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Il lavoro palestinese negli insediamenti: spreco di vite e accumulo di scarti

Ameed Faleh | peoplesdispatch.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

25/05/2025

Osservare Israele attraverso la lente dell'imperialismo ci aiuta a comprendere come la Palestina sia il microcosmo delle lotte che stanno avvenendo in tutto il mondo.

Palestinian labor in settlements- Wasting life and accumulating waste
Insediamento israeliano nella Palestina occupata. Foto: Nazioni Unite
        "L'espropriazione dell'operaio nel suo prodotto non ha solo il significato che il suo lavoro diventa un oggetto, un'esterna esistenza, bensì che esso esiste fuori di lui, indipendente, estraneo a lui, come una potenza indipendente di fronte a lui, e che la vita, da lui data all'oggetto, lo confronta estranea e nemica."
    Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844 in Marx Engels, Opere complete - Vol. 03 (1843-1844), Editori Riuniti, Roma, 1976, pag. 299

         "Erano in cinque,
    Nella mano destra avevano una falce,
    nella mano sinistra una cazzuola da muratore,
    lasciarono le pesche verdi e dissero:
    "Ancora un giorno o due, non di più".
    O lavoratori della mia patria,
    i boschi di timo sono invecchiati,
    l'olio [d'oliva] si è versato e il ramo d'ulivo si è spezzato"
    Fathi al-Shiqaqi, Kanu Khamsa: poesia in omaggio ai cinque lavoratori palestinesi uccisi da un colono israeliano nel 1979
I lavoratori palestinesi - espropriati, sfollati e disciplinati - costituiscono uno degli esempi più evidenti di come il capitalismo e il colonialismo dei coloni uniscano le forze per sprecare vite umane e accumulare scarti. Essi vengono metabolizzati all'interno di quel sistema di uso, disuso e spreco, e di come l'occupazione israeliana assorbe, sfrutta e poi scarta. Attingendo all'analisi di Ali Kadri sulla migrazione di manodopera palestinese verso gli insediamenti israeliani nei territori occupati nel 1948 in Palestina, possiamo esplorare la logica del colonialismo di insediamento, come sottomette i lavoratori e come alla fine li spreca attraverso coprifuoco, bombardamenti a tappeto e meccanismi di ingegneria sociale.

L'economia politica della Cisgiordania

Per comprendere la migrazione forzata dei lavoratori palestinesi, è importante collocarla all'interno dell'economia politica dei territori occupati da Israele nel 1967, ovvero la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Due quadri di riferimento chiariscono questo panorama: la teoria della dipendenza e il concetto di de-sviluppo.

La teoria della dipendenza, da parte sua, è stata elaborata per analizzare l'economia politica dell'America Latina e successivamente estesa a diversi contesti socioeconomici in Asia e Africa, attraverso la lente del centro e della periferia. Il centro gode della capacità produttiva, dell'egemonia ideologica e del dominio geopolitico che gli consentono di estrarre materie prime dalla periferia. Questo ciclo commerciale viene poi riorientato quando il centro produce il prodotto finale per i mercati della periferia. La periferia, dal canto suo, è intrappolata in un ciclo di deficit commerciale e inerzia produttiva imposto dal centro.

Tuttavia, Sara Roy offre una critica fondamentale: secondo lei, la teoria della dipendenza enfatizza eccessivamente il commercio a scapito della produzione e "chiarisce il significato della relazione strutturale tra un'economia dominante e una subordinata ed espone il processo attraverso il quale quest'ultima viene sfruttata per soddisfare le esigenze della prima. Essa rivela inoltre che il sottosviluppo è determinato in misura molto maggiore dalle relazioni commerciali che dalle relazioni di produzione. Sono le conseguenze dei mercati e del commercio, piuttosto che i modelli di produzione delle economie periferiche, a fungere da catalizzatori del sottosviluppo". La critica di Roy alla teoria della dipendenza verte sulla presunta separazione tra la merce e i processi produttivi coinvolti nella sua creazione.

