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- popoli resistenti - palestina - 02-02-09 - n. 259
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Proponiamo questa breve sintesi delle politiche di occupazione israeliane sui Territori Palestinesi. I dati si riferiscono alla situazione sino al 2007, e, pur non considerando gli ultimi drammatici eventi che hanno colpito la popolazione della Striscia di Gaza, sono utili per avere un quadro delle conseguenze dell’occupazione militare israeliana sulla società palestinese.
Le politiche israeliane di occupazione
Uccisioni e ferimenti
Le statistiche su morti e feriti differiscono secondo le fonti. Il grafico in basso mostra il numero di palestinesi uccisi dagli israeliani dallo scoppio della prima Intifada nel dicembre 1987, rilevato dal gruppo per i diritti umani israeliano B'Tselem. Tali dati non comprendono i palestinesi che morirono a causa del ritardato trattamento medico (come ad esempio per essere stati fermati ad un posto di blocco): al 30 settembre 2007, 4.308 palestinesi risultano uccisi dagli israeliani durante l'attuale Intifada, inclusi 861 minorenni. Solamente 1.414 sono stati uccisi dalle forze israeliane mentre prendevano parte alle ostilità. Almeno 218 palestinesi sono stati giustiziati in maniera “extra-giudiziale” dalle unità israeliane, e nel corso di queste azioni sono stati uccisi altri 367 palestinesi. Almeno 41 palestinesi sono stati uccisi da civili israeliani. Sul lato israeliano, 1.025 persone sono state uccise dai palestinesi (467 in Cisgiordania e Striscia di Gaza, 558 in Israele); fra questi, 119 erano minorenni.

Non sono inclusi i 13 palestinesi cittadini israeliani uccisi nell’ottobre 2000 dalle forze di Israele, né altri palestinesi cittadini israeliani uccisi dalle forze israeliane, né gli attentatori suicidi palestinesi.
Il Centro Palestinese per i Diritti Umani (Palestinian Centre for Human Rights - PCHR) di Gaza riporta 4.462 palestinesi uccisi ed oltre 24.750 feriti durante il periodo 29 settembre 2000 - 12 novembre 2007. Fra gli uccisi figurano 142 donne e 804 bambini, 25 fra il personale medico e 10 giornalisti. La Mezzaluna Rossa palestinese conta 4.502 morti (29 settembre 2000 - 31 luglio 2007) ed almeno 31.531 feriti (per aggiornamenti costanti vedere http://www.palestinercs.org/crisistables/table_of_figures.htm).
Secondo le statistiche di Defence for Children International sezione palestinese (DCI-Palestine), un totale di 898 bambini sono stati uccisi dall’inizio della seconda Intifada, di cui 46 nel solo 2007 (al 27 ottobre 2007). Di questi, 127 erano sotto i 9 anni, 144 tra 9 e 12, 307 tra 13 e 15 e 320 tra 16 e 17 anni.
Tra settembre 2000 e settembre 2007, almeno 52 palestinesi sono morti a seguito della violazione del diritto al trattamento medico (per esempio, vietare o ritardare il passaggio ad un posto di controllo) (B'Tselem).
Arresti, imprigionamenti, trasferimenti forzati e deportazione
Dal 1967, Israele ha imprigionato e detenuto oltre 700.000 palestinesi, la grande maggioranza dei quali come prigionieri politici (PLO NAD, Palestinian Prisoners, Giugno 2007)
In seguito al protrarsi delle operazioni di arresto, il numero di detenuti nel corso dell’attuale Intifada [di al-Aqsa nel 2000, NdT] varia di giorno in giorno. Secondo il Mandela Institute, nell’aprile 2007 c’erano 11.229 fra detenuti e prigionieri palestinesi, compresi 10.854 nelle dieci prigioni centrali governate dall’Amministrazione carceraria generale israeliana (Ashqelon, Nafha nel Negev, Beer Sheba, Ramleh, Telmond vicino a Khadera, Gelbo’a, Rimonim, Hadarim sulla Haifa Road, Kfar Yuna, e Shatta vicino a Megiddo), nei tre campi militari di prigionia (Megiddo, Ofer vicino Ramallah, e Ketziot o “Ansar 3” nel Negev) e 375 in altri otto centri detentivi. Degli 11.229 prigionieri, 104 sono donne, 375 minori, e 870 detenuti amministrativi; 117 sono tenuti in isolamento.
