www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 07-05-10 - n. 318

Report degli incontri con Badarni, sindacalista ed attivista palestinese
 
a cura di Kutaiba Younis
    
30/04/2010
 
La seguente è una sintesi dell’intervento del compagno che si è tenuta in 5 città italiane (Torino, Milano, Padova, Bergamo e Roma) dal 26 marzo al 31 marzo 2010.
 
Si apre con un accenno storico sulla nascita del sindacalismo in Palestina nel 1920. La situazione politica e sociale mette in allarme la popolazione palestinese. Il continuo flusso di immigrati ebrei in Palestina e le politiche mandatarie che facilitano l’insediamento di tali immigrati aumenta la consapevolezza del pericolo di perdere la propria patria e le proprietà palestinesi.
 
Il 1920, inoltre, vede nascere il sindacato ebraico oggi chiamato la Hestadrut. Questo sindacato adotta tre principali obiettivi/slogan:
 
1-     Incoraggiare l’immigrazione ebraica verso la Palestina; 
2-     Facilitare l’insediamento degli immigrati sionisti in Palestina; 
3-     Promuovere e sviluppare il lavoro ebraico.
 
Come si evince da questi tre obiettivi la Hestadrut è parte integrante del movimento sionista e del progetto colonialista. Essa non si propone di proteggere e promuovere i diritti e gli interessi della classe operaia in Palestina, ma si schiera al fianco di una parte di essa, ovvero quella ebraica e sionista. Questa differenziazione razzista e discriminatoria e lo scopo politico del sindacato ebraico spinge i palestinesi a fondare il proprio sindacato che, oltre a promuovere il discorso di classe, si butta nella lotta contro il colonialismo britannico e sionista della Palestina. Quest’ultima peculiarità del sindacalismo palestinese lo rende alquanto diverso da tutti i sindacati nel mondo.
 
Con lo sviluppo industriale e di infrastrutture legato al colonialismo britannico in Palestina e in particolare nella città di Haifa, nasce il sindacato palestinese nel 1923 ad opera degli operai delle ferrovie provenienti da tutti i villaggi attorno alla città (settore in forte espansione all’epoca) . Lo scontro tra la popolazione palestinese e il colonialismo britannico e sionista cresce col passare del tempo e sfocia in uno sciopero generale durato tre anni (nel 1936-39) ed abortito grazie al parassitismo della classe politica palestinese. Questo scontro tocca il massimo punto negli anni 1947-1949 con l’esito che conosciamo: la fondazione dell’entità sionista israeliana e l’inizio della Nakba palestinese. I due terzi della popolazione palestinese vengono letteralmente cacciati dalla propria terra e costretti all’esilio nei territori della Cisgiordania e la Striscia di Gaza e nei paesi arabi limitrofi. Questo esilio ha comportato la distruzione del suo tessuto sociale, culturale e politico. Vengono distrutti e cancellati organi istituzionali e di rappresentanza compreso il sindacato palestinese. La classe operaia palestinese paga un prezzo molto salato non solo dalla perdita di tutto il proprio avere ma soprattutto dalla frantumazione e dispersione della popolazione in territori lontani l’uno dall’altro e senza collegamento tra di loro per un periodo molto lungo.
 
Una parte molto esigua dei palestinesi che si stima in 156.000 rimane a vivere all’interno della nuova entità politica chiamata Israele. Privati di ogni diritto anche se sulla carta vengono considerati cittadini a tutti gli effetti, essi vivono sotto un regime militare che dura dal 1948 fino al 1966. Ciò comporta la limitazione di movimento e, quindi, di lavoro. I palestinesi sottoposti a questo regime vedono confiscate le proprie terre, distrutte tutte le loro forme di rappresentazione culturali, sociali e politiche. La dirigenza viene o esiliata o imprigionata, in molti furono liquidati fisicamente. In una situazione cosi difficile questa popolazione non si lascia allo smarrimento e/o alla resa ed inventa forme di lotta e di rappresentanza (il movimento nato agli inizi degli anni sessanta, Al Ard, e liquidato nel ‘64/’65, e il movimento Figli della Terra Abnà Al Albalad, di estrazione marxista e nato nel ’69 è tuttora presente), alcuni raggiungono le fila della neonata lotta armata palestinese e successivamente l’OLP.
 