Un rapido sguardo agli scritti di Arghiri Emmanuel sullo scambio ineguale, ampiamente considerati la spina dorsale della teoria della dipendenza, rivela che egli ha prestato molta attenzione ai modelli di produzione e ai processi sociali inerenti alle differenze salariali tra il centro e la periferia che influenzano le relazioni commerciali ineguali esistenti tra il centro e la periferia. Questo non significa che Emmanuel non presti alcuna attenzione alle relazioni commerciali, ma solo che egli colloca comunque i processi di sviluppo che avvengono nel centro e nella periferia al centro della sua tesi. Il commercio, dopotutto, è il risultato dei mezzi di produzione o della loro mancanza.

Ciononostante, entrambe le prospettive aiutano a spiegare i contorni della vita economica palestinese sotto l'occupazione. I sostenitori della teoria della dipendenza sottolineerebbero la bassa capacità produttiva della Cisgiordania e della Striscia di Gaza e i loro legami economici con Israele come prova della validità di tale teoria nel contesto palestinese. Il de-sviluppo, invece, indicherebbe l'erosione dell'agricoltura e dell'industria di piccola e media scala prima e dopo Oslo come parte integrante della politica israeliana nell'occupazione dei territori palestinesi.

Inoltre, il de-sviluppo metterebbe in evidenza l'"integrazione economica" dei palestinesi in Israele come una questione sistemica promossa da Israele attraverso l'impiego dei palestinesi nei livelli occupazionali più bassi all'interno della Linea Verde e l'indebolimento delle capacità produttive locali attraverso l'impiego di manodopera a basso costo e l'esternalizzazione di alcune piccole industrie. La deistituzionalizzazione della Cisgiordania e di Gaza è anch'essa legata al de-sviluppo, che spesso indebolisce le istituzioni socioeconomiche palestinesi, i processi decisionali locali e simili.

Il de-sviluppo valuta l'occupazione come un processo di indebolimento di qualsiasi strategia di sviluppo locale attraverso gli squilibri imposti dal colonialismo nei mercati del lavoro e del commercio, ovvero l'erosione dell'agricoltura e della piccola industria palestinese, squilibri che favoriscono direttamente Israele piuttosto che i palestinesi.

Uno sguardo superficiale alla composizione settoriale del PIL della Cisgiordania dal 1974 al 1989 rivela una realtà in cui si sono verificati il de-sviluppo e lo scambio ineguale di risorse attraverso il colonialismo di insediamento: il contadino è diventato un lavoratore in un insediamento israeliano, da qui la rilevanza della poesia nell'introduzione. La composizione settoriale della Cisgiordania dal 1994 al 2022 rivela un'inflazione del settore dei servizi, che ha messo in secondo piano sia l'agricoltura che l'industria, nonostante gli aumenti marginali di quest'ultima a partire dagli anni '80.

È importante contestualizzare tale analisi della composizione del PIL tenendo conto che non riguarda la migrazione forzata di manodopera in Palestina, ma piuttosto i diktat coloniali imposti ai palestinesi in Cisgiordania e il quadro di sviluppo post-Oslo dell'Autorità Palestinese. I dati precedenti al 7 ottobre mostrano un aumento significativo dei flussi di manodopera dalla Cisgiordania verso gli insediamenti israeliani, sia all'interno che all'esterno della Linea Verde.

È importante collocare questo aumento dei lavoratori pendolari verso gli insediamenti sia in Cisgiordania che all'interno della Linea Verde come un fattore che contribuisce ai processi di dipendenza e de-sviluppo. In quanto tale, la critica di Sara Roy alla teoria della dipendenza risulta irrilevante per la discussione sull'economia politica dei territori occupati se si tiene conto dei fattori sopra citati e del deficit commerciale in costante aumento tra Israele e i territori palestinesi dal 1967.

La migrazione forzata di manodopera come pilastro del colonialismo di insediamento

Gli indicatori di cui sopra suggeriscono un modello di sviluppo "contorto" in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, in cui il lavoro esiste solo in alcuni settori circoscritti e intrinsecamente improduttivi. L'erosione della capacità produttiva è il risultato diretto dei processi di colonialismo di insediamento insiti in Israele: confisca delle terre, impoverimento, assedi e sistematica erosione dell'autonomia palestinese da 76 anni.