Secondo i dati di B’Tselem, il Servizio carcerario israeliano detiene (al 29 settembre 2007) 836 palestinesi (inclusi 12 minori) e l’esercito israeliano (al 24 settembre 2007) 1 in detenzione amministrativa (esclusi i palestinesi contro cui il provvedimento è stato emesso ma non ancora approvato da un giudice). Alla fine di ottobre, i detenuti erano in totale 8.596, e circa un centinaio dall’esercito.
Al 27 ottobre 2007, 335 bambini sotto i 18 anni erano detenuti in Israele (DCI Palestine).
Il 6 settembre 1999, la Corte suprema israeliana ha posto fuori legge l’uso della tortura come metodo di interrogatorio (una messa al bando totale è richiesta dal diritto internazionale). In ogni caso persistono alcune forme di punizioni psicologiche. Un recente rapporto conferma che Israele pratica ancore i maltrattamenti e la tortura, come l’isolamento, il divieto di contatto con avvocati e familiari, interrogatori prolungati, uso dei collaboratori per minacciare i detenuti o i loro familiari (B’Tselem e Hamoked Absolute Prohibition: The Torture and Ill-Treatment of Palestinian Detainees, maggio 2007).
Espropriazione e distruzione della terra
L’Ufficio Centrale Palestinese di Statistica (Palestinian Central Bureau of Statistics - PCBS) riporta che le forze israeliane hanno distrutto circa 100.000 alberi e 22.300 dunums (Kmq) di terra nel 2005; in più, 165.000 dunums di terreni in Cisgiordania sono stati confiscati per la costruzione della barriera di separazione, per ingrandire gli insediamenti e per costruire strade esclusive [che collegano le colonie, vietate ai palestinesi, NdT] e basi militari. Dall’inizio dell’Intifada fino a febbraio 2006, sono stati distrutti oltre 2 milioni di alberi e confiscati circa 77.000 dunums di terra (PCBS, Jerusalem Yearbook n° 8, 2006)
Secondo PCHR, oltre il 13% delle terre coltivabili di Gaza (approssimativamente 37.000 dunums) sono state distrutte durante il periodo che va dal 9 settembre 2000 al 12 novembre 2007.
Stando ai documenti dell'Istituto di Ricerca Applicata di Gerusalemme (Applied Research Institute of Jerusalem - ARIJ), in Cisgiordania dall’inizio della seconda Intifada fino al settembre 2006, sono stati sradicati circa 515.742 alberi da frutto.
Residenza, chiusure e restrizioni di movimento.
Nel giugno 1967, Israele ha eseguito un censimento dei residenti palestinesi, registrando solamente quelli che a quell’epoca erano presenti in Cisgiordania e Striscia di Gaza nei registri anagrafici palestinesi, riconoscendoli così come residenti legali e fornendo loro carte di identità. Sin da allora, Israele ha mantenuto il pieno controllo dei registri nonostante la specifica richiesta degli Accordi di Oslo che tali competenze, - insieme alle altre questioni civili – fossero trasferite all’Autorità Palestinese per le Aree A e B. Di conseguenza, tutte le questioni riguardanti la residenza sono soggette ad approvazione israeliana. Questo è vero anche nel caso del dopo-disimpegno da Gaza, dove solamente le persone registrate, o quelle con permessi forniti da Israele, possono usare il valico di Rafah per entrare in Egitto. Coloro che non risultano inseriti in tali registri e che intendono congiungersi legalmente ai loro famigliari e risiedono stabilmente in Cisgiordania possono farlo solamente con l'approvazione di Israele per motivi di unificazione familiare che, comunque, non è un diritto acquisito e basato sul fondamentale diritto di famiglia, ma uno “speciale atto di benevolenza delle autorità israeliane”. A seguito dell'inizio della seconda Intifada, Israele ha sospeso l’esame delle pratiche di ricongiungimento e ha smesso di rilasciare i permessi ai famigliari non residenti. Secondo il ministro per gli Affari civili dell’Autorità Palestinese, da allora circa 120.000 richieste di riunificazione sono state inoltrate (non sono incluse le migliaia di casi pendenti all’inizio del congelamento del rilascio di tali documenti).
