www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 22-10-13 - n. 471

I costi dell'occupazione israeliana

Un terzo dell'economia palestinese defraudata dalle restrizioni israeliane

AC | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

10/10/2013

Secondo la Banca Mondiale, l'occupazione israeliana in Cisgiordania costa all'economia palestinese vari miliardi di dollari ogni anno, privando deliberatamente lo stato palestinese, attuale e futuro, di una qualsiasi vitalità economica.

Nel suo rapporto "Zona C e il futuro dell'economia palestinese", la Banca Mondiale quantifica il costo dell'occupazione israeliana.

La zona C, situata in Cisgiordania, è attualmente occupata dallo stato israeliano. Qui si concentrano i 300.000 coloni israeliani che si appropriano delle risorse naturali, principalmente terra e acqua. Queste aree dovevano essere restituite all'Autorità Palestinese nel 1998. Cosa mai avvenuta.

Un terzo del PIL del paese è amputato, corrispondente alla metà del deficit di bilancio: si tratta di una strategia per minare l'economia palestinese

Secondo il rapporto, "senza la possibilità di condurre attività economiche nella zona C, la regione della Cisgiordania rimarrà sottopopolata e sottosviluppata, abitata da una le cui interazioni con Israele saranno caratterizzate da disagio, risentimento e frustrazione".

La Banca Mondiale indica il mancato guadagno attorno ai 3,5 miliardi di dollari l'anno, ovvero il 35% del Pil palestinese, con una perdita di 800 milioni di dollari dalle casse dello stato, ossia la metà del deficit di bilancio palestinese.

Il rapporto denuncia altresì le restrizioni imposte da Israele allo sviluppo dell'economia palestinese, almeno in sei settori: agricoltura, estrazione minerarie nel Mar Morto, sfruttamento di miniere e cave, edilizia, turismo e telecomunicazioni.

Nell'agricoltura, le restrizioni israeliane nell'accesso all'acqua e alla terra ostacolano gravemente lo sviluppo di colture di sussistenza palestinesi, mentre i coloni israeliani possono sviluppare colture da esportazione (datteri, melograni).

Allo stesso modo, i minerali di potassio e di bromuro nel Mar Morto potrebbero essere una risorsa importante per il decollo dell'economia palestinese. "L'eliminazione delle restrizioni avrebbero enormi vantaggi per l'economia palestinese, avviando un nuovo periodo di crescita sostenuta", dice il rapporto, che precisa che la disoccupazione potrebbe essere ridotta di un terzo se Israele consentisse all'economia palestinese di svilupparsi.

La relazione è stata accolta dai rappresentanti dell'Autorità Palestinese come una "analisi obiettiva" mentre è stata ovviamente stigmatizzata dal portavoce del Ministero degli Affari Esteri di Israele come "incompleta e di parte".

Giochi e doppi giochi attorno al rapporto: calcoli sulla sicurezza e ricerca di profitti facili e ipocriti

Se il rapporto è certamente un punto d'appoggio nella lotta palestinese per uno stato indipendente e sostenibile, non deve nascondere i giochi e doppi giochi delle grandi potenze occidentali, delle petro-monarchie del Golfo e delle istituzioni internazionali.

Ricordiamo la visita dello sceicco del Qatar a Gaza, del rafforzamento dei legami storici con Hamas e soprattutto delle promesse di investimenti massicci in Palestina. Ma il Qatar ha rapporti cordiali con lo stato sionista e sostiene la rivolta siriana contro il regime di Assad.

Soprattutto, questo rapporto giunge due settimane dopo la visita di Tony Blair in Palestina. Rappresentante del "Quartetto" (UE, ONU, USA, Russia), ha presentato un "piano per l'economia palestinese", sostenuto dai capitali dell'America del Nord.

In questo piano, quantificato in 4 miliari americani da investire in otto settori dell'economia palestinese, viene posto un accento sullo "sviluppo del settore privato" per rilanciare l'economia del paese.

Oltre al rapporto della Banca Mondiale incentrato sulle potenzialità del privato nell'economia palestinese, un altro rapporto del FMI mette in evidenza l'insostenibilità delle finanze palestinesi, dipendenti dagli aiuti stranieri, amplificando i timori di un crollo con conseguenze sociali e politiche imprevedibili.

Da parte delle potenze occidentali, la ricerca di facili profitti in settori ancora poco sfruttati si coniuga all'esigenza di sicurezza nel nuovo "Grande Medio Oriente", che implica di evitare a tutti i costi nel periodo una sollevazione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza... senza tuttavia rimettere in discussione il principio di occupazione israeliana.

Se davanti questi rapporti occorre vigilare per le manovre che occultano, indubbiamente confermano l'infamia dell'occupazione israeliana e la necessità politica di lottare per il ritiro immediato delle truppe di occupazione e degli insediamenti dai territori palestinesi della Cisgiordania.


Resistenze.org     
Sostieni una voce comunista. Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione o iscriviti al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support a communist voice. Support Resistenze.org.
Make a donation or join Centro di Cultura e Documentazione Popolare.