www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 22-04-09 - n. 270

da Global BDS Movement - www.bdsmovement.net/?q=node/367
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
La campagna per isolare Israele dell'apartheid
 
Lezioni dal Sudafrica
 
di Salim Vally*
 
07/04/2009
 
Ci sono momenti nella storia moderna in cui particolari lotte spingono milioni di persone in tutto il mondo ad agire in modo solidale.
 
Ciò è avvenuto durante la guerra civile spagnola, la lotta del popolo vietnamita contro l'imperialismo degli Stati Uniti e la lotta di liberazione del Sudafrica. Ora è arrivato il momento per l'umanità progressista di troncare con le confusioni, le fandonie e le calunnie e sostenere in modo significativo la resistenza del popolo palestinese.
 
Per più di 60 anni i palestinesi hanno richiamato la nostra attenzione su un oltraggio dopo l'altro, accumulando ingiustizie su ingiustizie senza che fosse maturata quella solidarietà mondiale necessaria a generare una significativa differenza per la loro vita. Il cambiamento di questa ingiustificabile situazione è ora nelle nostre mani. Non è utile appellarsi alle classi dirigenti del mondo e alle loro istituzioni, che a fronte di abbondanti prove, restano immobili, insensibili e ipocrite, perchè in realtà sostengono e forniscono assistenza all’apartheid di Israele e al terrore. È invece utile applicare la più potente arma su cui abbiamo imparato a contare, forgiati e temprati attraverso le sperimentate e collaudate lotte dei lavoratori e dei popoli oppressi che coprono il tempo e lo spazio: la solidarietà. La solidarietà internazionale in questo senso, nelle parole del defunto rivoluzionario mozambicano Samora Machel, “non è un atto di carità ma un atto di unità tra alleati in lotta su diversi terreni per gli stessi obiettivi”.
 
Gli atti di sfida e la determinazione contro l’opprimente disuguaglianza continueranno a guidare la volontà dei palestinesi. Gli attivisti della solidarietà globale devono essere ispirati e rafforzati da questo scatenamento di energie creative; gli ostacoli possono essere superati e il debilitante spreco rappresentato dai conflitti intestini e settari smascherato.
 
Israele: uno stato guerriero fondamentalista e militarizzato
 
La lotta palestinese non esercita solamente un trasporto viscerale su molti in tutto il mondo. Una lettura dell’imperialismo dimostra che l’apartheid di Israele, in quanto stato guerriero fondamentalista e militarizzato, è necessaria non solo per sedare i mai vinti e non piegati palestinesi, ma anche come una rapida risposta reazionaria, di concerto con i regimi arabi dispotici, in ossequio degli ordini dell’Impero in Medio Oriente ed altrove.
 
Nel corso degli anni, questo ha incluso il supporto al terrore di massa scatenato contro i popoli del Centro e Sud America e l’appoggio all'elusione delle sanzioni internazionali contro il Sudafrica. Oltre a fornire una pronta forza mercenaria per terrorizzare una popolazione – che sia in Guatemala, in Iraq o a New Orleans - Israele presta inoltre la sua esperienza nel campo della punizione collettiva e del terrore di massa. Dobbiamo riconoscere che il fondamento dell’economia israeliana poggia sullo speciale ruolo politico e militare che il sionismo, allora come oggi, adempie per l'imperialismo occidentale. Pur svolgendo il proprio ruolo al fine di garantire che la regione sia sicura per le società petrolifere, oggi si è anche ritagliato un mercato di nicchia nella produzione di strumenti di sicurezza ad alta tecnologia, essenziali per il funzionamento quotidiano del Nuovo Imperialismo.
 
La mano senza freni dell’imperialismo americano e il suo sostegno alla barbarie in Iraq o in Palestina dovrebbe accelerare le nostre azioni. A Gaza, l’80 % della popolazione vive in povertà e circa un milione di persone non ha accesso all'acqua potabile, elettricità e ad altri servizi essenziali. Approssimativamente 70 mila lavoratori hanno perso il lavoro nell’assedio di Gaza. L'uccisione dei palestinesi prosegue su basi feroci - ogni giorno vengono lanciati missili da elicotteri e aerei da combattimento fabbricati negli Stati Uniti. Questi vili crimini di guerra sono compiuti in condizione di impunità, senza neanche essere più degni di menzione da parte della grande stampa.
 
