www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 20-10-09 - n. 291

Gli effetti della guerra sulle donne a Gaza
 
di Stephen Lendman
 
(Traduzione ed elaborazione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
Global Research, 7 ottobre 2009
 
Il nuovo documento di Palestinian Centre for Human Rights, il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR), dal titolo “Attraverso gli occhi delle donne”, evidenzia “l’impatto specifico di genere e le conseguenze dell’Operazione Piombo Fuso” e del successivo assedio, e prende in considerazione 12 esempi oggetto di studio “attraverso le parole delle vittime.”
Molte sono state le discussioni su questo argomento.
Nella società Palestinese patriarcale, le donne tradizionalmente sono quelle che nell’ambito famigliare si prendono cura delle persone malate, degli anziani, dei bambini e dei disabili, mentre gli uomini sono a capo delle famiglie ed essenzialmente contribuiscono al loro sostentamento.
Come risultato, quando delle vedove sono costrette ad assumere questo ruolo di capofamiglia, spesso sono rese vittime da discriminazioni culturali, sociali ed economiche e marginalizzate.
Attualmente, a Gaza per le donne è veramente duro andare avanti da sole, quindi le vedove devono vivere nell’ambito di una famiglia o rimaritarsi. La qualcosa il più delle donne Palestinesi cercano di evitare, ma l’alternativa di vivere da sole è una dura lotta per l’esistenza, e comunque dopo il conflitto molte non hanno scelta.
A seguito della distruzione senza limiti causata dall’Operazione Piombo Fuso che ha generato più di 1400 morti e molte migliaia di feriti, sono state uccise 118 donne e 825 sono state ferite, in molti casi in maniera tanto pesante che per loro sarà difficile cavarsela. La maggioranza delle vittime appartenevano alla zona settentrionale di Gaza e a Gaza City, dove sono avvenuti gli scontri e i bombardamenti più feroci.
Il PCHR ha costruito gli elenchi dei morti, riportandone il nome, l’età, l’indirizzo abitativo, la data e il posto dell’attacco e la data del decesso.
Israele ha dichiarato che il tributo di morte costituiva una parte inevitabile delle sue operazioni militari, durante le quali comunque si era fatto il possibile per minimizzare le perdite civili. Il PCHR smontava queste asserzioni come prive di fondamento, documentando i numerosi, indiscriminati e spropositati attacchi contro i civili e le loro proprietà.
Testimoni personali hanno prodotto prove che l’83% di tutte le vittime erano civili e così lo erano la maggior parte dei feriti. “Questi crimini costituiscono pesanti violazioni del diritto internazionale; ed esigono riparazioni giudiziarie.”
Il 25 settembre, gli accertamenti della Commissione Goldstone davano conferma che Israele aveva commesso deplorevoli crimini di guerra, che non potevano rimanere senza responsabilità.
 
L’Assedio di Gaza imposto da Israele
 
L’assedio, che tutt’ora continua, costituisce una forma di punizione collettiva, in diretta violazione dell’Articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra che stabilisce:
“Nessun soggetto di diritto può essere punito per una violazione che lui o lei non ha personalmente commesso. Punizioni collettive e parimenti qualsiasi misura di intimidazione o di terrorismo sono proibite.”
L’assedio tiene tutto sotto stretto controllo e rende impossibile la ricostruzione e la ripresa economica. Le abitazioni non possono essere riedificate. Le famiglie sono costrette a stare in campi profughi, trovare temporaneo rifugio presso parenti, o trovare una sistemazione in affitto, se la trovano e se possono permetterselo economicamente. Rimangono ancora sul terreno 600.000 tonnellate di macerie. Non è possibile eliminarle e non è possibile trovare abbastanza cemento nemmeno per le lapidi funerarie!
La situazione diventa sempre più disperata con una disoccupazione che va oltre il 60%, con livelli di povertà che toccano l’80% della popolazione, e secondo un recente rapporto della Conferenza dell’ONU sul Commercio e Sviluppo, la percentuale arriva al 90% con poche possibilità di lavoro a disposizione, quasi esclusivamente nell’amministrazione pubblica e di governo e in piccole aziende di servizi collegate all’economia che dipende dai traffici che avvengono tramite i tunnel fra Gaza e l’Egitto.
I servizi sanitari “sono in uno stato di imminente collasso dovuto alla scarsità di energia elettrica, di medicinali e della strumentazione essenziale salva-vita,” e l’assedio ostacola molti degli interventi di cura necessari. Risultato conseguente, il PCHR ha riscontrato per questi motivi la morte di almeno 61 pazienti.
Inoltre viene denunciata l’insicurezza della potabilità dell’acqua procurata dai tagli di elettricità che impediscono alle pompe adatte allo scopo di funzionare. Anche i generi alimentari fondamentali e essenziali sono forniti con carente disponibilità o non sono disponibili, fatta eccezione per quelli che l’ UNRWA (Ente delle Nazioni Unite per il soccorso ai rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente) e altre agenzie di aiuto umanitario forniscono in quantità comunque inadeguata.
Come Potenza occupante, Israele è obbligata dal diritto internazionale ad adempiere a ciò che prescrivono gli Articoli 55 e 56 della Quarta Convenzione di Ginevra.
L’Articolo 55 stabilisce:
La Potenza occupante ha il dovere di assicurare, nella piena misura dei suoi mezzi, il vettovagliamento della popolazione con viveri e medicinali; in particolare, essa dovrà importare viveri, medicinali e altri articoli indispensabili, qualora le risorse del territorio occupato fossero insufficienti.
L’Articolo 56 stabilisce:
La Potenza occupante ha il dovere di assicurare, nella piena misura dei suoi mezzi, e di mantenere, con il concorso delle autorità nazionali e locali, gli stabilimenti e i servizi sanitari e ospedalieri, come pure la salute e l’igiene pubbliche nel territorio occupato, specie adottando e applicando le misure profilattiche e preventive necessarie per combattere il propagarsi di malattie contagiose e di epidemie. Il personale sanitario d’ogni categoria sarà autorizzato a svolgere la sua missione.
L’Articolo 69 del Protocollo Aggiuntivo I della Quarta Convenzione di Ginevra obbliga la Potenza occupante ad:
assicurare la fornitura di vestiario, di effetti letterecci, di alloggi di circostanza, delle altre provviste essenziali per la sopravvivenza della popolazione civile del territorio occupato, e degli arredi necessari al culto.
 
