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Illan Pappé, storico israeliano: "Possiamo contare i giorni che ci separano dal prossimo ciclo di violenza"
Javier Biosca Azcoiti | resumenlatinoamericano.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
22/05/2021

Quando l'occupazione dura 52 anni non è più un'occupazione, è qualcosa d'altro. Siamo di fronte alla colonizzazione nel XXI secolo. Israele deve scegliere tra l'essere democratico e rinunciare all'idea di uno Stato etnico ebraico o essere uno Stato etnico ebraico e rinunciare alla democrazia", dice Ilan Pappé.
Illán Pappé è professore di Storia all'Università di Exeter, Regno Unito, co-direttore dell'Exeter Centre for Ethno-Political Studies, attivista politico e autore di numerosi libri sul conflitto in Palestina - come La pulizia etnica della Palestina e The Biggest Prison on Earth [Il carcere più grande della Terra]. Pappé appartiene ai cosiddetti Nuovi storici, un gruppo di accademici israeliani critici verso la storia ufficiale e il progetto sionista. Pappé ha ricevuto minacce di morte per il suo lavoro, il ministro dell'Istruzione ne ha chiesto il licenziamento dall'Università di Haifa, dove lavorava come professore, ed è stato chiamato "traditore".
Cosa significa il cessate il fuoco?
Il cessate il fuoco significa un ritorno allo status quo, il che significa che possiamo contare i giorni che ci separano dal prossimo ciclo di violenza, dato che Israele non cambierà le sue politiche nel prossimo futuro.
Qual è stato l'obiettivo israeliano con le attuali operazioni militari a Gaza?
Prima di tutto c'è un obiettivo personale del primo ministro Netanyahu, che è quello di creare una crisi che gli permetta di rimanere al potere e di non finire in giudizio e probabilmente in prigione. Ci sono ragioni molto più profonde, ma questo particolare ciclo di violenza ha molto a che fare con la lotta di Benjamin Netanyahu per la propria sopravvivenza come primo ministro di Israele.
Il secondo obiettivo, che si è evidenziato negli attacchi precedenti, è quello di avere a Gaza un ghetto che accetti il modo in cui Israele controlla tutta la Palestina storica. La strategia, in breve, è quella di mantenere lo status quo per mostrare che non esiste una seria resistenza palestinese, araba o internazionale al modo in cui Israele si comporta come Stato.
Come si è arrivati al punto in cui le vite dei civili contano così poco?
Siamo a questo punto già da molti anni. Per capirlo bisogna concentrarsi sulla disumanizzazione. Il sionismo è un movimento colonialista e se stai colonizzando il territorio di qualcuno, non puoi trattare la popolazione nativa in condizioni di parità con te. Il movimento sionista vede i palestinesi come un ostacolo, un problema demografico piuttosto che degli esseri umani.
Mi ha sempre sorpreso che i miei amici, colleghi e compatrioti israeliani non abbiano nel caso di Gaza almeno un briciolo di compassione. Pensi che Hamas sia responsabile? D'accordo. Che Hamas sia terrorista? Va bene. Ma davvero non provi niente quando vedi il massacro dei bambini a Gaza? E la maggior parte non lo prova. La sensazione generale è che la colpa sia loro. Se non si ha compassione, non ci sarà pace né riconciliazione.
In questa dimensione demografica della colonizzazione di cui parla, cosa ha scelto di fare il sionismo con la popolazione palestinese?
Patrick Wolfe, un rinomato studioso del colonialismo, diceva che ogni movimento colonialista è motivato dalla logica di eliminare la popolazione nativa. Non c'è sempre l'eliminazione fisica, come nel genocidio. Significa che vuoi il posto, ma senza le persone. Questa è sempre stata la strategia sionista e continua ad essere il problema di Israele.
Nel 1948 hanno avuto un'opportunità storica e riuscirono ad espellere metà della popolazione palestinese, ma dopo il '48 non è stato facile farlo di nuovo. Dopo la guerra del '67, Israele ha espulso 300.000 palestinesi. E ora sta facendo pulizia etnica nella Valle del Giordano, a Gerusalemme, nel sud di Hebron.