Le attività quotidiane dei palestinesi del ’48 necessitavano il beneplacito del governatore militare, per uscire dal proprio villaggio e recarsi in ospedale o al lavoro, occorreva un permesso speciale sia dai militari che dal sindacato. Questo fatto esponeva il cittadino palestinese ai ricatti e gli veniva chiesto di diventare un collaborazionista o informatore: fornire informazioni sui propri parenti o compaesani e su coloro che hanno raggiunto le fila della resistenza.
 
Quindi, il sindacato sionista continua ad immedesimarsi nel progetto colonialista sionista, diventando uno strumento funzionale della sua realizzazione. Non si tratta solo di forgiare e fornire la dirigenza politica sionista, ma di perseguitare i lavoratori palestinesi, rifiutando loro il lavoro e la rappresentanza/tutela sindacale prima, e sottoporre il lavoratore al ricatto vile sfruttando le loro esigenze di lavorare e di spostamento poi. Questa situazione continuerà fino ai giorni nostri come vedremmo in seguito.
 
Questa situazione trova uno sfogo della rabbia accumulata da parte dei palestinesi nella prima intifada dopo la perdita della terra palestinese. La sollevazione popolare del ’76 ha visto una vasta partecipazione che divenne totale dopo l’uccisione di sei giovani dimostranti, il ferimento di decine e l’arresto di centinaia. Solo in una situazione di regime razzista e discriminatorio un governo possa reprimere e soffocare nel sangue una manifestazione pacifica del 20% dei propri cittadini, i palestinesi. Tale sollevazione popolare fu resa inevitabile grazie alle politiche dei governi sionisti, la confisca della terra appartenente ai palestinesi (nel ’76 i palestinesi all’interno dell’entità sionista possedevano il 13% della terra circa, oggi ne posseggono il 6 e ne sfruttano a malapena il 2%). Ciò in aggiunta alla mancata politica di sviluppo dei centri abitati arabi, sia in termini urbanistici che industriali e culturali. Va notato qui l’agire della Hestadrut che in accordo con la confindustria israeliana fece un accordo reso pubblico il 26 marzo dello stesso anno, in cui ammoniva i lavoratori palestinesi dal partecipare allo sciopero e alle manifestazioni. In questo documento che venne distribuito in tutte le fabbriche e luoghi di lavoro, il sindacato sionista dichiara: 
Questo bieco agire sindacale non ha sortito nessun effetto. Al contrario, i palestinesi hanno interagito con tutti gli avvenimenti che hanno sconvolto la regione negli anni a venire rinnovando la loro sfida a tutte le istituzioni sioniste, compresa la Histadrut; la prima invasione del sud del Libano nel ’78, la visita di Sadat e gli accordi Israele/Egitto nello stesso anno, la seconda invasione del Libano nel ’82 e il massacro di Sabra e Chatila e, naturalmente, lo scoppio dell’Intifada nel ’87. Tutti questi eventi hanno visto la partecipazione attiva dei palestinesi del ’48 sia in forma di protesta e manifestazioni che in vicinanza e solidarietà ai loro fratelli nei Territori Occupati del ’67 durante l’Intifada. La firma degli accordi di Oslo da parte dell’OLP convinse la dirigenza politica in questi territori di formare un proprio partito politico che possa esprimere:
 
1-     Una rappresentanza politica vicina a questa popolazione, poiché si sono sentiti traditi dall’OLP; 
2-     Un dissenso politico dagli accordi di Oslo che furono concepiti come tradimento/capitolazione.
 