La Protezione delle Donne secondo il Diritto Internazionale
 
Dato il loro status di non-combattenti particolarmente vulnerabili, alle donne deve essere offerta speciale protezione e sono oggetto di tanta considerazione secondo la Convenzione per la Eliminazione di tutte le forme di Discriminazione contro le Donne, l’Accordo Internazionale sui Diritti Civili e Politici, e la Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali.  Ne risulta che la loro esistenza e la loro integrità fisica e morale sono protette contro le uccisioni premeditate, la coercizione, le punizioni collettive, le rappresaglie, e la distruzione di strutture e materiali indispensabili alla loro sopravvivenza.
Come firmatario delle più importanti norme internazionali sui diritti umani, lo Stato di Israele è tenuto ad osservarle.
Le Conferenze dell’Aia e l’Articolo 3 della Convenzione di Ginevra includono i principi di distinzione e proporzionalità:
-- distinzione; fra combattenti ed obiettivi militari e civili ed obiettivi non-militari; attaccare questi ultimi costituisce crimine di guerra, a meno che i civili prendano parte diretta alle ostilità; e
-- proporzionalità; proibizioni contro l’uso sproporzionato ed indiscriminato della forza che provoca danni a, o perdita di, vite umane e materiali e strutture.
In aggiunta, le parti in conflitto devono assumere tutte le precauzioni per minimizzare ed evitare perdite accidentali di vite dei civili, di apportare offese ai civili e danni a siti non-militari.
Inoltre ai civili devono essere dati “in anticipo efficaci avvertimenti” e devono essere messe a disposizione “zone neutrali” per proteggerli quanto più possible.
Per di più, l’uso di scudi umani è severamente proibito.
Avendo commesso, durante il corso di tutta la sua storia, pesanti crimini di guerra, Israele è un paese che reiteratamente si fa beffe del diritto, e poche nazioni possono in questo campo uguagliarlo.
 
Caso in esame n.1: Wafa Al-Radea
Il 10 gennaio 2009, Wafa e sua sorella Ghada sono state ferite dopo il lancio di due missili sparati da un drone telecomandato. Senza ombra di dubbio, in quel momento per la strada erano le sole persone.
Incinta al nono mese, Wafa si era recata dal suo medico, visto che era vicino il tempo del parto.
Era stato dichiarato un cessate-il-fuoco temporaneo (hudna), e nell’area non erano in corso combattimenti.
Entrambe le donne venivano seriamente ferite. Wafa perdeva la sua gamba destra sopra il ginocchio
e presentava ferite profonde nel resto del corpo. L’attacco causava la frattura delle gambe di Ghada.
In ospedale arrivavano infettate, e si temeva che almeno una doveva essere amputata. In stato di coma, Wafa dava alla luce un bambino con il taglio cesareo.
Più tardi, riuscivano a raggiungere l’Egitto per più di cinque mesi di trattamenti addizionali, ma avevano bisogno anche in seguito di cure e di fisioterapia.
L’1 luglio 2009, il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) ha intervistato Wafa e i suoi fratelli nella loro casa di Beit Lahiya. Wafa è stata vicina a morire, ma è riuscita a sopravvivere grazie alle cure intensive. Ha dovuto subire sei o sette operazioni di trapianto di pelle e ha salvato la gamba. Lei era tanto gravemente ferita che la squadra medica Egiziana affermava che il suo era il caso più difficile nell’ospedale, comunque era riuscita a salvarsi e le veniva imposta una protesi.
Anche così, Wafa non può piegare la gamba e “ancora non riesce a camminare”.
 
Caso in esame n.2: Hala Al-Habash
Il 4 gennaio 2009, un drone Israeliano telecomandato sparava un missile che uccideva la figlia di Hala, di anni dieci, e la sua nipotina di undici anni. Nell’attacco venivano feriti altri tre bambini, compresa la quattordicenne figlia di Hala e due altri nipoti, di anni 15 e 16. La figlia perdeva entrambe le gambe sopra il ginocchio e un nipote aveva una gamba amputata a mezzo della cresta tibiale. La casa della famiglia Al-Habash era la sola abitazione presa come obiettivo nelle immediate vicinanze.
Il 29 giugno 2009, il PCHR ha intervistato Hala e suo marito nella loro casa.
Il giorno dell’attacco, “la zona era del tutto tranquilla, veramente eravamo del tutto tranquilli. Non vi era in atto alcun movimento di resistenza e noi ci sentivamo sicuri. Per questo abbiamo lasciato giocare i bambini all’esterno.”
Loro stavano sul terrazzo. Hala era così sconvolta e distrutta dal dolore da non potere assistere alla sepoltura di sua figlia. “Non lo accettavo. Io desideravo solamente ricordare mia figlia viva.”  Quando Hala andava all’ospedale per trovare l’altra figlia, riscontrava il caos. “Vi erano tanti feriti, tanti morti, così tanta sofferenza. La situazione era orribile…l’odore del sangue e gli amputati. Non vi erano medici e infermieri in maniera sufficiente. Sembrava un mercato, non un ospedale.”
Al Jazeera aveva intervistato all’ospedale la sua bambina, e in seguito, l’Arabia Saudita predisponeva per lei un ulteriore trattamento di cure gratuite nel Regno. Hala si tiene in contatto giornaliero ed afferma: “Nella mia vita, la mia famiglia è tutto. Non ho più mio padre, mia madre, nessuno più, ho solo mio marito, i figli e qualche parente stretto…Mi sono destata pazza pensando al perché era capitato questo alle persone che amo. Gli Israeliani vogliono combattere Hamas, ma colpiscono noi. Perché ci fanno questo?”
 