Nel marzo 1993, il governo Rabin impose una chiusura generale che negava ai palestinesi di Cisgiordania e Striscia di Gaza, l'ingresso in Israele, il libero movimento tra la parte meridionale e quella settentrionale della Cisgiordania e l’accesso a Gerusalemme. Da allora - più di 13 anni fa [quindici attualmente, NdT] - migliaia di palestinesi si vedono privati del diritto di raggiungere i luoghi di lavoro e di culto, dell’accesso ai servizi sanitari, educativi ed economici. Quei palestinesi che entrano in città “illegalmente” - o che favoriscono quest’ingresso – rischiano il carcere e lunghe pene detentive.
La politica delle chiusure viene attuata in disprezzo del diritto internazionale, secondo il quale Gerusalemme Est è parte integrante della Cisgiordania, e degli Accordi di Oslo, che definiscono Cisgiordania e Striscia di Gaza come una “unità territoriale”, e, in generale, ha avuto un impatto devastante sull'economia palestinese.
I palestinesi devono ottenere permessi per quasi tutti i movimenti al di fuori delle loro aree municipali più grandi. I requisiti per tali licenze raramente sono resi pubblici e sono estremamente mutevoli. Il sistema opera su due livelli: uno per il controllo del movimento all'interno della stessa Cisgiordania; l’altro per il movimento tra Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza. Inoltre, la validità dei permessi è esclusivamente individuale. I veicoli privati, pubblici e commerciali necessitano di licenze separate, a prescindere dal fatto che il conducente abbia o meno l’autorizzazione.
E’ stimato che oltre il 50% dell'area totale della Cisgiordania sia attualmente zona vietata e che ai palestinesi sia interdetto l’uso di 41 tratti stradali in Cisgiordania (approssimativamente 700 km).
Recentemente, una disposizione militare ha annullato l’ordine dell’agosto 2006, che impediva a tutti i non-residenti nella Valle del Giordano di entrare nell'area. Comunque, la piena realizzazione di questa norma abrogativa ancora non è avvenuta, i posti di controllo così come le altre restrizioni rimangono in piedi e ai palestinesi privi del permesso di residenza non è consentito entrare in macchina nella Valle del Giordano.
Nel luglio 2007, Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (Office for the Coordination of Humanitarian Affaire - OCHA) contava qualcosa come 539 impedimenti fisici (inclusi 74 posti di controllo armati e 12 posti di controllo parziali); questi, uniti agli ostacoli amministrativi, hanno dato luogo alla divisione de facto della Cisgiordania in tre tronconi (nord, centro e sud) e in dieci enclavi, con i palestinesi obbligatoriamente incolonnati ai checkpoint per potersi muove tra le tre parti, nonché dentro e fuori le enclavi.
Demolizioni di case
Dal 1987, le forze israeliane hanno demolito con provvedimento "amministrativo", (ad esempio, per la mancanza della licenza edilizia) più di 3.300 case palestinesi in Cisgiordania (inclusa Gerusalemme Est), e centinaia di altre strutture, rendendo migliaia di palestinesi senzatetto. In più, come “punizione”, 1.061 case sono state completamente distrutte e 64 parzialmente così come 299 chiuse con i sigilli e 118 in parte (B'Tselem).
Secondo i dati ufficiali di B'Tselem, nel 2006 le forze israeliane hanno demolito 318 case (soprattutto a Gaza) e 14 nel 2007 (sino ad agosto) per motivi militari. Inoltre, nel 2006 in Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est) sono state demolite 44 case e 30 in questa parte del 2007 per essere state costruite senza licenza.
Secondo le statistiche di PCHR, 2.931 case sono state totalmente o parzialmente distrutte dalle forze israeliane durante il periodo tra il 29 settembre 2000 e il 12 novembre 2007.
Secondo OCHA, 345 strutture palestinesi sono state distrutte dall'esercito a Gaza tra maggio 2005 e maggio 2007, nell’Area C della sola Cisgiordania.
Il 30,99% di tutte le famiglie ha riportato danneggiamenti, in relazione con l’Intifada, alle loro abitazioni (25.2% in Cisgiordania, 42.1% nella Striscia di Gaza) (PCBS, Housing and Housing Condition Survey, 2006).