www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 31-03-09 - n. 267

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dall’autore, anche su Rebelion - http://rebelion.org/noticia.php?id=82869
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Palestina libera
 
di Higinio Polo
 
Mentre Israele bombardava in modo spietato la Striscia di Gaza, quando già erano stati assassinati centinaia di palestinesi, le organizzazioni sioniste che appoggiano le azioni del governo israeliano lanciavano una campagna per resistere alle massicce manifestazioni di protesta che stavano avvenendo in tutto il mondo contro la ferocia dell'esercito israeliano. Diversi presidi "di appoggio a Israele" ebbero luogo in città europee ed americane, con la collaborazione delle organizzazioni conservatrici e dei partiti di destra.
 
Così, l’11 gennaio 2009, a New York, una nutrita manifestazione di circa diecimila persone si concentrò davanti al consolato israeliano. Era stata convocata dalla Federazione UJA di New York, dal Jewish Community Relations Council, anch’esso di New York, e dalla Conference of Presidents of Major America Jewish Organizations, ricevendo l'appoggio del consolato israeliano e di importanti centri di potere statunitensi. Alla manifestazione, il senatore democratico Charles Chuck Schumer ha difeso l'attacco di Tel Aviv alla popolazione di Gaza ed ha parlato dei “metodi di guerra umanitari di Israele", perché, ha affermato, Tsahal inviava messaggi SMS ai palestinesi la cui casa stava per essere bombardata "perché piene di armi" al loro interno, e si domandava stupito, "che cosa avrebbe fatto un altro paese?". Il senatore Schumer si astenne dal menzionare l'elevato numero di vittime civili, di bambini e di donne assassinate dall'esercito israeliano.
 
Da parte sua, anche David Paterson, governatore dello Stato di New York, giustificava l'attacco a Gaza. Per loro, Israele si difendeva. La stampa che conta nordamericana agiva in modo simile. The New York Times, di fronte all'evidenza dei crimini israeliani, si adoperava in impossibili equilibri per cercare di equiparare entrambi le parti, raccogliendo dichiarazioni di professori i quali certificavano (!) che "le norme etiche e legali dell'esercito israeliano sono severe ed il personale […] militare è stato istruito coscienziosamente su di esse." Alcuni dei giornalisti del quotidiano insistevano nel parlare dei "missili" lanciati da Hamás, omettendo deliberatamente l'abissale differenza tra razzi artigianali e missili. Va bene tutto per difendere Israele.
 
Durante l'azione newyorkese, i manifestanti ballavano allegri al suono della musica, agitando bandiere israeliane, mentre gridavano contro di "loro", in chiara allusione ai "terroristi palestinesi". Striscioni che riportavano leggende come Islam: Cult of Hate, culto dell'odio, sfilavano lungo il presidio. Il fanatismo pro-israeliano arrivava a tal punto che alcuni assistenti parlavano delle fabbriche di armi "che si trovano nelle scuole di Gaza", o negli ospedali, e difendevano i bombardamenti contro la popolazione civile. Una manifestante, per giustificare lo spietato attacco ai palestinesi della Striscia, si presentò davanti alle telecamere sostenendo di aver visto su internet una bambina che era stata sgozzata dal suo stesso padre nel corso di una festa musulmana sciita in Libano: secondo la donna, il padre le tagliava la testa. Non era in terra palestinese, bensì nel Libano, e la notizia era piuttosto dubbia, ma tutto ciò non importava. La conclusione era ovvia: farla finita con quella gente atroce (palestinesi, arabi, musulmani, tutti mischiati che importa) è legittimo. Meritano la morte. Quella disumanità, quel disprezzo inumano verso la sofferenza dei palestinesi, quell'indifferenza davanti a più di milletrecento persone assassinate, mostrava la degradazione etica e morale nella quale sono sprofondati i difensori del governo razzista di Israele.
 
Mentre questo succedeva, e mentre a Gaza i palestinesi cercavano di sopravvivere ad un altro inferno, l'ambasciatore israeliano in Spagna, Raphael Schutz, aveva la sfrontatezza di denunciare gli "episodi di antisemitismo" che, secondo lui, accadevano in Catalogna ed in altri luoghi della Spagna. Nessuna menzione della terribile punizione inflitta ai palestinesi, nessun ricordo per gli assassinati. I terribili "episodi di antisemitismo" che avevano avuto luogo erano rappresentati da alcune scritte nella sinagoga di Barcellona in strada Porvenir.
 