Caso in esame n.3: Majeda e Raya Abu Hajjaj
Il 4 gennaio 2009, le forze Israeliane hanno colpito ed ucciso Majeda e Raya, che facevano parte di un gruppo di 27 civili che stavano fuggendo dalla zona di Johr Ad-Dik in seguito all’invasione di terra. Questi sono stati ammazzati senza alcun avvertimento o provocazione. Majeda e un altro membro del gruppo portavano una bandiera bianca.
Il 25 maggio, il PCHR ha intervistato il figlio di Raya, Salah, e fratello di Majeda.
Salah dichiarava: “Era scoppiato un incendio e così decidemmo di abbandonare la casa. Ci siamo incamminati fra gli alberi verso la casa di un vicino, 300 metri più in là. 27 di noi stavano nascosti all’interno del pozzo a gradoni di Assafadi. Cercavamo di chiamare un’ambulanza…chiamavamo la Croce Rossa, ma non si riusciva ad instaurare un contatto positivo. Ci veniva risposto che era in corso un’operazione militare e che non potevano raggiungere la nostra zona.”
L’attacco era avvenuto a così ampio raggio che Salah non riusciva più a riconoscere il suo quartiere. Dopo il cessate-il-fuoco, aveva fatto ritorno a casa sua e “ stavo guardando il posto dove gli Israeliani ci avevano colpiti. Ho rinvenuto un pezzo di piede di Majeda e l’ho portato all’ospedale… Da noi non c’era resistenza. Nulla. La zona è troppo aperta…Questa è sempre stata una zona tranquilla. É zona di agricoltura. Qui, non abbiamo mai avuto nessun inconveniente, era bello, ed in un momento tutto è stato spazzato via.”
 
Caso in esame n.4: Ghalya Nimr
“I loro corpi erano ridotti a pezzi e bruciati. Indossavano i loro vestiti per la festa di Eid (n.d.tr.: Eid è una festività islamica che segna la fine del Ramadan). Ho visto le loro cervella, i loro corpi ridotti a brani. Ho cercato di portarli via, ma erano troppo caldi, erano bruciati. Non potete nemmeno immaginare una cosa come questa,” ha dichiarato Ghalya.
Il 4 gennaio 2009, un elicottero Israeliano aveva lanciato un missile sul terrazzo della casa di Ghalya nella zona meridionale di Gaza City. Venivano uccisi tre bambini di Rahlea e il fidanzato di sua figlia. Veniva ferito anche un nipote di Ghalya. In quel momento, 21 civili, compresa la famiglia del fratello di Ghalya, stavano cercando rifugio nell’abitazione. L’attacco li ha traumatizzati. La famiglia era andata ad abitare con il cognato di Ghalya. Ghalya continuava: “Faceva molto freddo, non avevamo vestiti, non avevamo coperte, nemmeno denaro. Eravamo fuggiti senza prendere nulla. Io non avevo nemmeno le scarpe…Tutta la biancheria era stata bruciata. L’abitazione era stata duramente danneggiata. Era piena di macerie.”
Ghalya riferiva al PCHR che loro non avevano lavoro, ne’ alcun reddito. La loro situazione erano disperata, come d’altronde lo era per molti a Gaza.”
 
Caso in esame n.7: Wafa Awaja
Dopo che i soldati di Israele avevano distrutto la loro casa, lei e suo marito venivano feriti alle gambe. Loro erano presenti ad un conflitto a fuoco, come ha riferito suo marito Kamal:
“Stavo in strada con mio figlio. Continuamente mi rivolgevo a lui dicendogli che sarebbe stato tutto OK. Ibrahim mi diceva di non morire. Io gli rispondevo, va tutto bene, i soldati Israeliani stanno arrivando, loro ci salveranno. Loro ci hanno sparato contro, Ibrahim è stato colpito alla testa. Loro si trovavano a circa dieci metri da noi. Ibrahim è morto all’istante…Ho finto di essere morto. Pensavo che se gli Israeliani si fossero accorti che ero vivo mi avrebbe sparato addosso ancora. Pezzi del cervello e del cranio di Ibrahim ricoprivano la mia spalla.”
Wafa dichiarava al PCHR: “Ora noi non abbiamo più vita.”
 
Caso in esame n. 8: Leila Al-Ir
Leila ha riferito al PCHR che per sei giorni “siamo stati fuori dal mondo, non avevamo rapporti e comunicazioni con nessuno. Ho dormito con i miei bambini morti.”
Il 3 gennaio 2009, un bombardamento Israeliano le aveva ucciso tre bambini, sua nuora e suo marito. Risultato, Leila stava soffrendo di severi trauma psicologici. Per un mese, non era riuscita a parlare. Attualmente viene curata da Medici senza Frontiere, ma non vuole ritornare a casa perché pensa che questo sia pericoloso.
 
Caso in esame n. 9: Salah Abu Halima
Salah dichiarava al PCHR:
“Ero abituata a pensare di essere la donna più felice del mondo, ora ho perso mia figlia, I miei bambini, mio marito. Sono la donna più disperata al mondo, io ho paura di addormentarmi. Ho tanta paura di stare in questa casa.”
Il 4 gennaio 2009, un bombardamento Israeliano le aveva ucciso il marito e quattro suoi figli. Altri quattro venivano feriti, anche ustionati severamente da fosforo bianco. Quando membri della famiglia avevano cercato di portare i loro morti e i feriti all’ospedale, i soldati Israeliani uccidevano due di loro e ne ferivano altri due. Terrorizzati, gli altri hanno abbandonato i loro morti e sono fuggiti per mettersi in salvo.
 
Caso in esame n.10: Masouda Al-Samouni
Masouda dichiarava al PCHR:
“Non ho speranze, non ho futuro, nell’offensiva ho perso tutto!”
Il 5 gennaio 2009, circa 150 membri della sua estesa famiglia si erano rifugiati nella sua casa, quando le forze di Israele hanno bombardato la zona circostante l’abitazione, uccidendo 29 famigliari, compreso suo marito ed il figlio. L’abitazione veniva completamente distrutta.
“Stavo in un angolo cercando di proteggere i miei bambini. Urlavo e piangevo, vedevo ogni cosa, il sangue e le teste.Vi era fumo dappertutto. Ho visto cadermi addosso mio cognato e mia suocera. Mi sono resa conto che tre miei cognati e la suocera erano morti…Sono stata ferita al petto e non potevo muovermi…Perdevo sangue ed ero incinta di cinque mesi.”
L’attacco contro la famiglia Al-Samouni veniva ampiamente pubblicizzato da numerosi media in tutto il mondo, comunque ora gli scampati non ricevono effettivamente alcun aiuto. Quel poco che hanno ricevuto, ora è stato bloccato, fatta eccezione per una limitata assistenza da parte di organizzazioni locali. Attualmente, la famiglia vive in una profonda povertà, senza fonti di reddito e nessuna pubblicità sulle sue condizioni.
 
Questo caso era il più emblematico, in quanto metteva in luce cosa migliaia di abitanti di Gaza hanno sopportato ed ancora subiscono sotto l’assedio e la minaccia di nuovi attacchi Israeliani contro obiettivi particolarmente selezionati, che comprendono perfino contadini sui loro campi, pescatori in mare, scolaretti che giocano, e civili che cercano di ricostruire le loro esistenze.
 
