www.resistenze.org - popoli resistenti - palestina - 19-09-20 - n. 761

Per non dimenticare Sabra e Chatila

settembre 2020

"...l'assedio è attesa... soli siamo a bere l'amaro calice...
Una donna ha detto alla nuvola: copri il mio amato, perché ho le vesti grondanti del suo sangue.
Se non sei pioggia amore mio, sii albero... colmo di fertilità…"
 (M. Darwish)

Dall'Introduzione di Stefano Chiarini al libro di Amnon Kapeliouk, Sabra e Chatila. Inchiesta su un massacro (2002, edizioni C.R.T)

Il massacro del settembre 1982 nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila è riemerso dalle nebbie del tempo come una fitta lancinante che è sempre lì a ricordarci quelle 2000, e forse ancor di più, vittime dimenticate e senza giustizia rimaste laggiù nelle fosse senza nome alla periferia meridionale di Beirut, non lontane dall'aeroporto.

Sabra e Chatila è sempre lì per i profughi dei campi in libano sempre lontani dalla loro patria, costretti a vivere in condizioni disumane in un paese dove non possono neppure lavorare o possedere alcuna proprietà, sempre più dimenticati da tutti, quasi fosse possibile raggiungere una vera pace senza il riconoscimento dei diritti di 4,5 milioni di persone, la maggioranza del popolo palestinese, esuli dalla propria terra.

E' sempre lì per i mandanti del massacro, il premier israeliano Ariel Sharon e i suoi generali considerati ormai da milioni di persone in tutto il mondo, anche se non ancora dai tribunali internazionali, dei criminali di guerra, per di più recidivi come sembrerebbe dimostrare in massacro di Jenin.

E' sempre lì anche per la manovalanza locale libanese della macelleria nei campi, dirigenti e gregari delle Forze libanesi (le forze della destra falangista cristiano-maronita) che eseguirono gli ordini di Sharon insieme alle Forze del Libano meridionale (le milizie guidate dal maggiore Haddad costruite dagli israeliani per controllare il Libano meridionale che avevano generalmente ufficiali delle destre cristiane ma anche soldati semplici di religione musulmana sunnita ma soprattutto sciita) spazzate via dalla resistenza palestinese nel maggio del 2000, al momento del ritiro delle forze israeliane dopo 22 anni di occupazione e oltre 1000 morti tra le file dei soldati dello stato ebraico.

E' sempre lì per la coscienza democratica di tanti in Occidente, intellettuali, giuristi, avvocati, ricercatori, che non hanno mai smesso di lottare perché venga fatta giustizia nella certezza, purtroppo confermata dai fatti, che l'incriminazione e il processo a Sharon e ai suoi complici se fosse stato seguito dai media e preso in considerazione dai governi avrebbe potuto limitare, se non impedire, il massacro in corso in questi mesi nei territori occupati.

E' sempre lì anche per noi del "Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila" che da tre anni, nell'anniversario del massacro, andiamo a Beirut a portare un fiore su quelle tombe senza nome, a chiedere che venga data una degna sepoltura alle vittime dell'eccidio nella fossa comune all'entrata di Chatila, tanto dimenticata da essere ridotta fino a tre anni fa a mondezzaio di un vicino mercato, a chiedere che vengano rivelate e scoperte le altre fosse comuni dove sono stati portati molti corpi delle vittime della strage, che si onorino i morti e si rispettino i vivi dando ai profughi palestinesi una vita degna di essere vissuta.

Sabra e Chatila è sempre lì per molti di quei medici e infermieri stranieri volontari che furono testimoni dell'inferno (…)

E' sempre lì alcuni coraggiosi registi palestinesi e libanesi come Mai Masri e Jean Chamoun che hanno portati i ragazzi di Chatila, i figli e i nipoti delle vittime e dei sopravvissuti, sugli schemi di tutto il mondo coi i loro due film Children of Chatila e Frontiers of Dreams and Fears (…)

E' sempre lì per alcuni coraggiosi storici e sociologi come Bayan el Hout che da allora non ha mai smesso di cercare fatti, nomi, testimonianze che permettessero di stabilire l'esatto numero delle vittime e come sono andati realmente quei tragici fatti, o come Rosemary Sayegh che ha tenuto in vita il ricordo di quella tragedia e della realtà di quei campi fino al 1982 cuore della resistenza palestinese.

