Subhi Samuni al corrispondente di Al-Jazeera a Gaza. Subhi ha perso 17 dei suoi famigliari, inclusi i genitori del nipote di sette anni. In modo sconvolgente, anche mentre sto scrivendo questo articolo, i cadaveri della famiglia di Samuni vengono recuperati da sotto le macerie, 15 giorni dopo che le forze di occupazione israeliane hanno colpito le due case. L'esercito israeliano ha rinchiuso i 120 membri della famiglia in una casa per 12 ore prima di bombardarla.
 
Le parole di Subhi rimandano alla dura realtà di ogni palestinese di Gaza: solo, abbandonato, cacciato, brutalizzato, e, come il nipote di Subhi, reso orfano. Ventidue giorni di macello selvaggio si sono presi la vita di oltre 1.300 palestinesi, di cui l’85% erano civili, compresi 434 bambini, 104 donne, 16 medici, 4 giornalisti, 5 stranieri, e 105 anziani.
 
Cosa si può dire per dare conforto ad un uomo che ha il compito straziante di dover seppellire tutta la sua famiglia, inclusa la moglie, i figli, le figlie ed i suoi nipoti? Ditecelo e noi riporteremo le vostre parole allo zio Subhi, perché la sua perdita ha reso le nostre condoglianze prive di senso.
 
Pensate anche alle parole che vorreste rivolgere al settantenne Rashid Muhammad, il cui figlio Samir di 44 anni è stato giustiziato con una singola pallottola al cuore di fronte a sua moglie e ai bambini. Per undici giorni, l'esercito israeliano ha impedito che un’ambulanza raccogliesse il suo cadavere, così la famiglia ha dovuto aspettare che cessasse l'attacco prima di poterlo seppellire. Rashid ha vissuto l'esperienza infinitamente dolorosa di guardare, toccare, baciare e poi seppellire il corpo decomposto di suo figlio. Dite a questa famiglia come dare un senso alla loro crudele realtà, ditegli qualcosa per far dormire i bambini, alleviare l'angoscia dal cuore del padre, aiutare la moglie a capire perché suo marito le è stato strappato.
 
Preferireste parlare con Amira Qirm di 14 anni, la cui casa a Gaza City è stata colpita con l’artiglieria e con bombe al fosforo, bombe che hanno bruciato a morte tre componenti della sua famiglia: suo padre, suo fratello di 12 anni, Alaa, e sua sorella di 11, Ismat. Sola, ferita e terrorizzata, Amira ha strisciato per 500 metri sulle ginocchia fino ad una casa vicina, vuota perché la famiglia era fuggita quando era cominciato l'attacco israeliano. E’ stata lì per quattro giorni, sopravvivendo solamente d’acqua ed ascoltando i rumori della mortale macchina israeliana intorno a lei, troppo impaurita per gridare il suo dolore per timore che i soldati la sentissero. Quando il proprietario della casa è tornato per prendere dei vestiti per la sua famiglia, ha trovato Amira, debole e prossima alla morte. Ora le sue ferite sono seguite nel sovraffollato e scarsamente rifornito al-Shifa Hospital
 
Potete provare a confortare Muhammad Samuni, 10 anni, trovato mentre giaceva vicino ai corpi della madre e dei fratelli, cinque giorni dopo che erano stati uccisi. Vi direbbe quello che ha ripetuto a tutti; che suo fratello si è svegliato improvvisamente dopo aver dormito a lungo, dicendo di essere affamato e, dopo aver chiesto un pomodoro da mangiare, è morto. Ci sono altri bambini di dieci anni al mondo a cui è chiesto di portarsi dietro questa esperienza per il resto della vita? No chiaramente, questo “privilegio” è riservato ai soli bambini palestinesi perché sono nati sulla terra che Israele vuole per sé. Ma sono questi bambini traumatizzati che negheranno ad Israele quello che vuole, perché la loro sopravvivenza rappresenta una sfida a quello stato di apartheid. Sono questi stessi bambini che certamente erediteranno la Palestina: è un loro diritto di nascita e nessun’aggressione potrà cambiare questo stato di cose, né oggi, né mai.
 
E, nonostante ciò, abbiamo tutti ascoltato Tzipi Livni, il ministro degli Esteri di Israele, nella sua diamantina difesa dell'esercito più “morale” del mondo. “Noi non abbiamo come bersaglio i civili” ha affermato, mentendo. “Noi non vogliamo che i palestinesi lascino Gaza. Vogliamo soltanto che si muovano all'interno di Gaza stessa! “ Anche il Primo ministro israeliano Ehud Olmert aveva qualcosa da dire ai palestinesi di Gaza: “Noi non siamo il vostro nemico. E’ Hamas il vostro nemico”.
 
Amira, Muhammad, Rashid Subhi e più di 40.000 famiglie le cui case sono state demolite la pensano diversamente. Le persone che si sono precipitate al cimitero dopo che era stato bombardato trovando i resti dei corpi dei loro defunti esposti agli elementi, la pensano diversamente. Sanno di essere stati colpiti in quanto palestinesi. Tutto il resto è propaganda per alleviare la coscienza di quelli che hanno le mani sporche di sangue palestinese, quelli dentro e fuori Israele.
 