Individuazione diretta e distruzione di obiettivi civili
 
Testimonianza n.8 dalla Relazione “Rompere il Silenzio” sull’Operazione “Piombo Fuso”:
“Le case, … se il comandante di battaglione riteneva che un’abitazione gli sembrava sospetta, noi dovevamo farla saltare. Se gli uomini di fanteria trovavano che una certa casa aveva qualcosa di sospetto, noi la bombardavamo. Bombardavamo ogni cosa.”
 
Testimonianza n.9:
“Sempre. Le case venivano demolite dappertutto”
 
Secondo lo Statuto del Tribunale Penale Internazionale (ICC), come si riscontra all’Art.8(2)(b)(ii), prendere di mira obiettivi civili è severamente proibito dal diritto consuetudinario internazionale umanitario. Queste azioni costituiscono un grave vulnus alle Convenzioni di Ginevra.
Il diritto internazionale stabilisce che “in caso di dubbio se una struttura, che normalmente è dedicata a scopi civili, come un luogo di culto, una casa o un’abitazione o una scuola, venga usata per dare un effettivo contributo all’azione militare, allora nel dubbio bisogna ritenere che non sia così utilizzata.
Il Centro Palestinese per i Diritti Umani PCHR stabilisce che “l’assumere direttamente come obiettivo una struttura civile, con il risultato della morte dei civili occupanti, costituisce il crimine di omicidio volontario, una grave violazione delle Convenzioni di Ginevra. Ragionevolmente, è possibile prevedere che l’attacco ad una abitazione civile produrrà come risultato lesioni o morte ai suoi residenti civili.”
Inoltre, le forze Israeliane hanno violato l’Articolo 16 della Quarta Convenzione di Ginevra, quando hanno impedito alle ambulanze di entrare nelle zone colpite.
 
I componenti di una famiglia hanno riferito al PCHR che la mattina in cui la loro abitazione veniva demolita, “non avevamo ricevuto alcun avvertimento, nemmeno tramite altoparlanti. Noi stavamo dormendo.” Giusto il tempo di uscire, che “il soffitto crollava. É per la volontà di Dio che noi siamo ancora vivi.” Senza casa, si sono nascosti in un campo deserto vicino alla loro casa. In pieno inverno, erano ghiacciati nell’alba e troppo terrorizzati per ritornare. Poi, hanno cercato di andarsi a prendere qualche indumento, ma gli Israeliani hanno sparato a loro e al loro figlio ad entrambe le gambe. Due donne Beduine li hanno portati all’ospedale di Odwan. Dopo essere stati dimessi, ancora feriti, hanno vissuto in una tenda. “Non possiamo fare nulla. Non c’è acqua nel campo. Se desideriamo lavare i nostri indumenti, dobbiamo ritornare alla nostra vecchia casa.” Per tre mesi nel campo senza gas per cucinare, la famiglia è stata costretta ad usare un fuoco all’aperto. Hanno avuto molti problemi da risolvere e hanno ricevuto ben poco aiuto.
 
Attacchi indiscriminati
 
Testimonianza n.6 dalla Relazione “Rompere il Silenzio”:
“Vi sono stati giorni in cui abbiamo fatto fuoco solo contro aree edificate, all’interno della stessa Gaza City.”
 
L’Articolo 51 del Protocollo Aggiuntivo I della Quarta Convenzione di Ginevra stabilisce che: sono attacchi indiscriminati quelli “atti a colpire indistintamente obiettivi militari e persone civili o beni di carattere civile.
Secondo la Commissione Internazionale della Croce Rossa sul Diritto Internazionale Consuetudinario Umanitario, Regola 12, sono attacchi indiscriminati quelli che:
-- non sono diretti contro uno specifico obiettivo militare;
-- impiegano metodi e mezzi di combattimento che non vengono diretti contro uno specifico obiettivo militare; o
-- impiegano metodi e mezzi di combattimento che non vengono limitati, come richiesto dal diritto internazionale umanitario.
Secondo il Protocollo Aggiuntivo I:
sono indiscriminati gli attacchi spropositati e “gli attacchi dai quali ci si può attendere che provochino incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile, danni ai beni di carattere civile, o una combinazione di perdite umane e di danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto.
 
Secondo l’Articolo 8(2)(b)(iv) dello Statuto del Tribunale Penale Internazionale (ICC), scatenare un attacco indiscriminato costituisce crimine di guerra.
 
Insufficienti Precauzioni negli Attacchi
 
Testimonianza n.8 dalla Relazione “Rompere il Silenzio”:
“Perché sparare fosforo? Perché è divertente. Fantastico!”
 
Secondo i comandanti delle Forze di Difesa di Israele, il fosforo costituisce un’arma illegale contro i civili che vengono consapevolmente presi come obiettivo.
Anche il diritto internazionale umanitario esige di proteggere i civili e gli obiettivi civili.
In accordo con l’Articolo 57 del Protocollo Aggiuntivo I:
a) coloro che preparano o decidono un attacco dovranno:
i) fare tutto ciò che è praticamente possibile per accertare che gli obiettivi da attaccare non sono persone civili né beni di carattere civile, e non beneficiano di una protezione speciale, ma che si tratta di obiettivi militari…;
ii) prendere tutte le precauzioni praticamente possibili nella scelta dei mezzi e metodi di attacco, allo scopo di evitare o, almeno di ridurre al minimo il numero di morti e di feriti tra la popolazione civile, nonché i danni ai beni di carattere civile che potrebbero essere incidentalmente causati;
iii) astenersi dal lanciare un attacco da cui ci si può attendere che provochi incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile, danni ai beni civili, o una combinazione di perdite umane e danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto;
 
L’Articolo 57 stabilisce anche che “ un attacco sarà annullato o interrotto quando appaia che il suo obiettivo non è militare o beneficia di una protezione speciale, o che ci si può attendere che esso provochi incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile, danni ai beni di carattere civile, o una combinazione di perdite umane e danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto”. Inoltre “nel caso di attacchi che possono colpire la popolazione civile dovrà essere dato un avvertimento in tempo utile e con mezzi efficaci…
 
In merito al munizionamento, valgono il principio di distinzione, la proibizione di attacchi indiscriminati, e la proibizione dell’uso illegale di armi, come il bombardamento di un’area civile o di natura non militare, e dell’uso del fosforo bianco.
Questa è una sostanza chimica incendiaria che viene disseminata mediante bombe, proiettili e missili. In contatto con l’ossigeno, il fosforo bianco brucia e può bruciare la carne umana fino all’osso.
Dopo un iniziale diniego del suo uso a Gaza, più tardi Israele ha ammesso di avere sparato proiettili da 155mm, ognuno dei quali contenente 116 cunei imbevuti di fosforo bianco.Questo ha inflitto gravi ustioni sui colpiti, mai viste prima dai medici che le hanno dovuto trattare.
 