Alla luce di questi omicidi e del lento far morire di fame gli abitanti di Gaza, nonché delle frequenti “incursioni” in Cisgiordania, il servilismo del regime di Abbas diventa ancora più spregevole. Le fanfare ed il clamore che circonda il “successo” di Annapolis sono tra le maggiori falsità progettate per sollevare la coscienza e cullare il sonno della “comunità internazionale”. Karma Nabulsi scrisse al momento di questo spettacolo:
 
Il fumoso inganno di questi logori slogan “ultima chance per la pace”, “dolorosi compromessi”, “moderati contro estremisti” è ora utilizzato in modo così poco convincente che un bambino non ne sarebbe ingannato. Si tratta di un incontro per legittimare lo status quo. Ovunque si registra un profondo disfattismo che pervade i grandi media e gli stanchi politici senza valore. Ma c'è una realtà piena di speranza: molti comuni cittadini di tutto il mondo non hanno abbandonato i palestinesi a loro stessi.
 
I palestinesi rimangono saldi e coraggiosi. Nonostante la complessità della resistenza palestinese ed il conflitto tra Fatah e Hamas, e senza critiche demoralizzanti, noi, al di fuori delle carceri israeliane e delle macerie della macchina da guerra israeliana, abbiamo la responsabilità di sostenere la lotta palestinese. Credo che questo obiettivo possa essere raggiunto attraverso la Campagna per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) proposto da una ampio schieramento di sindacati palestinesi, e da organizzazioni studentesche, accademiche e politiche che rappresentano la stragrande maggioranza del popolo palestinese (si veda www.pacbi.org). Altri scritti hanno giustificato la necessità di questa strategia, per cui è sufficiente citare qui un’americana attualmente residente in Sudafrica, Virginia Tilley, che in seguito al bombardamento del Libano con proiettili a grappolo da parte di Israele ha scritto:
 
E’ finalmente tempo. Dopo anni di tormenti interiori, confusioni e perplessità, è giunto il momento per un vero e proprio boicottaggio internazionale di Israele. Le giuste ragioni per un boicottaggio sono, ovviamente, presenti da decenni, come già testimoniano una serie di iniziative. Ma i crimini di guerra di Israele sono ora talmente sconvolgenti, il suo estremismo così chiaro, la sofferenza così grande, le Nazioni Unite così disarmate, e la necessità della comunità internazionale di contenere il comportamento di Israele così urgente e indispensabile, che i tempi per un'azione globale sono maturi. Un movimento coordinato di disinvestimento, sanzioni e boicottaggio contro Israele deve essere concordato non solo per frenare i suoi atti aggressivi ed i suoi crimini contro il diritto umanitario, ma anche, come in Sudafrica, le sue logiche fondative razziste che hanno ispirato ed ancora governano l'intera questione palestinese.
 
Lezioni dalla campagna per isolare il Sudafrica dell'apartheid
 
Sarà utile attirare l’attenzione degli attivisti su alcune delle eccellenti lezioni tratte dalla campagna per isolare il Sudafrica dell'apartheid, tenendo a mente il consiglio di Amilcar Cabral ai rivoluzionari: “non dire bugie, non esigere facili vittorie”.
 
In primo luogo, ci sono voluti alcuni decenni di duro lavoro prima che la campagna di boicottaggio avesse un impatto. Nonostante l'impressione data da molti governi, sindacati e gruppi religiosi di aver sostenuto l'isolamento dello stato dell’apartheid fin dall'inizio, questo semplicemente non è vero. Oltre alle infami parole di Dick Cheney, quando come senatore invocò il mantenimento del carcere per Nelson Mandela, perché era un “terrorista” in età avanzata, e il sostegno dato dal presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, e dal primo ministro britannico Thatcher, insieme a regimi come il Cile del dittatore Pinochet, Israele ed altri, le più potenti istituzioni, le organizzazioni multilaterali ed i sindacati hanno esitato per molti anni prima di dare pieno sostegno alla campagna. Il movimento anti-apartheid (Anti-Apartheid Movement, AAM) è stato costituito nel 1959 ed il primo successo significativo arrivò nel 1963 quando i lavoratori portuali danesi rifiutarono di scaricare le merci sudafricane.
 
