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da www.info-palestine.net/article.php3?id_article=8775
Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Nakba 2010
 
di Ilan Pappe*
 
27/05/2010
 
La razzia perpetuata a danno del popolo palestinese è cominciata con le stragi e le espulsioni del 1948 e prosegue, oggi, con l'assedio di Gaza e la "giudaizzazione" di Gerusalemme e della Cisgiordania. Il tutto fa parte di un piano di "pulizia etnica", scrive Ilan Pappe in questa lettera aperta.
 
Con il passare degli anni, ci diventa sempre più chiaro che la grande sfida che dobbiamo affrontare è la triste realtà che la Nakba [la catastrofe, Ndt] non è terminata.
 
Quando uso il “ci diventa”, intendo e comprendo tutti quelli che individualmente o in quanto membri di qualsiasi gruppo, si assumono la responsabilità di mostrare al mondo la solidarietà col popolo palestinese, così come la determinazione a porre fine a questa oppressione, spiegando e descrivendo la catastrofe del 1948, un progetto di spoliazione di un popolo che non è ancora completato e che, se non facciamo qualcosa per fermarlo (cosa che non siamo ancora riusciti a fare), raggiungerà inevitabilmente le sue ultime e più sinistre conseguenze.
 
Abbiamo recentemente assistito ad un cambiamento di atteggiamento di alcuni paesi occidentali, tra cui gli Stati Uniti. Tuttavia, nessuna di queste élite emergenti sembra avere alcun interesse ad opporsi a Israele o alle sue politiche atroci. Allo stesso tempo e contrariamente a chi li comanda, l'opinione pubblica di questi paesi ha mostrato una buona comprensione della situazione, dimostrando di essere pronta a comprenderla.
 
Ma niente di tutto ciò risulta sufficiente, soprattutto quando i media dominanti persistono nel considerare la Nakba al massimo come una semplice lite tra due oppositori di pari forza cominciata nel 1967 o, nella peggiore delle ipotesi, come un problema minore che converrebbe delimitare e controllare, ma senza alcuna intenzione di risolverlo.
 
Certo, il nostro compito non è facile, soprattutto per il sorprendente risultato di quel giorno (14 maggio) del 1948 in cui vennero svolte le operazioni di esproprio da parte di Israele, che riuscì così ad occupare l'80% del territorio palestinese, espellendo, in questo modo, più della metà della popolazione originaria.
 
A causa dell’ampia portata di queste drastiche operazioni, i suoi responsabili possono permettersi oggi di attuare tutti i tipi di politica genocida, con l'unico obiettivo di porre fine alla pulizia etnica sostituendosi alla popolazione palestinese.
 
E’ per questo che dobbiamo e possiamo trovare il modo più efficace di fare comprendere al mondo la relazione esistente tra la distruzione del 1948, dei 531 villaggi e 11 città, e quella del 2010, con la demolizione delle case palestinesi a Gerusalemme, i cui abitanti, per buona parte, erano già stati vittime della pulizia etnica perpetrata da Israele nel 1948.
 
Forse per convincere i lettori di ciò che è realmente avvenuto, occorre spiegare brevemente la distruzione di 64 di questi 531 villaggi e di come la tragedia ha avuto luogo portando alla scomparsa quasi totale della Palestina rurale.
 
Questi villaggi si trovavano nella zona compresa tra le città costiere di Tel Aviv e Haifa. Una brigata dell’Haganah ["difesa" in ebraico, braccio armato del movimento sionista in Palestina, divenne nel 1948 l'esercito israeliano, NdT], l’Alexandroni, fu incaricata di giudaizzare questa parte della Palestina. Da fine aprile a fine luglio del 1948, in quasi tutti i villaggi si è riprodotta la stessa lugubre tragedia: i soldati israeliani armati accerchiavano il villaggio su tre lati e costringevano la popolazione a fuggire dall'altro. In diversi casi, se le persone si rifiutavano di lasciare il villaggio, venivano costrette a salire sui camion per la Cisgiordania. In alcuni di questi villaggi ci sono stati dei volontari arabi che hanno resistito, ma quando le truppe conquistavano questi villaggi, li distruggevano immediatamente con gli esplosivi.
 
Il 14 maggio, giorno della dichiarazione dello stato ebraico, 58 villaggi erano spariti. Ne rimasero sei. Tre di questi, Jaba’, Ijzim ed Ein Ghazal, sarebbero stati distrutti nel mese di luglio. Due, Fureidis e Jisr al-Zarqa, a 35 km a sud di Haifa, furono risparmiati solo perché potessero fornire manodopera a basso costo alle colonie ebraiche di Zichron Yaacov e Binyamina.
 