Gli Effetti dell’Assedio
Espressamente proibito dall’Articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra come forma di punizione collettiva, per più di due anni è stato imposto un terribile sacrificio ad un milione e mezzo di residenti nella Striscia di Gaza, che ha condizionato pesantemente tutti gli aspetti della loro esistenza, come il loro diritto a vivere, un adeguato standard di vita, libertà di movimento, occupazione, istruzione, buone cure mediche, il loro benessere emozionale, e tutto quello che un popolo libero in ogni parte della terra considera come scontato, perché non si può vivere sotto occupazione militare a Gaza.
Dal giugno 2007, decine e decine di persone sono morte perché è stato loro impedito di cercare fuori della Striscia un trattamento sanitario salva-vita non disponibile a Gaza.
Questa è una violazione dell’Articolo 17 della Quarta Convenzione di Ginevra Since June 2007, che obbliga a che: “Le Parti belligeranti si sforzeranno di conchiudere accordi locali per lo sgombero, da una zona assediata o accerchiata, dei feriti, dei malati, degli infermi, dei vecchi, dei fanciulli e delle puerpere, come pure per il passaggio dei ministri d’ogni religione, del personale e del materiale sanitario a destinazione di questa zona.
 
Indagini riguardanti l’Operazione Piombo Fuso
 
Testimonianza n.3 dalla Relazione “Rompere il Silenzio” :
“Ma se ripenso a quello che è stato fatto, vi sono persone che meriterebbero di andare in prigione.”
 
Come hanno rivelato in seguito i media Israeliani, il Procuratore Generale Militare (MAG) e il Procuratore Generale (AG) di Israele sono stati pesantemente coinvolti nella pianificazione e nell’esecuzione dell’Operazione Piombo Fuso conferendole una cornice di legalità, anche quando questo non era legittimamente possibile.
Ne risulta che Israele ha fatto e fa ostruzione alle richieste di organizzazioni per i diritti umani per un’inchiesta indipendente e per dare pieno conto delle uccisioni, delle mutilazioni e menomazioni e della distruzione intensiva procurate dalle operazioni militari.
Finora, le diverse indagini condotte, tutte hanno concluso che Israele ha commesso gravi crimini di guerra, per i quali coloro che vi sono stati coinvolti ai più alti livelli dovrebbero essere ritenuti responsabili.
Da parte loro, le autorità Israeliane hanno condotto due serie di indagini interne che il Centro Palestinese per i Diritti Umani PCHR ha definito “inadeguate ed inappropriate, inter alia, sulla base delle fondamentali discrepanze che hanno dissimulato i crimini, con la conclusione finale che le forze Israeliane hanno agito conformemente alla legge.”
Il 30 marzo 2009, il Procuratore Generale Militare Avichai Mandelblit chiudeva l’inchiesta ufficiale dopo soli 11 giorni, anche se numerosi soldati dell’Esercito Israeliano avevano reso serie testimonianze di crimini di guerra e di altre gravi violazioni del diritto internazionale, sulla base delle loro osservazioni di prima mano e per cui dai loro comandanti avevano ricevuto gli ordini esecutivi.
Il 22 aprile, le autorità militari di Israele annunciavano la conclusione di cinque inchieste internazionali, condotte sotto la supervisione del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Gabi Ashkenazi. Ad estremo esempio di faccia tosta, disonestà, irresponsabilità ed ipocrisia, costui ha dichiarato che vi erano stati pochi incidenti dovuti ad errori operativi o di intelligence, e che “durante i combattimenti nella Striscia di Gaza le forze Israeliane hanno operato in accordo con il diritto internazionale.”
Secondo il PCHR, tale comportamento “è stato conseguente alla caratteristica di vecchia data” di 42 anni di occupazione israeliana. Malgrado il loro ripetersi, per deplorevoli crimini di guerra di tutti i tipi “ne’ lo Stato di Israele, ne’ individui sospettati di averli commessi, mai sono stati portati davanti ad un tribunale e perseguiti in accordo con le norme del diritto internazionale. Questa situazione irresponsabile incoraggia le continue violazioni al diritto internazionale e contribuisce a minare il rispetto dell’autorevolezza dello stesso diritto.”
Il risultato è che per decenni i Palestinesi hanno pagato per questo il prezzo ed ancora soffrono “per mano di un occupante brutale ed illegittimo.” Nessuno stato od individuo è al di sopra della legge! Ma questo non ha impedito finora ad Israele di violare le leggi internazionali e i diritti umani, mentre definisce se stessa una società libera ed aperta circondata da orde di Arabi ostili.
 
Organizzazioni per i Diritti Umani condannano Israele per crimini di guerra commessi nella Striscia di Gaza
 