A questo proposito, Ali Kadri osserva che la migrazione forzata per motivi di lavoro in Palestina "è un chiaro esempio della legge del valore che si manifesta nella pratica coloniale di insediamento", definendola una regola empirica impersonale nelle formazioni coloniali piuttosto che una questione di "costo inferiore" dei palestinesi. Con gli accordi di Oslo, Israele ha esternalizzato il controllo amministrativo all'Autorità palestinese, eludendo la responsabilità della riproduzione del lavoro.

Viene fornito il minimo indispensabile, creando le condizioni per l'emergere del genocidio all'interno del calcolo capitalista. In questo modo, gli esborsi di valore derivanti dalla riproduzione del lavoro sono ridotti al minimo indispensabile, consentendo il verificarsi di forme di genocidio. In Cisgiordania, l'alienazione si manifesta in modo viscerale: i lavoratori palestinesi costruiscono gli stessi insediamenti che invadono la loro terra. Qui, la massima di Marx all'inizio diventa realtà concreta.

A Gaza, il conteggio delle calorie e il livellamento dei quartieri avvengono proprio perché i gazawi sono manodopera in eccesso, scarto sociale: Israele semplicemente non ha bisogno della loro forza lavoro e, di fatto, considera la geografia di Gaza in generale come un territorio ostile che minaccia la sua stessa esistenza come entità coloniale.

Al contrario, la Cisgiordania non ha assistito alla stessa forma di violenza coloniale, poiché i palestinesi della Cisgiordania costituiscono ancora una spina dorsale importante dell'economia israeliana, nonostante le chiusure post-ottobre. Un gran numero di lavoratori palestinesi lavora ora negli insediamenti della Cisgiordania invece che in quelli del '48. Questo cambiamento permette a Israele di conciliare le sue esigenze contraddittorie: sfruttare la manodopera palestinese e perseguire al contempo il desiderio sterminatore di sprecare forza lavoro produttiva. Come osserva Kadri, un esercito industriale in eccesso può essere ridotto alla miseria - o addirittura bruciato nelle tende - perché la riduzione dei costi è l'imperativo assoluto.

Kadri sottolinea quindi che la migrazione forzata per motivi di lavoro è intrinsecamente legata al militarismo e alla questione di Israele come manifestazione fisica del "capitale concentrato in quanto imperialismo". Lo spreco, e il modo in cui lo definisce il sionismo imperialista, determina se i palestinesi devono essere bombardati o affamati lentamente o se devono vivere alla mercé dell'autorità israeliana come avviene in Cisgiordania, a Gerusalemme e all'interno della Linea Verde.

Il sistema dei permessi come controinsurrezione

Nel caso della migrazione forzata come strumento di controinsurrezione, il sistema dei permessi in Palestina funge da arbitro di un sostentamento "dignitoso". Israele utilizza questo sistema come strumento materiale e ideologico di dominio per uccidere la resistenza in Cisgiordania: intere famiglie e villaggi vedono revocati e/o rifiutati i loro permessi sulla base dell'azione di un solo combattente della resistenza appartenente a quella famiglia o a quel villaggio. In questo modo, Israele può garantire che qualsiasi resistenza nei suoi confronti, per quanto minima, sia gestita in modo tecnocratico, privando la popolazione delle sue poche fonti di sostentamento.

Ciò è particolarmente evidente dal 7 ottobre, quando i lavoratori sono stati licenziati in massa per "motivi di sicurezza", costringendoli ad aprire bancarelle di panini in tutte le città della Cisgiordania, un lavoro certamente improduttivo. In questo modo, Israele delegittima la resistenza dipingendola come dannosa per l'esistenza stessa della collettività colonizzata. Bombardamenti, incursioni e permessi assicurano che i colonizzati "stiano al gioco" dello status quo.

È attraverso la lente che vede Israele come imperialismo condensato che si può cominciare a comprendere l'importanza del concetto di rifiuto sociale e come la Palestina sia il microcosmo delle lotte che stanno avvenendo in tutto il mondo. L'impoverimento, il genocidio, la colonizzazione e la controinsurrezione rendono la Palestina non solo un laboratorio per l'imperialismo, ma anche un anello cruciale della catena del valore globale che sostiene il capitalismo a livello mondiale, una catena del valore intrinsecamente costruita sulla morte e sul militarismo.


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