Le scene di quella manifestazione newyorkese arrivavano mentre i soldati israeliani bombardavano l'ospedale Al Quds di Gaza. Arrivavano pochi giorni dopo, il 28 dicembre, che cinque sorelle della famiglia Baalousha (Jawhir, di 4 anni; Dina, di 8; Samar, di 12; Ikram, di 14; e Tahrir, di 17), morivano nella loro casa nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza, raggiunte dalle bombe israeliane. Arrivavano poco dopo che Ihab al-Madhoun, medico, e Muhammad Abu Hasida, l'infermiere che lo accompagnava, morivano sotto un attacco aereo il 31 dicembre, mentre cercavano di evacuare le persone ferite dopo un attacco dell'aviazione. Arrivavano mentre Nour Kharma, un'adolescente palestinese che vive nella città di Gaza, si domandava, dopo avere saputo della morte della sua amica Christine, "morirò anch’io?” Non so se la sua amica era la stessa Christine, una ragazza di quattordici anni, che in quei giorni morì per la paura: dopo il passaggio assordante sopra il suo quartiere di Al-Remal degli F-16 israeliani che bombardavano, Christine crollò e suo padre, un medico, non poté fare nulla per lei. Arrivavano, mentre uomini adulti piangevano come bambini, vedendo le madri disperate ed i medici impotenti davanti alla barbarie. Arrivavano, mentre gli infermieri del povero ospedale di Gaza erano costretti a pulire con i tubi il sangue versato sul pavimento delle sale operatorie.
 
Sono tante le storie di distruzione e di morte che sembra impossibile che la dignità umana continui a consentire quest’odio putrido dei governi israeliani verso un popolo perseguitato, massacrato, povero ed affamato. Forse i dirigenti israeliani non sopportano la dignità con cui generazioni di palestinesi si sono ribellati contro le avversità, contro la sconfitta, contro l’oblio. Sono quei palestinesi ammucchiati nei campi profughi di Sabra e Chatila, in ghetti di povertà dove germoglia la prostrazione, e, a volte, la disperazione. Quegli abitanti dei campi del Libano, della Siria, della Giordania, di Gaza o Cisgiordania, della diaspora di milioni di palestinesi dispersi per il mondo, con le famiglie che continuano a conservare un ricordo perduto, la fotografia di una casa, di un piccolo giardino, di un orto, di un muro di cinta, aggrappati alla retina stanca dei palestinesi anziani, sempre attaccati ad un soffio di primavera che stenta ad arrivare per un popolo di rifugiati negli angoli più poveri della propria terra, apolide da sessanta anni, rifugiati di tutte le guerre. Tutte quelle scene ci portano alla memoria il ghetto di Varsavia, e gli infami ghetti dove i nazisti confinarono tante degne persone, a Riga, Vilna, Cracovia, e le dantesche immagini dei cadaveri di bambini palestinesi coperti da povere lenzuola, aspettando l'ultimo addio; o dei bambini palestinesi feriti che portano alla memoria gli sguardi spaventati dei bambini ebrei che passavano tra i reticolati dei campi di sterminio nazisti.
 
L'odio sanguinario dei figli di Israele, dei suoi governanti, di quei giovani soldati che tornavano a casa soddisfatti dopo aver spianato Gaza, dopo avere dipinto sui muri delle case palestinesi "morte agli arabi!"; che ritornavano facendo il segno della vittoria, lasciandosi dietro la devastazione e la morte; l'odio di quei soldati sorridenti, sicuri, non potrà cancellare della nostra memoria l'immagine di quella ragazza coraggiosa che, arrampicatasi sopra un cumulo di terra a Gaza, innalzava una bandiera palestinese, sola con il suo foulard e la sua voce, affrontava lo sguardo dei soldati israeliani carichi di armi. Non potrà soffocare la voce di un anonimo palestinese che, nella manifestazione di solidarietà realizzata a Barcellona, gridava dagli altoparlanti "Palestina libera", con tutta la tristezza del mondo nella sua voce stanca, quasi afona, rotta ma non vinta. La sua voce arrivava amplificata, ma sembrava appena il sussurro di qualcuno che strappa le forze alla stanchezza, di qualcuno che quando sembra impossibile sopportare ancora e proseguire, si alza e mostra al mondo la dignità palestinese. Mentre il fuoco biblico del dio feroce degli ebrei distruggeva Gaza, risuonava alle nostre orecchie: Palestina libera, Palestina libera.
 
Documento sulla manifestazione di New York: 
http://www.alternet.org/story/119372