Se vuoi uno Stato ebraico democratico, sebbene sia un qualcosa di assurdo, devi fare i conti con la demografia, e non esiste un modo democratico di affrontare la demografia. Ci sono solo modi brutali e antidemocratici per fare del proprio paese uno Stato ebraico, a meno che non si sia disposti ad avere solo una piccola parte della Palestina storica, cosa che oggi nessuno degli ebrei israeliani è disposto ad accettare. Hanno il 98% della Palestina, ma il problema è che ci sono 6 milioni di palestinesi che ci vivono.
Qualche giorno fa il professor Hanan Ashrawi ha dichiarato che la Nakba è un progetto in corso per completare l'espulsione della popolazione palestinese, cosa che coincide con quanto afferma lei. Quando finirà questo progetto?
Ci sono due opzioni: o si fermano quando riescono a sbarazzarsi di tutti i palestinesi o quando il mondo dice loro che questo tipo di mentalità, ideologia e strategia è inaccettabile. Al fine di evitare questa condanna della comunità internazionale, non agiscono come nel '48, ma in modo molto più sofisticato.
Credo persino che gli accordi di Oslo facciano parte di questo piano per i palestinesi. Alcuni palestinesi non hanno capito che l'idea di dividere la Cisgiordania in aree A, B e C in realtà permetteva agli israeliani di risolvere in qualche modo il problema demografico, concentrando i palestinesi nelle aree A e B. Non hanno necessità di cacciarli, ma possono controllarli dall'esterno, come fanno a Gaza. Quindi ci sono vari modi in cui si cerca di risolvere il problema demografico. Non sto dicendo che usano sempre la pulizia etnica o l'espulsione. Possono usare un sistema di apartheid, il cosiddetto processo di pace... ma alla fine è qualcosa che dovrebbe essere moralmente inaccettabile.
Perché Netanyahu è così popolare?
Ci sono tre ragioni per cui non solo Netanyahu, ma l'intera destra israeliana, è stata l'unico vero potere reale in Israele negli ultimi 20 anni. Netanyahu è solo una versione di questo potere. Una ragione sta nei 70 anni di indottrinamento. C'è stato un tentativo della sinistra in Israele, dei sionisti liberali, di dire che si poteva essere una potenza occupante illuminata e un colono socialista. Ma la maggior parte degli israeliani capisce di avere solo due opzioni: essere democratici e rinunciare all'idea di uno Stato etnico ebraico o essere uno Stato etnico ebraico e rinunciare alla democrazia.
La seconda causa è dovuta alla paura disseminata nella società per cui, d'accordo, forse i palestinesi hanno ragione, ma non ci perdoneranno mai e ora è troppo tardi, quindi dobbiamo continuare a fare quello che stiamo facendo. La terza ragione è che gli israeliani sono giunti alla conclusione che il mondo parlerà molto e condannerà le loro azioni, ma nella pratica è un mondo molto cinico e continuerà a sostenere Israele anche se il suo lato razzista e antidemocratico sta diventando sempre più evidente.
In relazione a questo, cosa è successo al sionismo di sinistra?
È scomparso. Ora in Parlamento ci sono più deputati progressisti antisionisti che sionisti. Penso che il sionismo liberale sia un tentativo di far quadrare il cerchio e c'è un momento in cui la gente smette di crederci. Israele è al bivio e ha due scelte: essere uno Stato democratico o essere uno Stato di apartheid.
La soluzione dei due Stati che cercava di essere uno Stato ebraico democratico e non uno Stato di apartheid avrebbe potuto funzionare, ma ora non più. La soluzione dei due Stati è morta e non può sopravvivere. L'ambasciatore palestinese può dire di credere ancora nella soluzione dei due Stati ma, anche se lo capisco, soprattutto per coloro che hanno vissuto sotto l'occupazione e credono che questa soluzione la possa far finire, penso che sia impossibile. Non sto dicendo che sia facile creare una soluzione ad uno Stato, dico solo che dovremmo pensare a un'alternativa.