E' sempre lì per alcuni giornalisti entrati in quella mattina del 18 settembre nell'orrore del campo dove i bulldozer avevano appena finito di distruggere le case per nascondervi sotto le macerie i cadaveri delle vittime o di scavare improvvisate fosse comuni - che il governo libanese del tempo, alleato di Israele, si rifiutò di individuare e scavare - come Robert Fisk, del giornale britannico The Indipendent che non ha mai smesso di cercare sempre ulteriori barlumi di verità (…)

Sabra e Chatila sono sempre lì, come una macchia indelebile, sulla moralità della comunità internazionale. Furono infatti gli Stati Uniti, e in via subordinata Francia e Italia, a convincere Arafat e la leadership dell'Olp a far partire i combattenti palestinesi che si trovavano a Beirut Ovest assicurando loro che i campi profughi, rimasti senza difesa, sarebbero stati protetti da una forza multinazionale composta dai tre paesi. Il tutto sulla base di un impegno preso da Ariel Sharon e dal governo israeliano con l'inviato del presidente Reagan,Philip Habib, sulla base del quale Tel Aviv si era impegnata a non entrare in Beirut ovest. Invece il 12 settembre, con quindici giorni d'anticipo, l'ultimo soldato delle forze multinazionali partì da Beirut lasciando campo libero a Sharon e ai carri armati israeliani. Gli Usa avevano fretta perché sapevano bene che Sharon non avrebbe mantenuto la sua promessa e che insieme alle forze falangiste di Bechir Gemayel (capo delle Forze libanesi e neoeletto presidente all'ombra delle baionette israeliane, colui che poche settimane prima aveva sostenuto di voler trasformare Sabra in un parcheggio e Chatila in uno zoo) avrebbero "ripulito" i campi profughi dai "terroristi" che secondo lui si sarebbero annidati nella baraccopoli alla periferia sud di Beirut e non avevano alcuna intenzione di fermarlo, salvo poi condannare la strage una volta avvenuta. Del resto colpire l'Olp, distruggere i campi profughi, testimonianza vivente dell'ingiustizia storica fatta al popolo palestinese e cuore della resistenza all'occupazione israeliana, colpire la Siria alleata dell'"impero del male" sovietico per instaurare un Libano falangista cristiano alleato di Israele erano tutti obiettivi comuni tra Washington e Tel Aviv.

L'operazione di pulizia etnica contro i capi palestinesi allo scopo di provocare un nuovo esodo dei profughi verso la Giordania e la Siria sarebbe stata concordata tra lo stesso Bechir Gemayel e Ariel Sharon (che aveva annunciato un piano in questo senso il precedente 9 luglio) in un incontro avvenuto proprio il 12 settembre a Bikfaya, roccaforte della famiglia Gemayel. Poche ore dopo Bechir Gemayel veniva ucciso, era il 14 settembre, in un attentato, e Sharon, cogliendo l'occasione, mandava i suoi carri armati a Beirut ovest e circondava i campi dando poi via libera, aiuti e sostegno logistico all'incursione e al macello nei campi profughi di Sabra e Chatila ad opera delle milizie falangiste coordinate dai "consiglieri" israeliani e guidate da Elie Hobeika capo dei sevizi della falange.(...)

Eppure la realtà di quell'orrore è riuscita a farsi faticosamente largo tra le nebbie seminate da tutti e ovunque sin dalle prime ore successive al massacro, per cancellare il crimine perpetrato da Sharon che si aggiungeva alla sistematica distruzione con bombe di ogni tipo, anche al fosforo, dei campi profughi palestinesi nel sud del Libano attorno a Tiro e Sidone ma anche alla periferia di Beirut come Burj el Barajneh, Sabra e Chatila, ai bombardamenti contro la capitale libanese assediata, senza cibo, senza acqua, per tutta l'estate , alle violenze contro la popolazione civile, alle torture, al fenomeno dei desaparecidos. (…)

(…) nel mondo cresce la domanda che venga finalmente resa giustizia alle migliaia di vittime di quel tragico e afoso settembre del 1982. Una indelebile fitta nella memoria che sentiamo, e sentiremo ogni anno, all'inizio dell'autunno.

Per non dimenticare Sabra e Chatila.

***

CHILDREN OF CHATILA

di Mai Masri




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