Inchieste indipendenti di Amnesty International, Human Rights Watch, Physicians for Human Rights, ed altri, e naturalmente, la relazione della Commissione Goldstone pubblicata il 15 settembre hanno concluso che Israele ha commesso gravi crimini di guerra in violazione del diritto internazionale umanitario e deve essere considerato responsabile.
Inoltre, nel luglio 2009, l’ex Relatore Speciale dell’ONU per i Diritti Umani nella Palestina Occupata, John Dugard, ha presentato i risultati delle sue “indagini sulla condotta di Israele durante la guerra nella Striscia di Gaza.”
In qualità di capo della “Commissione d’Inchiesta Indipendente (IFFC) su Gaza della Lega degli Stati Arabi”, e membro della “Commissione sul Diritto Internazionale delle Nazioni Unite, l’Aia”, Dugard ha reso pubbliche le sue conclusioni ad un incontro internazionale dell’ONU a Ginevra, che aveva per tema “la responsabilità della comunità internazionale nel sostenere il diritto internazionale umanitario per assicurare la protezione dei civili nei Territori Occupati della Palestina sull’onda della guerra a Gaza.”
Dugard concludeva che “agli stati, e ai loro uomini politici e militari non deve più oltre essere concesso di prevaricare i limiti imposti dal diritto, e l’offensiva di Israele a Gaza, l’Operazione Piombo Fuso, deve rientrare in questo contesto.”
Egli ha sottolineato che le inchieste indipendenti hanno messo in luce “il caso chiaro, senza ombra di dubbio, che Israele nella sua offensiva di Gaza ha commesso crimini internazionali veramente pesanti.”
La Commissione d’Inchiesta Indipendente (IFFC) di Dugard aveva visitato Gaza nel periodo 22-27 febbraio 2009 ed aveva incontrato “un largo schieramento di persone, comprese vittime del conflitto, testimoni, membri dell’autorità di Hamas, medici, uomini di legge, imprenditori, giornalisti e membri di Organizzazioni Non Governative e di agenzie delle Nazioni Unite.”
I componenti della IFFC riscontravano la distruzione di ospedali, scuole, istituti universitari, moschee, industrie, centri commerciali, stazioni di polizia, edifici governativi, strutture delle Nazioni Unite, abitazioni private, territori ad uso agricolo, e più.
Era stata avanzata la richiesta ad Israele per una cooperazione, che non è stata accolta, comunque è stata messa insieme tutta una serie di prove evidenti della grande perdita di vite umane, di tanti feriti e mutilati, della indiscriminata distruzione di obiettivi, che non possono essere messi in relazione con una missione militare.
I membri della IFFC hanno ascoltato “resoconti che sgomentano di uccisioni a sangue-freddo di civili da parte di membri dell’Esercito di Israele, resoconti che in seguito hanno avuto conferma da parte di soldati Israeliani…” Costoro, e i civili all’interno di Israele, al confronto, hanno sofferto perdite decisamente inferiori.
Le azioni di Israele sono state indifendibili, malgrado i proclami ufficiali del governo.
La IFFC concludeva che “l’Esercito di Israele si era reso responsabile di crimini per attacchi indiscriminati e spropositati contro civili e per arbitrarie distruzioni di proprietà” – palese evidenza di crimini di guerra e contro l’umanità.
Per i membri della IFFC, “la palese evidenza” costituiva motivo sufficiente per valutare gli avvenimenti come il “ crimine dei crimini”, vale a dire un genocidio.  
La Commissione riscontrava che “le azioni di Israele hanno corrisposto al requisito di actus reus (azione da galera!), di crimine di genocidio previsto dalla Convenzione sul Genocidio, dal momento che l’Esercito di Israele si era reso responsabile di uccisioni, di sterminio e di causare gravi lesioni corporali a membri di un gruppo – i Palestinesi di Gaza,” molti dei quali erano non-combattenti.
I membri della IFFC “hanno respinto le motivazioni addotte da Israele per avere scatenato l’Operazione Piombo Fuso per auto-difesa.”
In ogni caso la motivazione di Israele era genocida, e comandanti, soldati e rabbini, che individualmente l’avevano incoraggiato, “potevano avere ben avuto tale intenzione e dovevano quindi essere perseguiti per questo crimine.”
In conclusione, i componenti della Commissione d’Inchiesta Indipendente “avevano riscontrato che, nel corso dell’Operazione Piombo Fuso, membri delle Forze Armate di Israele avevano perpetrato crimini di guerra, crimini contro l’umanità, e forse, genocidio.” A loro giudizio, costoro e i dirigenti politici di Israele dovevano essere ritenuti pienamente responsabili a norma di legge.
 
Sfortunatamente, non è stato messo in atto nessun serio tentativo per fare questo. Appena l’Unione Europea e gli Stati Uniti si sono interessati della questione, Israele è risultata fuori portata della legge, sta sopra alla legge. Qual’è la conseguenza? La conseguenza è che le norme del diritto internazionale sulla responsabilità di crimini internazionali non sono solamente minate alle fondamenta, la loro stessa esistenza è posta in questione. Per Dugard, la posizione appare chiara:
“O la comunità internazionale considera Israele e i suoi dirigenti responsabili per le loro azioni o si devono abbandonare i tentativi di assicurare una giustizia internazionale.”
Consideriamo inoltre che il 4 ottobre, il Direttore Generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA), Mohamed El Baradei, definiva Israele come “la minaccia numero uno per il Medio Oriente, date le armi nucleari in suo possesso,” tenuto presente il suo rifiuto di consentire ispezioni per oltre 30 anni e le sue dichiarazioni di intenti ad usare tutte le armi a sua disposizione e a suo preferire in possibili conflitti futuri.
 
La complicità del Presidente Palestinese Mahmoud Abbas nel coprire i crimini nella guerra di Gaza
 