La crescita dell’AAM deve essere considerata nel generale contesto di effervescenza delle lotte di liberazione e dei movimenti sociali nei turbolenti anni 60-70 e nel contesto, qualunque fosse il nostro parere sull'Unione Sovietica e sulle sue motivazioni, di un contrappeso all’egemonia degli Stati Uniti. Questo, insieme con l’immoralità della lobby pro-israeliana, il suo opportunistico riferimento all’Olocausto e all'antisemitismo ed il clima di paura post 11 settembre, il tacitamento del dissenso e l'islamofobia, rendono più difficile il compito di isolare Israele dell’apartheid. Nonostante questi ostacoli apparentemente scoraggianti, il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele sta acquistando slancio e registra alcuni significativi progressi, che soltanto pochi anni fa sarebbe stato difficile immaginare.
 
In secondo luogo, gli argomenti contrari al boicottaggio relativi al danno che avrebbe causato agli stessi neri sudafricani e la necessità di dialogo e di “impegno costruttivo” furono facilmente respinti da lucide ed accorte argomentazioni. Il regime sudafricano, come oggi il regime israeliano, utilizzava leader “nativi”e un assortimento di collaboratori. Un'attenta ricerca aveva individuato i legami economici, culturali e commerciali con il Sudafrica rendendo più efficaci le nostre azioni, come il “name and shame” (indicare e umiliare pubblicamente) contro chi aveva beneficiato del regime di apartheid.
 
In terzo luogo, il settarismo è un pericolo su cui dobbiamo vigilare e l’unità sulla base dei principi deve essere la nostra stella polare. Alcuni nell’AAM favorirono il sostegno ad un solo movimento di liberazione, come autentica voce degli oppressi in Sudafrica. Essi inoltre aspiravano a lavorare in gran parte con organizzazioni “rispettabili”, governi e organizzazioni multilaterali, ed evitate il più difficile e paziente collegamento con le lotte delle organizzazioni di base. Nel Regno Unito, ad esempio, come altrove questo atteggiamento settario ha portato a estenuanti divisioni. La più grande sezione dell’AAM a Londra, che ha sostenuto la lotta antimperialista in Irlanda ed ha fatto parte del “Troops Out Movement” (Movimento per il ritiro delle truppe), era osteggiato dall’AAM ufficiale. Quest'ultimo era altresì desideroso di non infastidire il governo britannico prendendo una più netta posizione contro il razzismo in Gran Bretagna.
 
Il sano collegamento delle lotte contro il razzismo a sostegno delle popolazioni indigene e dei lavoratori in Nord America con la lotta palestinese a cui ho assistito deve essere lodato. In occasione di una recente grande manifestazione di solidarietà palestinese in Sudafrica, a membri del Palestinian Solidarity Committee (Comitato di solidarietà con i palestinesi) fu chiesto dai funzionari dell’ufficio dell’ambasciatore palestinese di tirare giù la bandiera della Repubblica Saharawi Occidentale perché temevano che ciò potesse alienare le simpatie dell'ambasciatore del Marocco. Abbiamo rifiutato questa richiesta per la gioia dei sostenitori del Fronte Polisario presenti.
 
In quarto luogo, la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni deve essere concertata con il sostegno alle organizzazioni di base in tutta la Palestina e nella Diaspora palestinese. Ciò può assumere molte forme tra cui gli accordi di “gemellaggio”, tour di conferenze, azioni mirate a sostegno di lotte specifiche e sostegno concreto.
 
