Benyamin Netanyahu ha annunciato ieri «progressi significativi» nei negoziati per il rilascio degli ostaggi israeliani. Poi però ha gettato acqua sul fuoco aggiungendo che «è troppo presto per alimentare speranze». Nello stesso momento l'organizzazione statunitense Gaza Humanitarian Foundation (GHF) diffondeva l'abituale comunicato sul numero dei pacchi alimentari distribuiti in tre dei suoi siti, dando, come sempre, l'idea che tutto stia procedendo per il meglio e senza alcun problema. Netanyahu e la GHF non dicono la verità. Il premier non cerca un compromesso; la tregua a Gaza, ripete o lascia intendere, si farà soltanto alle sue condizioni. Hamas le considera inaccettabili. La fondazione americana, invece, finge di non vedere e sapere dei massacri di palestinesi che avvengono a pochi metri dai suoi centri. E, in ogni caso, se ne lava le mani.
È di ieri mattina l'ennesima strage. Venti persone sono state uccise e almeno 124 ferite dal fuoco dei soldati israeliani mentre attendevano di ricevere cibo e generi di prima necessità al sito della GHF nel cosiddetto Corridoio di Netzarim, costruito dall'esercito israeliano a sud di Gaza City. Gli affamati colpiti a morte da quando la GHF ha avviato le sue operazioni sono oltre 150, secondo i numeri riferiti dai palestinesi. Un dato che fa rabbrividire se si pensa che si tratta di civili che chiedevano solo cibo e medicine. Nel malandato ospedale Al Quds, operativo solo in parte, si sono viste le scene abituali di persone vive e morte, insanguinate, che vengono portate con ogni mezzo al pronto soccorso. «I luoghi per la distribuzione degli aiuti si sono trasformati in trappole mortali», diceva ieri ad Al Jazeera Ali Dabour, della Medical Relief Society. «I colpi sparati vicino ai centri di aiuto sono diretti e fatali. Il cibo distribuito è insufficiente e la gente muore di fame nelle strade», ha aggiunto, sottolineando che le forze israeliane prendono di mira anche medici e paramedici. Tra i 52 uccisi di ieri ci sono anche tre infermieri, colpiti a Tuffah (Gaza City). Ieri si è riparlato di Ward, la bimba di sei anni diventata un simbolo dell'orrore che vivono i palestinesi di Gaza, soprattutto i più piccoli. Due settimane fa Ward camminava in cerca di salvezza tra le fiamme di una scuola bombardata da Israele, nella quale avevano trovato la morte 36 persone. Il paramedico Hussein Muhaisen, che la salvò, e il fotoreporter Moamen Abu Al Lauf, che immortalò quell'attimo finito sui media di tutto il mondo, sono stati uccisi lunedì sera in un attacco israeliano.
Sempre ieri, a Jabaliya, nel nord, sono stati recuperati i corpi senza vita di nove persone rimaste sotto le macerie delle case bombardate. A Rafah altri otto civili uccisi, secondo fonti locali colpiti mentre si recavano a prendere pacchi alimentari. Tre membri di una famiglia sono rimasti uccisi quando le forze israeliane hanno bombardato una tenda per sfollati nella zona di Mawasi (Khan Yunis). Otto palestinesi sono morti sotto le macerie di una casa presa di mira da un F-16. Combattenti palestinesi invece hanno lanciato un razzo (intercettato) dal nord di Gaza facendo suonare le sirene antiaeree sulla spiaggia israeliana di Zikim. Le Brigate Al-Quds (Jihad islami) affermano di aver distrutto due veicoli militari facendo esplodere un ordigno in una strada nel sud di Gaza. L'esercito israeliano non conferma.
Come non conferma la strage a Netzarim. Sostiene che i soldati avrebbero sparato solo «colpi di avvertimento» in direzione di palestinesi che «si avvicinavano rappresentando una minaccia». E ridimensiona il numero delle vittime, affermando che è «incoerente con le informazioni a sua disposizione». Non crede a queste e ad altre spiegazioni dei comandi militari israeliani il gruppo di esperti delle Nazioni unite che ha accusato Israele di aver commesso atti di «sterminio» a Gaza. La Commissione internazionale indipendente d'inchiesta sui Territori palestinesi occupati sostiene inoltre che Israele ha deliberatamente preso di mira strutture educative, siti culturali e religiosi in tutta l'enclave, commettendo atti che costituiscono crimini di guerra.
Si aggrava la situazione a Nablus, la seconda città più importante in Cisgiordania, messa sotto coprifuoco da Israele. Ieri i soldati hanno circondato la città vecchia e, durante i rastrellamenti, hanno ucciso due palestinesi, i fratelli Nidal e Khaled Omaira, in quella che alcuni ritengono una nuova fase dell'offensiva israeliana «Muro di Ferro», scattata lo scorso gennaio nei campi profughi di Jenin, Tulkarem e Faraa.
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