É notorio da vecchia data che Abbas è uno strumento dell’imperialismo, così non desta sorpresa che malgrado la palese evidenza dei crimini di Israele, egli abbia deciso di creare impedimenti al rapporto della Commissione Goldstone, acconsentendo a rimandare un voto alle Nazioni Unite di condanna di Israele “per la sua insufficiente cooperazione durante il corso dell’inchiesta”.
Allora, Abbas tenta di ottenere guadagni, e così facendo incoraggia le continue uccisioni, la repressione e l’occupazione per cui traggano vantaggi lui, i suoi vecchi amici, e gli interessi affaristici dei suoi figli, come la “Wataniya Telecom”, compagnia telefonica supportata da Abbas, nella quale uno dei suoi figli è coinvolto. Come rivelato da un documento Reuters del 24 aprile.   Il documento recita:
“L’aiuto degli Stati Uniti in forma di garanzie di prestito destinato ad agricoltori Palestinesi e a piccole e medie imprese è stato dato ad una compagnia di telefonia mobile che ha alle spalle il Presidente Mahmoud Abbas ed investitori del Golfo.”
Un figlio di Abbas, Tarek, è uno dei vice presidenti e il figlio maggiore, Yasser, fa parte dell’Istituto Aspen con sede centrale negli USA, un centro studi dello schieramento di destra, con membri molto influenti del calibro della ex Segretario di Stato Madeleine Albright, Dennis Ross, la Senatrice Dianne Feinstein, e l’ex Direttore della CIA John Deutch, che sostengono il progetto. Parlando a nome di tutti i Palestinesi, il Primo Ministro, appartenente ad Hamas, Ismail Haniyeh ha accusato Abbas di avere “giustificato” la guerra, ed ha aggiunto che questa sua decisione “non poteva essere considerata come un gesto di conciliazione. Questo rispecchiava un atteggiamento che avrebbe perpetuato i conflitti interni” e dava continuità all’oppressione Israeliana.
Più che mai, Abbas si è esposto come strumento imperialista dalla parte delle forze oscurantiste che perpetuano l’occupazione e il conflitto, e negano al suo popolo il risarcimento, la giustizia e la libertà che merita.
Centinaia di manifestanti con la loro protesta lo hanno condannato. Dirigenti Siriani hanno rimandato un incontro già programmato per esprimere il loro disappunto. In Europa, 32 gruppi Palestinesi hanno richiesto le sue immediate dimissioni. Membri del suo stesso partito si sono fortemente irritati, e gruppi per i diritti umani lo hanno accusato di aderire alle pressioni esercitate da Israele e da Washington, su di lui una tattica consueta, mentre egli continua illegalmente ad esercitare la carica di presidente dell’Autorità palestinese (AP), sebbene il suo incarico abbia avuto termine a gennaio 2009.
Il 2 ottobre 2009, il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU ha messo in agenda il voto su una risoluzione di condanna di Israele per la mancata cooperazione. Quindi si dovrebbe approvare l’appello di Goldstone rivolto al Consiglio di Sicurezza e/o all’Assemblea Generale a seguito delle sue indagini.
Il 23 settembre 2009, la JTA, l’Agenzia di Notizie Globali del Popolo Ebraico riportava che:
“Un funzionario al vertice della Casa Bianca ha comunicato ai dirigenti dell’organizzazione Ebraica mediante fonogramma non ufficiale (23 settembre) che la strategia USA era di portare ‘senza indugio’ il rapporto, commissionato dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU e redatto dall’ex Procuratore Sud-Africano Richard Goldstone, alla sua ‘naturale conclusione’ all’interno del Consiglio per i Diritti Umani e di non consentire di portarlo più avanti.”
Nello stesso articolo, la JTA affermava che la Casa Bianca sosteneva la dichiarazione dell’ambasciatrice Susan Rice che il rapporto era “non equilibrato, di parte e in buona sostanza inaccettabile. Noi abbiamo veramente serie perplessità nel considerare molte delle sue raccomandazioni.”
Il rapporto al momento è stato differito, e data l’autorità degli Stati Uniti sul Consiglio di Sicurezza, può venire insabbiato, a meno che la comunità mondiale agisca congiuntamente per senso di responsabilità, per la riparazione dei torti e per la giustizia. Diversamente da ciò, Israele si vedrà abilitata ad esercitare liberamente il suo dominio terroristico, conclamando le minaccie alla sua sicurezza, sebbene sia l’unico paese nella regione a minacciare, con l’aiuto e l’incoraggiamento da parte di Washington e dei dirigenti corrotti di Fatah, con alla testa Mahmoud Abbas.
 
Stephen Lendman è un Ricercatore Associato del Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione. Vive a Chicago e può essere contattato a lendmanstephen@sbcglobal.net
 
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Da “il Manifesto” del 17 ottobre 2009
 
CRIMINI DI GUERRA A GAZA
«Sì» al rapporto Goldstone, Israele sotto accusa all'Onu
Ora potrebbe attivarsi la Corte penale internazionale
 
di Michele Giorgio – da Gerusalemme
 
Con 25 voti a favore, sei contrari, tra cui quello dell'Italia, stretta alleata di Israele nell'Unione europea, e undici astensioni, il Consiglio dei diritti umani dell'Onu ha approvato ieri il rapporto della Commissione d'inchiesta Goldstone sull'offensiva israeliana «Piombo fuso» nella Striscia di Gaza.
Il documento accusa Israele - ma anche Hamas che controlla Gaza dal 2007 - di aver commesso crimini di guerra assimilabili, in non pochi casi, a crimini contro l'umanità. Quindi chiede che le due parti indaghino entro sei mesi, sui crimini accertati dall'indagine, e, in caso contrario, che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu deferisca la questione alla Corte penale internazionale.
Si tratta di un voto di eccezionale importanza per la riaffermazione della legalità internazionale in Medio Oriente, anche se il procedimento avviato ieri a Ginevra non pare destinato a fare tanta strada, in considerazione del veto statunitense che impedirà un eventuale intervento della Procura internazionale.
La reazione israeliana è stata durissima. Rappresentanti del governo e dell'opposizione hanno respinto con forza il voto, definendolo una «ricompensa al terrorismo».
«L'adozione di questa risoluzione pregiudica tanto gli sforzi per i diritti umani, quanto quelli per promuovere la pace in Medio Oriente...continueremo ad esercitare il diritto all'autodifesa e a prendere le misure necessarie per proteggere la vita dei cittadini», ha comunicato il ministero degli esteri.
Sul diritto all'autodifesa - dai razzi lanciati dalle milizie palestinesi - Israele fonda la sua critica incessante all'inchiesta svolta dal giudice ebreo sudafricano, molto stimato per il ruolo svolto in passato nelle indagini sui crimini di guerra e contro l'umanità commessi in Ruanda e nei Balcani. L'autodifesa tuttavia non autorizza in alcun modo che vengano compiuti attacchi contro obiettivi civili, non permette l'uso di armi proibite, come le munizioni al fosforo bianco in aree densamente popolate, o, tanto per citare un caso denunciato da Goldstone, l'uccisione di donne che sventolano la bandiera bianca.
Il giudice internazionale ha fatto semplicemente il suo lavoro. Ha accertato, con un'inchiesta accurata, una serie di violazioni delle leggi e convenzioni internazionali e crimini commessi contro i civili. Ha anche denunciato i lanci di razzi contro i cittadini israeliani da parte di Hamas.
Tuttavia Israele - che ha già messo in chiaro che non permetterà la condanna anche di uno solo dei suoi militari - si batte per l'affermazione di un principio, condiviso dagli Stati Uniti e, evidentemente, anche dall'Italia, secondo il quale la «lotta contro il terrorismo» deve essere portata avanti senza regole, nonostante gli «inevitabili danni collaterali» che essa comporta.
E l'uccisione di civili sarebbe da imputare solo ai «terroristi» che «si fanno scudo della popolazione». Gaza come l'Afghanistan sotto i bombardamenti aerei statunitensi, tanto per intenderci.
Da tempo Usa, Israele e altri paesi occidentali reclamano modifiche sostanziali delle leggi e delle convenzioni internazionali che proteggono i civili in aree di conflitto, in considerazione di quella che descrivono come la «guerra asimmetrica» che oggi vede gli eserciti delle «democrazie occidentali» impegnati contro guerriglieri ed insorti non su campi di battaglia ma all'interno di centri abitati.
L'approvazione del rapporto Goldstone è stata accolta, invece, con entusiasmo da Hamas, che ha «ringraziato i paesi amici» e ha sottolineato la necessità di «andare avanti su questa strada, e fare in modo che i criminali sionisti siano messi sotto processo».
Diverso il clima nell'Anp. Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente Abu Mazen, ha messo l'accento sulle «raccomandazioni» contenute nel rapporto e sulla loro «attuazione», affinché sia garantita «al popolo palestinese la protezione dall'aggressione israeliana». Non sarà facile per Abu Mazen riemergere come difensore dei diritti della gente di Gaza dopo aver accettato, il 2 ottobre, su pressione americana e israeliana, di rinviare a marzo il voto sul rapporto Goldstone alle Nazioni Unite. La retromarcia fatta nei giorni scorsi dal rais palestinese, sull'onda delle contestazioni popolari, non ripara l'immagine di un leader meno credibile e sempre più debole.
 