Tantoura era il villaggio più grande tra i sei ed era situato, a detta della brigata Alexandroni, come "una spina nel fianco" nel mezzo del territorio ebraico: il 23 maggio arriverà anche il suo turno. I funzionari del servizio informazioni dettarono a due o tre notabili, incluso il mukhtar (sindaco), le condizioni di resa. Queste condizioni vennero rifiutate, perché si sospettava, con ragione, che arrendersi sarebbe solamente stato il passo che precedeva l'espulsione. La notte del 22 maggio lo attaccarono da quattro lati. Gran parte della popolazione cadde nelle mani delle forze di occupazione. Poi, i prigionieri, furono portati sulla spiaggia. Là, gli uomini vennero separati dalle donne e dai bambini obbligandoli a camminare fino alla città vicina di Fureidis; alcune famiglie riuscirono a riunirsi solo 18 mesi più tardi. La brigata Alexandroni e altre forze ebraiche, assassinarono 200 uomini principalmente di età compresa tra i 13 e 30 anni.
 
Solo la vendetta, così come l’intenzione consapevole di uccidere uomini che potevano combattere, possono spiegare un tale massacro.
 
In Galilea e nel Negev e sulla pianura costiera, altre squadre israeliane hanno utilizzato delle strategie simili per giudaizzare il nuovo stato. Il sistema consisteva nel terrorizzare la popolazione uccidendone una parte, in modo da invogliare i superstiti ad abbandonare i luoghi per poi, successivamente, chiedere ad una commissione ufficiale di valutare i terreni e gli immobili dei villaggi o dei quartieri deserti. È essenziale dunque trovare il mezzo per spiegare ai cittadini di questo mondo, perché possano rendersene conto, che l'ideologia che nel 1948 ha sostenuto la messa a morte di migliaia di palestinesi innocenti, è la stessa che negli anni successivi (gennaio2009) giustificava l'omicidio di 1400 palestinesi a Gaza.
 
Ed è questa stessa ideologia che fa di tutti i palestinesi, ovunque si trovino, dei bersagli potenziali delle prossime tappe di esproprio che Israele ha l'intenzione di intraprendere: i beduini della regione di Naqab [Negev] sono minacciati da nuove deportazioni e dalla creazione di ghetti ed enclavi; la popolazione di Gaza vive sotto la costante minaccia di attacchi brutali da parte dell'esercito israeliano, convive con la fame e con una lenta agonia; i palestinesi residenti nell'area della Grande Gerusalemme, condannata alla scomparsa dai piani urbanistici messi in atto dalle autorità per ottenere una città completamente “dearabizzata”; i palestinesi di Muthalath, Wadi Ara, Jaffa, Ramleh, bersaglio diretto di una miserabile politica di giudaizzazione che finirà per privarli dei loro mezzi di sussistenza, dei loro diritti elementari e di ogni qualità di vita; senza dimenticare i palestinesi dei campi di profughi in Libano e Siria. Nessuno è al sicuro da una spinta finale sionista atta a terminare il progetto iniziato nel 1882 e che pretende di sottomettere, anche con la forza, i paesi arabi vicini.
 
Le pressioni su tutti questi gruppi avvengono "goccia dopo goccia" ogni giorno. Da un punto di vista mediatico, tutto ciò non ha risalto, non è sufficientemente drammatico neanche per sollevare delle polemiche.
 
Ma è tempo di chiamare le cose col loro nome, di parlarne, è tempo di riunire tutte le nostre energie e sforzarci di spiegare a tutti che ogni ora che passa è un crimine in vita dal 1948 e che non smetteremo finché ci sarà un solo profugo e finché tutte le persone espulse nel 1948 non saranno ritornate alle loro case. E questa, non lo dimenticate, è una delle condizioni essenziali per un piano di pace veramente giusto e duraturo.
 
* Ilan Pappe è uno storico israeliano, presidente del Dipartimento di Storia presso l'Università di Exeter e co-direttore del Centro studi etno-politici di Exeter.
Nel 2007 ha pubblicato "La pulizia etnica della Palestina"  
 
Fonte : http://www.elpais.com/articulo/opinion/Nakbah/2010/elpepuopi/20100518elpepiopi_11/Tes
 
 

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