Il 2000, anno in cui i palestinesi del ’48 sono scesi in strada al fianco dei loro fratelli della Cisgiordania e della Striscia di Gaza allo scoppio dell’Intifada di al Aqsa, fu altrettanto sanguinoso per loro. Il bilancio fu di 13 morti, centinaia di feriti e di arrestati. Non è stato processato nessuno per questa strage. Ma durante questa sommossa moltissimi lavoratori palestinesi che erano sui posti di lavoro nelle città sioniste furono prima aggrediti fisicamente e poi licenziati. Questi avvenimenti e la situazione politica in generale hanno convinto molti attivisti di fondare il sindacato palestinese autonomo Sawt el A’mel (la voce dei lavoratori). Quindi, l’esperienza sindacale palestinese nelle zone del ’48 è abbastanza recente. È un sindacato giovane, ma malgrado questo fatto esso ha già accumulato un’esperienza da veterano. Ciò è da imputare alla durezza del conflitto in corso e a quanto siano legati le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici all’ambito politico ed ideologico.
 
Alcune esperienze sindacali
 
1. Il licenziamento in tronco degli operai delle ferrovie palestinesi nelle ferrovie israeliane. Con il pretesto del servizio militare, cosa che gli arabi non fanno perché sono esenti, la ferrovia licenzia tutti coloro che non hanno compiuto questo obbligo. Viene preteso dai lavoratori che controllano i passaggi a livello di aver fatto il servizio militari e di essere dei tiratori scelti. Il fatto che gli arabi non lo sono ha costituito una giusta causa per il licenziamento. La battaglia sindacale è ancora in corso. 
 
2. Il licenziamento dei lavoratori arabi di una catena alberghiera vicino al mar morto. Per il fatto che questi lavoratori si parlino in arabo, questo dà fastidio sia al direttore sia alla clientela. La battaglia sindacale è stata vinta e sono stati reintegrati tutti i lavoratori.
 
3. La riscossione dei salari e contributi dovuti ai lavoratori della Striscia di Gaza. Dal 2005, anno in cui Sharon decise la re-localizzazione dell’IDF fuori dalla Striscia di Gaza e lo smantellamento delle colonie ivi presenti, tutti i lavoratori della S. di G. furono cacciati dai loro posti di lavoro all’interno dell’entità sionista senza percepire i loro stipendi e/o contributi. la stima dei contributi dei lavoratori della Striscia di Gaza e della Cisgiordania è di almeno 500 milioni di dollari. Nel 1995 fu raggiunto un accordo (tra il sindacato palestinese- affiliato all’ANP, l’Anp, la Histadrut e il governo israeliano) secondo il quale furono restituiti solamente 2.5 milioni di dollari ai lavoratori palestinesi o ai loro familiari. Un tradimento vero e proprio da parte del sindacato palestinese all’epoca ed è un furto in stile sionista dei contributi dei lavoratori palestinesi. Attualmente, Sawt el A’mel è in causa con i datori di lavoro israeliani e con il governo sionista. Essi, oltre a dover affrontare la complessa causa dal punto di vista legale, devono anche affrontare due elementi che rendono tutta la faccenda quasi impossibile per un sindacato piccolo e povero di mezzi:
 
a)      Il costo materiale di ogni fascicolo; occorrono 150 euro per aprire la causa in tribunale e considerando che sono attualmente circa 5000 i palestinesi della S. di G. che hanno deciso di fare causa, la somma finale è irraggiungibile per questo sindacato. Per affrontare questo nodo, il sindacato belga ha attivato una campagna presso i propri associati per raccogliere la somma necessaria.
 
b)      I lavoratori palestinesi sono impediti dal entrare in “Israele” per fare la causa. La procura diventa l’unica soluzione, solo che esiste un blocco totale alla S. di G. e cosi è difficile firmare i documenti necessari e depositarli presso la corte.
 
Il disinteressamento totale dell’ANP su quest’argomento non facilita certo la conduzione della denuncia.
 