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Da Mónica G. Prieto
Mónica G. Prieto è stata corrispondente per Israele ed i Territori palestinesi tra il 2005 e 2007, e a vissuto a Gaza la vittoria elettorale di Hamas, le conseguenze del blocco e la situazione della guerra civile palestinese.
 
Smontiamo alcuni luoghi comuni su Gaza
 
Vedere come i canali televisivi arabi e quelli occidentali hanno coperto gli avvenimenti è come affacciarsi a due mondi differenti. Influenzati dalla corrente d’opinione promossa dall'amministrazione di Washington, vicina ad Israele, i media europei e statunitensi hanno assunto mezze verità come fatti, ignorando la situazione complessiva della Striscia e molti dei recenti avvenimenti politici imprescindibili per capire che cosa stava accadendo.
Per comprendere il diffuso movimento di solidarietà che si sta vivendo nei paesi musulmani verso Gaza è necessario contestualizzare i fatti e smontare alcuni dei luoghi comuni. Questi sono alcuni esempi.
 
Primo luogo comune: “Hamas ha preso il potere con la forza nel 2007”
In realtà, il Movimento di Resistenza Islamica è arrivato al potere nel gennaio del 2006, dopo aver ottenuto l’appoggio del 65% dei Palestinesi nelle elezioni di allora tenutesi democraticamente in conformità degli standard internazionali secondo tutti gli osservatori presenti, in una massiccia vittoria che è risultata sorprendente dentro e fuori i territori occupati.
La supervisione internazionale riferì che non si erano prodotte irregolarità, ma il Quartetto (USA, UE, Russia e ONU), congelò i suoi aiuti ai Palestinesi con il voluto obiettivo di obbligare Hamas a rinunciare alla violenza e per indebolire quell’organizzazione.
Da parte sua, Israele ha dato inizio ad una dura strategia di isolamento, iniziando a trattenere i fondi che riscuote in nome dell’Autorità Palestinese a titolo di imposta, circa 40 milioni di euro vitali per la sopravvivenza dei Territori.
Inoltre, i soldati Israeliani hanno arrestato la maggior parte dei deputati islamisti nella Cisgiordania e a Gerusalemme Est, bloccando così il Parlamento Palestinese rimasto sprovvisto del “quorum” per poter deliberare.
Il confronto storico tra la fazione Al Fatah, sconfitta alle urne, e Hamas, si è aggravato più che mai, ed un insidioso e sotterraneo intervento internazionale ha ottenuto che si passasse delle parole alle armi.
Secondo un'indagine della rivista “Vanity Fair” fondata su documenti confidenziali autenticati da fonti nordamericane, "si ebbe un'iniziativa nascosta approvata da Bush ed organizzata dalla segretaria di Stato Condoleezza Rice e dal vice consigliere per la Sicurezza nazionale, Elliott Abrams, per provocare una guerra civile palestinese".
Il piano consisteva nell’appoggiare le forze dirette da Mohamed Dahlan, dirigente di Al Fatah, dotandole di un nuovo armamento fornito su richiesta nordamericana, per dare a Fatah la forza necessaria per eliminare dal potere il governo democraticamente eletto di Hamas.
Quindi, Washington ha promosso un conflitto civile interpalestinese per farla finita con gli Islamisti.
Così, il leader dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Abu Mazen, (Mahmud Abbas) si rifiutava di consegnare il controllo delle forze di sicurezza ad Hamas, che a sua volta organizzava le proprie. Gli scontri isolati tra le due fazioni sono proseguiti per quasi un anno e mezzo, fino a che, nel giugno 2007, sono sfociati in una breve guerra intestina. Agli Islamisti furono sufficienti pochi giorni per avere il sopravvento su Al Fatah.
Abu Mazen sciolse il governo eletto di Hamas per nominare un altro esecutivo, tacciato d’illegalità da alcuni esperti Palestinesi che hanno criticato duramente anche l'azione di Hamas, e così “de facto” i due territori Palestinesi sono stati divisi.
 
Secondo luogo comune: “Il blocco è stato imposto dopo il ‘colpo di stato’ di Hamas”
Il blocco ha avuto inizio giorni dopo che gli Islamisti sono arrivati al governo, a dispetto delle denunce delle organizzazioni umanitarie, le quali sottolineavano come senza gli aiuti internazionali i territori venivano esposti ad una crisi umanitaria.
Pochi mesi dopo la vittoria elettorale, le ONG denunciarono la scarsità di medicinali negli ospedali ed avvisarono del rischio di malattie infettive. Il peggio stava per arrivare.
Dapprima ci fu la risposta israeliana alla cattura del soldato Guilad Shalit, che puniva duramente la Striscia.
Un anno dopo, a seguito dei combattimenti interpalestinesi, Tel Aviv dichiarava Gaza entità nemica, permettendo l'entrata di appena 19 prodotti di base rispetto ai 3.500 che entravano prima.
Da allora, la prima crisi umanitaria, creata espressamente dall’Occidente, ha impoverito la popolazione fino a limiti insospettabili. Se, nel 2007, un milione di persone a Gaza, dove abitano 1,5 milioni di Palestinesi, sopravvivevano grazie agli aiuti dell'ONU, oggi si calcola che 1,2 milioni si possono alimentare solo grazie alle Nazioni Unite, le quali però hanno smesso di ricevere gli alimenti vitali a causa della chiusura israeliana. Oggi, gli abitanti di Gaza hanno