www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 13-05-11 - n. 364

da Lahaine.org - http://www.lahaine.org/index.php?p=53583
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Soffriamo una doppia occupazione, come donne e come palestinesi
 
Intervista a Khitam Saafin, vicepresidente dell’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi
 
Alejandro Fierro
 
12/05/2011
 
L’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi, fondata nel 1980, lotta tanto contro l’occupazione quanto contro una società patriarcale che ne impedisce la piena uguaglianza. Entrambe le linee di azione sono state spiegate dalla sua vicepresidente, Khitam Saafin, nella sua visita a Valladolid nell’ambito della settima Settimana Internazionale contro l’Apartheid israeliana, organizzata in Spagna dalla Rete Solidale contro l’Occupazione della Palestina.
 
Nei suoi interventi, il messaggio che le donne palestinesi sono doppiamente discriminate, è ricorrente.
 
Storicamente, noi donne della Palestina soffriamo questa doppia discriminazione. Da un lato, l’occupazione israeliana ci ha causato molte sofferenze, ma d’altra parte non bisogna dimenticare che essere donna è molto difficile nella società palestinese. Persiste una visione tradizionale, che ostacola l’uguaglianza.
 
Si potrebbe perfino parlare di una terza discriminazione, quella dell’Occidente col suo sguardo riduzionista e stereotipato sui paesi arabi.
 
Sì, è una discriminazione con la medesima radice dell’occupazione, appartengono alla medesima scuola. Lo stereotipo sul mondo arabo che persiste nelle menti occidentali, rappresenta un nuovo tipo di oppressione. Questa è un arma di propaganda usata per giustificare la continuità dell’occupazione: gli arabi sono tradizionalisti, sono fondamentalisti, hanno molti problemi, cosicché non possono fare niente di prezioso per il mondo. Ma la realtà è che tanto la gente palestinese come quella araba potrebbero offrire molto al mondo, se ne avessero l’opportunità.
 
Nonostante la discriminazione, le donne palestinesi hanno un ruolo cruciale nella resistenza contro Israele.
 
Sin dal principio, le donne palestinesi hanno sfidato l’occupazione e sopportato per ciò un pesante carico sulle loro spalle.Abbiamo avuto successo nell’affrontare quella sfida. L’occupazione ha portato tutto il popolo palestinese a lottare per la liberazione e tutte noi donne, abbiamo dovuto domandarci quale era il nostro ruolo in questo compito. Molte donne che parteciparono in prima linea nella lotta nazionale, evasero dal ruolo tradizionale che la società aveva riservato loro, diventarono più forti, più consapevoli, più informate su quello che accadeva. Naturalmente, non voglio dire in nessun modo con questo, che l’occupazione migliori la situazione delle donne, perché l’occupazione in sé, è molto dannosa.
 
In questo percorso di sviluppo delle donne e di lotta contro l’occupazione, come agiscono i Comitati di Donne Palestinesi?
 
Lavoriamo con le donne palestinesi e per le donne palestinesi, sempre da una prospettiva di sinistra e vincolando la nostra azione alla lotta del popolo. Siamo presenti tra il popolo, negli accampamenti dei rifugiati e nei territori occupati ed anche nella popolazione palestinesi dentro il territorio dello Stato di Israele. Abbiamo una gran diversità di programmi: economici, educativi, d’infanzia, sanitari. Tutti sono diretti al restituire potere alla donna. Senza dimenticare la lotta per la liberazione, nella quale siamo presenti e con un ruolo molto importante, dalla Prima Intifada.
 
Come si sono vissute in Palestina le sollevazioni arabe?
 
Con gran interesse, evidentemente, ma anche con ottimismo. La gente pensa che questi cambiamenti possano aiutare a superare la situazione del popolo palestinese. Specialmente quello che è successo in Egitto. È il paese chiave della regione, il più popoloso ed il più influente. Lo vedemmo già con Anwar el-Sadat. Quando questo iniziò a cedere politicamente, il mondo arabo incominciò anch’esso a cedere.
 
Ma magari ci si aspettava qualcosa più dalla Palestina, forse un grado di mobilitazione simile a quello di Tunisi o dell’Egitto.
 
È indubbio che la divisione della società palestinese favorisce quest’apatia. Inoltre, la linea ufficiale dell’Autorità Palestinese è la non interferenza. Però anche così il popolo così si è espresso. Successivamente alla caduta di Ben Ali a Tunisi, ci fu una manifestazione di sostegno, ci sono state anche una moltitudine di articoli, dibattiti, riunioni... La stessa cosa è successa con l’Egitto. L’Autorità Palestinese ha cercato inizialmente di proibirli, ma dopo li ha autorizzati. Magari la reazione non è ancora sufficiente, però c’è già un profondo impegno. Ciò è dimostrato anche dalle manifestazioni che chiedono unità alle fazioni politiche. Credo che sia il principio di qualcosa, i primi passi per raggiungere cambiamenti nella società palestinese.
 
Molte donne hanno partecipato alle manifestazioni di Tunisi ed Egitto, ma dopo sono rimaste escluse dagli organi dei processi decisionali.
 
Agli uomini risulta più facile prendere decisioni senza tener conto delle donne. E in periodi di transizione come questo le donne, storicamente, hanno dovuto lottare molto più per i loro diritti. Sappiamo che le donne stanno avendo molti problemi a Tunisi ed in Egitto, ma nonostante ciò continuano duramente a lavorare per cambiare il loro ruolo nelle rivoluzioni.
 
L’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi è una delle organizzazioni che ha lanciato la campagna di Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni (BDS) contro lo Stato d’Israele. È la migliore arma che si dispone ora contro l’occupazione?
 
La campagna di BDS è una delle strategie efficienti contro l’Apartheid israeliana, ma ovviamente non è l’unica. Anche altre campagne riferite ai prigionieri, il diritto di ritorno o la libertà di movimento sono importanti. Dobbiamo usare tutti i mezzi alla nostra portata per indebolire l’occupazione e, contemporaneamente, rafforzare il popolo palestinese.
 
Il prossimo mese di maggio partirà la Seconda Flottiglia della Libertà, con l’obiettivo di rompere il blocco di Gaza. In questa occasione è stata noleggiata una nave dallo Stato spagnolo. Come è vista questa iniziativa dalla Palestina?
 
Come un’azione molto importante ed inoltre unica. L’isolamento di milione e mezzo di persone che vive a Gaza e la sua sconnessione col resto del territorio palestinese è un grave crimine che si sta commettendo contro la nostra gente. La Flottiglia è una grande iniziativa di solidarietà e di pressione per rompere l’accerchiamento del nostro popolo.
 
 

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