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Cosa c'è dietro il riconoscimento occidentale dello Stato palestinese?

Biljana Vankovska | peoplesdispatch.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

30/09/2025

Finché gli stessi Stati che "riconoscono" la Palestina non impongono sanzioni a Israele o non lo costringono a rispettare il diritto internazionale, l'intero atto rimane una farsa.

Bombed and destroyed buildings in Gaza

Gaza, 2025. Photo: screenshot

La questione palestinese è antecedente alle Nazioni Unite, che ora celebrano il loro ottantesimo anniversario. Le radici del conflitto palestinese affondano nelle profonde ferite e cicatrici inflitte in tutta l'Asia occidentale dalle potenze occidentali, e la vittima principale, ovviamente, è stata il popolo palestinese. Guardare indietro alla lunga storia delle risoluzioni dell'ONU - approvate ma mai rispettate - sembra quasi inutile. Dalla prima Nakba ai giorni nostri, i palestinesi sono rimasti bloccati in un limbo, costretti in vasti campi di concentramento e ora sottoposti a uno sterminio aperto in condizioni brutali. E questo continua, senza sosta.

I tribunali internazionali stanno ancora "studiando" ciò che tutti vediamo svolgersi davanti ai nostri occhi. Ma la giustizia, come dice un vecchio proverbio, è lenta, anche se presumibilmente inevitabile. Nel frattempo, Israele conduce vere e proprie guerre di aggressione contro diversi Stati, mentre gli Stati Uniti tengono in ostaggio l'ONU. In questo contesto, assistiamo improvvisamente a un'ondata di riconoscimento dello Stato palestinese da parte di diversi governi occidentali. Dal 7 ottobre 2023, diversi Stati minori hanno già compiuto questo passo, con l'obiettivo di esercitare una pressione simbolica sulla cosiddetta comunità internazionale. Ma ora anche il Regno Unito, la Francia, il Belgio, il Portogallo, il Canada e l'Australia si sono aggiunti alla lista.

Cosa significa realmente questo per i palestinesi? Uno Stato senza confini. Uno Stato senza sovranità. Uno Stato in cui le istituzioni - fino alla sanità e all'istruzione di base - sono state distrutte, soprattutto a Gaza. Uno Stato in condizioni di carestia, come dichiarato dall'ONU. Le stime delle vite perse vanno da 65.000 a oltre mezzo milione. Eppure pochi osano porre la vera domanda: dopo questa orgia di violenza genocida, come potrà risorgere una nazione? Quali traumi e conseguenze permanenti dovranno affrontare le generazioni di palestinesi?

Ma soffermiamoci un attimo su questa ultima ondata di "riconoscimenti". Ho messo intenzionalmente il riconoscimento tra virgolette, perché non si tratta altro che di gesti cinici da parte di Stati che continuano, in un modo o nell'altro, a sostenere Israele chiudendo gli occhi sui suoi crimini. Probabilmente questi governi vogliono fare bella figura con i propri cittadini, che sono sempre più stanchi di vedere immagini quotidiane di morte e protestano sempre più spesso.

Le lettere di riconoscimento hanno meno valore della carta su cui sono stampate. Ad esempio, il primo ministro britannico parla del desiderio di "relazioni strette e costruttive" con la Palestina. Finché questi stessi Stati che "riconoscono" la Palestina - anche se solo come entità astratta - non impongono sanzioni a Israele o non lo costringono a rispettare il diritto internazionale, compresa la cosiddetta "responsabilità di proteggere", l'intero atto rimane una farsa. I morti riposeranno in uno "Stato". Uno Stato con più morti che vivi, dove tutti i sistemi essenziali - acqua, sanità, cibo - sono stati deliberatamente sradicati e distrutti.