Per 22 lunghi giorni e buie notti, i palestinesi di Gaza sono stati lasciati soli ad affrontare uno degli eserciti più forti nel mondo, un esercito che possiede centinaia di testate nucleari, soldati dal grilletto facile, armati con carri Merkava, F-16, elicotteri Apache, navi da battaglia e bombe al fosforo. Ventidue notti insonni, 528 ore di bombardamenti e sparatorie continue, ogni singolo minuto aspettando di essere la prossima vittima.
 
Durante questi 22 giorni, mentre gli obitori si riempivano e gli ospedali lottavano per curare i feriti, i regimi arabi hanno prodotto tonnellate di comunicati, hanno condannato e denunciato e tenuto insignificanti conferenze stampa una dopo l’altra. Si sono anche riuniti in due summit: il primo ben 19 giorni dopo l’inizio dell’attacco a Gaza; il secondo il giorno seguente all’annuncio di Israele di una tregua unilaterale!
 
La posizione araba ufficiale vis-à-vis con i palestinesi sin dal 1948, con l'eccezione dell'epoca nazionalista progressista (1954-1970), è stato un cocktail letale di codardia e ipocrisia. Il loro ultimo fallimento collettivo nel rompere l’assedio israeliano alla Striscia di Gaza che durava da due anni e la loro mancanza di azioni di supporto verso i palestinesi sotto un brutale attacco militare, devono essere oggetto di discussione.
 
Gli arabi devono esigere risposte da una molle Lega araba, perché non è stata mostrata alcuna solidarietà fraterna agli abitanti di Gaza durante gli attacchi israeliani. Non c’era alcun pan-arabismo evidente nelle loro insulsaggini. Alcuni, scandalosamente, lo hanno trovato un momento adatto per biasimare i palestinesi per la situazione in cui si trovavano, invece di richiedere che Israele fermasse la sua aggressione spietata.
 
A Gaza oggi, ci chiediamo come le manifestazioni di solidarietà verso di noi nelle strade delle capitali arabe possano essere trasformate in azione in assenza di democrazia. Noi ci chiediamo se i cittadini arabi dei regimi dispotici possano, in modo non violento, cambiare il sistema. Ci tormentiamo tentando di individuare i mezzi attualmente disponibili per un cambiamento politico democratico. Col massacro in corso a Gaza, e la costruzione di un sistema di apartheid in Palestina (in tutta la Palestina storica, incluse le aree occupate da Israele nel 1967), noi sappiamo che per sopravvivere, dobbiamo avere l'appoggio e la solidarietà delle nostre sorelle e fratelli arabi. Noi abbiamo visto il popolo arabo sollevarsi e stare al nostro fianco per 22 giorni ma dietro a loro non abbiamo visto i leader.
 
L’arcivescovo Desmund Tutu del Sudafrica disse “Se rimanete neutrali in situazioni di ingiustizia, avete scelto la parte dell’oppressore”. Le Nazioni Unite, l’Unione Europea, la Lega Araba e la comunità internazionale sono in larga parte rimaste in silenzio di fronte alle atrocità commesse da Israele dell’apartheid. Sono perciò dalla parte di Israele. Centinaia di cadaveri di donne e bambini non sono bastati a convincerli ad agire. Questo è quello che ogni palestinese oggi sa, che viva nelle strade della Striscia di Gaza, in Cisgiordandia o nei campi profughi della Diaspora.
 
Siamo perciò rimasti con una sola possibilità; una scelta che non deve attendere il Consiglio della Sicurezza delle Nazioni Unite, i Summit arabi o l’Organizzazione della Conferenza islamica per essere intrapresa: la scelta del potere popolare. Questo rimane l'unico potere capace di rispondere al massiccio squilibrio di potere nel conflitto israelo-palestinese.
 
L'orrore del regime razzista dell’apartheid in Sudafrica fu affrontato con una sostenuta campagna di boicottaggio, disinvestimento e di sanzioni economiche iniziata nel 1958 e rilanciata urgentemente nel 1960 dopo il Massacro di Sharpeville. Questa campagna condusse in ultimo al crollo del potere dei bianchi nel 1994 e alla fondazione di uno stato multi-razziale e democratico.
 
In modo analogo, l’appello palestinese per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni economiche procede dal 2005. Gaza 2009, come Sharpeville 1960 non può essere ignorata: esige una risposta da tutti coloro che credono in un'umanità comune. Ora è il tempo per boicottare lo stato di apartheid israeliano, per disinvestire ed imporre sanzioni contro di esso. Questo è l'unico modo per assicurare la creazione di uno stato secolare e democratico per tutti nella Palestina storica.
 
Questa è l'unica risposta alle confuse domande dello zio Subhi: è l'unico modo per dare un futuro a suo nipote, una vita con dignità e uguaglianza, una vita con pace e giustizia perché, come tutti i bambini, egli non merita niente di meno.
 
Haidar Eid insegna la letteratura inglese a Gaza City. E’ anche commentatore politico ed attivista.