Nel suo libro "Il più grande carcere della Terra" lei sostiene che il termine occupazione è fuorviante e non riflette la reale situazione sul terreno, perché?
L'occupazione esiste ed è un'occupazione brutale, ma la gente lo usa per descrivere l'intero quadro. In realtà, abbiamo a che fare con qualcosa di più difficile da capire ed è la colonizzazione nel XXI secolo. Per la maggior parte di noi il colonialismo è qualcosa del passato che è finito, ma c'è una colonizzazione che continua oggi in Palestina: in parte è occupazione, in parte è pulizia etnica, in parte è un sistema di apartheid e in parte è quello che stanno facendo a Gaza - che a volte mi sembra un progetto genocida. Non tutto è occupazione. L'occupazione è temporanea e finisce. Quando dura 52 anni, non è più occupazione. È qualcos'altro.
Anche se Israele non si considera una potenza occupante.
Credo che quasi tutti gli ebrei in Israele pensino alla Cisgiordania come parte di Israele. La considerano il cuore dell'antico Israele, quindi non è occupato giacché per loro è una liberazione. La questione per loro non è se si tratti di un'occupazione, ma qual è il modo migliore per controllare quel territorio visto che ci sono così tanti palestinesi. Come accademico e intellettuale, penso che siamo di fronte a una colonizzazione iniziata alla fine del XIX secolo e che si estende fino a oggi.
Qual è la differenza tra la cosiddetta storia ufficiale di Israele e quella del gruppo dei "nuovi storici" in cui lei è spesso inserito?
La linea ufficiale israeliana è che la Palestina è sempre stata la patria israeliana abbandonata 2.000 anni fa e che gli ebrei non l'hanno colonizzata alla fine del XIX secolo, ma sono solo tornati nella loro antica patria. Sostengono anche di aver trattato abbastanza bene la gente del posto, che purtroppo è stata istigata dall'Islam o dall'imperialismo ad opporsi agli ebrei, che hanno il diritto assoluto di creare uno Stato ebraico. Più specificamente, vedono la guerra del '48 come una lotta in cui il mondo arabo stava cercando di distruggere Israele ed è per questo che molti palestinesi sono diventati rifugiati. Quindi, secondo questo punto di vista, Israele non è responsabile del problema dei rifugiati. Sostengono anche che non volevano occupare la Cisgiordania e Gaza, ma a causa della guerra del '67, hanno dovuto farlo.
Gli storici più critici parlano, al contrario, di un progetto colonialista in cui i palestinesi sono trattati come la popolazione nativa e gli ebrei sono i coloni. Studiando la guerra del '48 scoprono che molto prima che il mondo arabo decidesse cosa fare della Palestina, avevano già espulso centinaia di migliaia di palestinesi e, di fatto, con la guerra non si cercava di distruggere lo Stato ebraico, ma di difendere i palestinesi perché Israele voleva creare uno Stato ebraico democratico senza di loro. Quindi ci sono grandi differenze nel modo in cui viene raccontata la storia.
E secondo la sua visione della storia, perché la società israeliana ha accettato questa situazione senza metterla in discussione?
La maggior parte della società civile è sotto l'influenza dell'indottrinamento. È difficile per gente di fuori capire come l'indottrinamento possa funzionare in una società senza un dittatore che ti indottrini. È un indottrinamento costruito molto abilmente attraverso il sistema educativo, attraverso la leva militare, attraverso il mondo accademico e i media. È un posto dove è molto difficile lavorare se si vuole offrire un'alternativa.
Israele vuole la pace o negoziati di pace?
Israele non vuole la pace, quello che vuole è che lo status quo continui e migliori gradualmente la situazione demografica. La visione del futuro di Israele è che i palestinesi accettino questo modo di vivere in cui non hanno diritti collettivi, ma possono sviluppare le loro carriere, vivere in questa prigione chiamata aree A e B e giocare con l'idea dell'autonomia. Quando parlano di pace, parlano di normalizzare le relazioni con i regimi arabi - sono molto soddisfatti di quello che è successo con gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Marocco - e di addomesticare la comunità palestinese.
Fonte: eldiario.es
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