Dopo un vertice di un giorno ospitato dalla Francia e dall'Arabia Saudita, incentrato sui piani per una soluzione a due Stati del conflitto, le reazioni - sebbene accolte con applausi dai partecipanti - hanno comunque provocato un senso di nausea. Ad esempio, uno dei copresidenti, lo stesso presidente francese, ha dichiarato che "è giunto il momento della pace" e che "nulla giustifica la guerra in corso a Gaza". Qualsiasi osservatore ragionevole è consapevole che si tratta solo di una farsa, un rituale in cui le potenze occidentali cercano di lavarsi le mani dal sangue, credendo che tali gesti le assolveranno dalla responsabilità morale e politica per ciò che è accaduto non solo negli ultimi due anni, ma negli ultimi ottant'anni. Per essere chiari, non c'è bisogno di "aspettare" il tempo della pace, perché ciò che Israele sta commettendo è una violazione diretta della Convenzione sul genocidio - molto prima di questo, decenni delle peggiori forme di apartheid, discriminazione, degrado e negazione della libertà si erano già verificati - con l'Occidente che ha servito, e continua a servire, come fedele sostenitore della politica israeliana. Inoltre, Macron non può in buona fede parlare di "guerra" quando ciò che è in gioco è il brutale dispiegamento di una forza militare schiacciante contro una popolazione civile (con Hamas che funge solo da pretesto), dove persino il cibo e l'acqua sono stati trasformati in armi. Coloro che ora si affrettano a riconoscere uno Stato palestinese sono, di fatto, complici nel sostenere una politica genocida, pur mantenendo contemporaneamente la retorica delle "relazioni amichevoli" con Israele.

Alcune associazioni sportive stanno valutando la possibilità di espellere Israele dall'adesione e di escluderlo dai principali tornei e dalle qualificazioni. Qualcosa di simile accade nel mondo accademico. Per la Russia, tali misure sono state rapide e complete, e lo sono tuttora. Per Israele... Beh, vedremo. Il ritmo sembra più lento, più esitante.

L'esperienza ci insegna a essere cauti nei confronti dell'Occidente, anche quando arriva con dei "regali". L'ultima ondata di riconoscimenti della Palestina non è una vera iniziativa di pace, ma piuttosto un tentativo di mascherare il genocidio. Non si tratta dell'autodeterminazione dei palestinesi, ma di rafforzare ulteriormente la loro condizione coloniale e delegittimare la loro giusta lotta per la dignità umana e il diritto di decidere del proprio destino.

Alcuni Stati sono così sfacciati nel loro "riconoscimento" da porre condizioni alla parte palestinese, dettandole quale tipo di governo dovrebbe avere. Tragicamente, anche alcuni intellettuali rispettati, nel bel mezzo del genocidio, sostengono che uno Stato palestinese dovrebbe esistere, ma solo a condizione che sia democratico, che garantisca i diritti delle donne e così via. In altre parole, un'altra espressione dell'arroganza occidentale: potete avere uno Stato, ma solo se lo approviamo noi e solo sotto la nostra supervisione, a nostra immagine e somiglianza. Ai palestinesi viene detto che devono disarmarsi (di cosa, esattamente?), mentre Israele rimane armato fino ai denti con piena supremazia militare.

Questi riconoscimenti non nascono da un risveglio morale, ma sono il prodotto della crescente protesta popolare e dell'eroica resistenza del popolo palestinese. Tuttavia, in sostanza, servono come diversivo, come tentativo di spostare l'orrore del genocidio sul terreno più sicuro del "processo politico e diplomatico", un processo in gran parte impossibile nelle condizioni attuali. È un modo per controllare la narrazione, per evitare di affrontare le profonde strutture coloniali che tengono in cattività i palestinesi e l'intera regione. È un tentativo di "pacificare" le vittime del genocidio, lasciando Israele impunito per i suoi continui atti di genocidio e aggressione contro i suoi vicini.

Chi di noi era preoccupato fin dal primo giorno lo sa già: il tempo dei gesti simbolici e delle condanne è finito. Ciò che serve ora è l'azione. Un intervento umanitario per proteggere il popolo palestinese. Sanzioni contro Israele e i suoi leader - economiche, diplomatiche, culturali, accademiche e altro ancora. Oggi Israele (insieme agli Stati Uniti) è il peggiore Stato canaglia. In verità, non dovrebbe nemmeno far parte delle Nazioni Unite, proprio come gli Stati Uniti non meritano il privilegio di ospitare questa organizzazione globale.

I palestinesi stanno lottando per la vita stessa. Da decenni, contro ogni previsione. E per questa lotta, dobbiamo tutti stare dalla loro parte. La storia non perdonerà questo silenzio. Il riconoscimento senza azione e giustizia è un tradimento. Se la Palestina deve sopravvivere, il mondo deve finalmente tracciare una linea di demarcazione, non con l'inchiostro diplomatico, ma con i fatti.

Biljana Vankovska è docente di scienze politiche e relazioni internazionali presso l'Università dei Santi Cirillo e Metodio di Skopje, membro della Transnational Foundation of Peace and Future Research (TFF) di Lund, in Svezia, e la più influente intellettuale pubblica della Macedonia. È membro del collettivo No Cold War.

Fonte: Globetrotter


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