Inizialmente, il movimento di liberazione dominante ed i suoi alleati non hanno sostenuto il movimento sindacale indipendente in Sudafrica, che svolse un ruolo fondamentale nell’abbattere il regime di apartheid. Quindici anni dopo le prime elezioni democratiche in Sudafrica, l'attuale governo neoliberale sta privatizzando i servizi pubblici. I poveri che non possono pagare l'affitto vengono sfrattati ed il mancato pagamento delle bollette per l'energia elettrica e l’acqua significa frequenti sospensioni dell’erogazione. Il governo spesso definisce l'impossibilità di pagare i canoni di utenza come la “cultura del non pagamento e del diritto”. Pochi anni fa fummo inorriditi nel vedere i funzionari del comune di Città del Capo presentare ad una delegazione palestinese in visita, compreso un orgoglioso Saeeb Erekart, i contatori per l’acqua prepagati. Questa non è e non dovrebbe essere la solidarietà di cui stiamo parlando! Come commento ad un articolo su Haaertz scritto da Amira Hass nel febbraio 2008, in merito ad uno sciopero di lavoratori in Cisgiordania, si legge:
 
I lavoratori hanno tre principali richieste: adeguamento dei salari in modo che corrispondano al forte aumento del costo della vita; una concreta addizionale alla componente “spese di viaggio” dei salari (che non è aumentata dal 1999, nonostante il raddoppio e la triplicazione dei costi di viaggio a causa dei blocchi stradali e dell'aumento dei prezzi del carburante), ed il cambiamento della nuova norma che richiede ad ogni residente di procurare un certificato di onestà sulla base della “conferma di pagamento del debito”... I portavoce del governo, guidato da Fayyad, hanno si sono spesso espressi contro una “ cultura del mancato pagamento delle bollette”, dipingendo così la grande parte dei consumatori palestinesi come inclini ad essere evasori di debiti…
 
Parole familiari per noi in Sudafrica e la resistenza a questo neoliberismo è in crescita. Per i palestinesi sta accadendo anche prima della “liberazione”. Hass scrive:
 
Lo sciopero, e tutte le discussioni interne e pubbliche che lo accompagnano, rappresenta una affascinante lezione di come i palestinesi riconoscano ancora la potenza del collettivo, di come si oppongano ad una politica economica liberale sotto l'occupazione e la colonizzazione e nutrano un democratico sospetto per gli argomenti della classe dirigente.
 
Infine, la campagna di sanzioni in Sudafrica ha prodotto guardiani, settari e commissari, ma anche loro sono stati contestati. Scrivendo a sostegno del boicottaggio accademico, un collega, Shireen Hassim, non nasconde i problemi:
 
Alcuni esponenti del mondo accademico che si oppongono attivamente all'apartheid hanno rinunciato all’invito a conferenze internazionali; non sempre è stato possibile individuare i sostenitori del regime di apartheid, e la comprensione del mondo accademico sudafricano rispetto ai problemi globali è stata certamente indebolita. E’ nella natura di questo tipo di armi che sono a doppio taglio. Ma, come parte di una serie di sanzioni, il boicottaggio accademico senza dubbio ha avuto un impatto sia sullo stato di apartheid, sia sulle amministrazioni accademiche e universitarie bianche. Il boicottaggio, insieme con le più riuscite campagne di boicottaggio sportivo e disinvestimento economico, ha contribuito a rafforzare la lotta della popolazione nera per la giustizia. L'élite afrikaner, molto orgogliosa della sua radici europee e dell’eredità di Jan Smuts come rappresentante globale in seno al sistema del dopoguerra, e convinto che ci sarebbe stato sostegno per le sue politiche all'estero, fu bruscamente scossa. Le amministrazioni universitarie non poterono più nascondersi dietro ad un alibi di neutralità e furono costrette a rilasciare dichiarazioni sulla loro opposizione all’apartheid e ad introdurre programmi di reintegrazione. Le associazioni accademiche (alcune più di altre) esaminarono la natura e le condizioni di ricerca nelle loro discipline e i sindacati dei docenti divennero parte delle più ampie lotte per la giustizia, piuttosto che organismi di tutela di ristretti interessi professionali. Le università divennero luoghi di intenso dibattito e, anzi, gli intellettuali furono criticamente coinvolti nei dibattiti sulla natura dell’attuale e futura società sudafricana. A seguito del boicottaggio, non vi è stata una limitazione della libertà accademica, quindi, ma un fiorire di pensiero intellettuale che è stato ricco, vario e stimolante.
 
*Salim Vally e uno dei principali membri del Comitato di Solidarietà con la Palestina in Sudafrica ed un veterano dell’attivismo anti-apartheid