4. La campagna di denuncia/contrasto al piano di precarizzazione ed esclusione dei disoccupati palestinesi dai sistemi della previdenza sociale chiamato Wisconssen (sperimentato per prima nello Stato Usa chiamato appunto Wisconssen). Tale piano mira all’esclusione e/o cancellazione dei disoccupati palestinesi dalle liste attraverso l’affidamento dei loro fascicoli ad aziende di ricerca lavoro/occupazione. Per ogni fascicolo chiuso, il governo dà una gratifica monetaria aggiuntiva a tali aziende e, qualora un’azienda non dovessi chiudere il 35% dei fascicoli che le vengono affidati, il governo si riserva la facoltà di escludere l’azienda cambiandola con un’altra.
 
Le azienda obbligano il soggetto che percepisce gli assegni di disoccupazione e qualsiasi altra forma di ammortizzatore sociale a stare per 8 ore al giorni fermi nei centri di questi aziende. No tenendo conto dello stato di salute di queste persone (i malati e gli anziani), delle loro condizioni familiari (le mamme che accudiscono bambini piccoli in Particolare), delle loro professionalità, queste aziende mirano a spingere i disoccupati in questione di stancarsi e, in ultima analisi, a disertare il centro. Questa azione li porta alla perdita di qualsiasi diritto e, quindi all’esclusione. Cosi le aziende possono vantarsi di aver raggiunto il 35% di fascicoli chiusi richiesto dal committenti ed avere il compenso che li spetta secondo gli accordi. Va detto che ogni fascicolo chiuso è un risparmio per le casse dello “stato”.
 
Queste aziende per spingere i disoccupati palestinesi a disertare il programma hanno messo in atto un sistema di lavoro in volontariato presso aziende, comuni, uffici pubblici ed altro. Andare a fare lo spazzino in un commissariato di polizia è già un motivo di rifiuto. Ma questo piano,oltre a generare le esclusioni di cui si parla, ha generato maggiore disoccupazione. Le sedi delle attività in volontariato, i comuni in particolare, hanno cominciato a sostituire i loro impiegati professionali con il volontariato. (va ricordato che i comuni, quelli palestinesi in israele, versano in condizioni economiche gravissimi, alcuni hanno raggiunto l’insolvenza. Quindi un azione del genere li fa comodo).
 
Secondo quanto ci racconta il compagno, le esclusioni non si affermano solo grazie a queste azioni; egli ci dice che basta farsi beccare alla guida di un’auto, anche se non è sua, per essere esclusi dal sistema. Perciò è nata una forza di polizia stradale mista alla polizia di finanza per inseguire i disoccupati. Essa, questa forza, è attiva esclusivamente nelle aree urbani palestinesi. Va detto a proposito che i villaggi arabi sono scarsamente e mal collegati con il sistema del trasporto pubblico. Ciò rende l’uso della macchina privata un’esigenza insostituibile in certi momenti e per certe necessità
 
Avere una proprietà è motivo di esclusione. La terra confiscata decenni prima al nonno del soggetto interessato all’accesso del sistema previdenziale e dove magari nel frattempo è stata costruita una colonia o una strada piuttosto che una base militare, ma mai cancellati dal registro del catasto, vengono imputati come proprietà ereditate. Ereditario di una proprietà mai posseduta e, probabilmente che non possederà mai.
 
Un padre cinquantenne e disoccupato viene escluso dal programma perché il figlio ha costruito la propria casa sopra la casa del padre. Questo viene considerato come una proprietà aggiuntiva e al padre viene rinfacciato il fatto che non chiedesse l’affitto al figlio.
 
È un sistema come vediamo che mira esplicitamente ad escludere attraverso una politica ed un comportamento volto all’umiliazione e a portare il soggetto alla disperazione. E siccome ciò viene applicato solamente ai “cittadini” arabi nell’entità sionista, deve essere considerato un sistema razzista e di apartheid avanzato anche.
 
p.s. nel momento in cui viene ultimata questa stesura, apprendo che il governo sionista ha ritirato il progetto Wisconssen. Il fallimento di questo progetto è da attribuirsi alla ferocia opposizione del sindacato Sawt el A’mel e alla campagna di informazione che esso ha messo in campo contro il progetto e i pericoli che ne derivano.
 

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