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da Rebelion.org - www.rebelion.org/noticia.php?id=122313
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Ollanta Humala in controluce
 
di Gustavo Espinoza M.
 
13/02/2011
 
A meno di sessanta giorni dalle elezioni nazionali del 10 aprile e con le liste parlamentari pubbliche in tutto il paese e nel Parlamento Andino, è ora possibile osservare con obiettività lo scenario e formulare delle valutazioni circa le possibili opzioni di fronte dell’elettorato.
 
E’ utile farlo adesso, quando mancano le analisi e invece abbondano gli insulti di una sorta di “guerra sporca”, alimentata da certi media allo scopo di rendere indecifrabile quel poco che l’elettorato può avere a disposizione per farsi un’idea. Anzitutto notiamo la marcata dispersione di forze che rappresentano due settori d’opinione.
 
La destra è rappresentata da Luís Castañeda Lossio, Pedro Pablo Kuczynski, Alejandro Toledo, Keiko Fujimori e Rafael Belaunde. Il movimento popolare si esprime attraverso Ollanta Humala, Manuel Rodríguez Cuadros, José Antonio Ñique de la Puente e Ricardo Noriega Salaverry.
 
Il settore conservatore può avvalersi di candidature che contano su un certo consenso. Ciascuna di esse, più o meno, può ragionevolmente prevedere di superare lo sbarramento del 5% per ottenere rappresentanza congressuale e continuare a contare nell’arena politica.
 
In seno al popolo le cose stanno diversamente. Obbiettivamente, solo Ollanta Humala ha possibilità concrete, dato che gli altri candidati vivono un’assenza di elettorato che gli prefigura una sconfitta sicura. Perciò vale la pena di prendere in considerazione Ollanta Humala e di osservarne l’immagine pubblica in controluce.
 
Humala ha già presentato la sua Dichiarazione di Principi ed il suo Programma. Anche se in insufficienti in certi aspetti, contengono delle formulazioni certe e il merito di mettere il dito nella piaga di questioni della vita nazionale, ad esempio la corruzione.
 
E’ nota anche la squadra di cui si avvale Humala. Tecnocrati per lo più qualificati, ma che mancano della coesione necessaria per garantire un serio piano di lavoro per il capo di Stato. Se si osservano meglio, tra loro si notano punti di vista diversi e una netta differenza di opinioni, mascherate con l’idea di progettare un’immagine di unità, più formale che ideale.
 
La formula presidenziale, attualmente composta dalla congressista Marisol Espinoza e dal Procuratore di Stato Omar Chehade, è certamente all’altezza del compito. Lo è pure, con certi alti e bassi, la lista parlamentare nella capitale, all’interno del paese e nel Patto Andino, dove si trovano le debolezze maggiori per la presenza di soggetti senza sostegno elettorale.
 
Questi gli elementi sul tavolo, ora vediamo gli argomenti di fondo. Il Nazionalismo non è un’ideologia. E’ un programma d’azione che può servire per le politiche più diverse. Senza andare lontano ricordiamo che da noi è stato nazionalista Luis M. Sánchez Cerro, che considerò “ideologie straniere” le concezioni marxiste. E il Maresciallo Oscar R. Benavides, che prese le armi per difendere le frontiere nazionali. A suo modo, nazionalista è stato Odría, che considerò l’APRA e il PC “organizzazioni internazionali” e le combatté duramente. Anche il generale César Pando, sull’onda della lotta per il petrolio fu nazionalista negli anni sessanta. E il generale Juan Velasco Alvarado, che pure combinò la concezione nazionalista con una visione socialista, certamente confusa. Ma ciascuno di essi si avvalse del nazionalismo facendolo passare da una via sempre diversa.
 
Il problema, allora, è più complesso. E bisogna affrontarlo da altri aspetti: la base sociale che si rappresenta, il percorso dei suoi rappresentanti, le proposte che fanno e l’azione concreta. Cioè la pratica politica con cui si interviene quotidianamente. Questo vale più delle parole, che sappiamo bene servono per dire delle cose ma pure per tacerne delle altre. Humala non ha una vera base sociale. Di formazione militare, è carente di precedenti definiti, salvo la sua discussa ribellione di Moquegua durante il potere di Fujimori e la sua condotta poco chiara nei fatti di Andahuaylas, qualche anno più tardi. Né uno né l’altro servono per qualificarlo.
 
Si potrebbe considerarlo socialmente legato ai lavoratori a cui offre “giustizia sociale” e “rispetto per i loro diritti”. Ma così come nel nome della libertà sono statti commessi molti crimini, pure in nome dei lavoratori e dei loro diritti - non solo nella nostra storia - sono comparse espressioni di vario segno. Anche qui non c’è nessuna garanzia.
 
I documenti della campagna elettorale aggiungono altre luci ed ombre in materia. Si prende la corruzione come il problema più grave che colpisce la società peruviana. E questa è una maniera di eludere il problema di base, quello fondamentale, quello che strozza tutti i peruviani: la nostra dipendenza dal capitale finanziario e in particolare dall’amministrazione nordamericana. Questa è la pietra angolare che definisce le posizioni della politica peruviana.
 
Sull’argomento ci sono due questioni di fondo: il Trattato di Libero Commercio sancito con gli Stati Uniti sulla pelle del nostro popolo e degli interessi nazionali, e gli investimenti stranieri, in particolare quelli minerari che beneficiano le aziende yankee.
 
Su questa materia si dice molto poco, e ancor meno è quello che si fa. Se a ciò sommiamo una posizione ambigua, indecisa e contraddittoria sul processo di liberazione in America Latina con “avvicinamenti” al regime brasiliano e la “presa di distanza” dal Venezuela, avremo l’immagine di un certo opportunismo, una “concessione alla platea” che porta all’offensiva contro popoli fratelli e governi che lottano a pie fermo contro l’ingerenza imperiale. C’è chi sostiene che si tratta solo di tattica. E’ possibile. Ma ci sono pure viaggi negli USA e riunioni con la Camera di Commercio statunitense per fornire alla Casa Bianca “garanzie” agli investitori, per cui non si sa bene a cosa attribuire questa tattica, se alla cura di non svegliare il lupo o a quella di confondere le pecore.
 
Ma c’è anche dell’altro. La questione dei Diritti Umani. Non si tratta di pensare alle oscure attività del “Comandante Carlos” e nemmeno di alludere al fatto che Humala è stato l’unico dei 12 mila ufficiali impegnati nella “guerra sporca” ad esserne uscito senza macchia.
 
Sull’argomento occorrono responsabilità e sensatezza: il nuovo governo deve assumersi l’impegno di indagare realmente su quanto accaduto, chiarire le responsabilità e far pagare gli autori politici e materiali compromessisi con azioni perseguibili, e non avvicinarsi a torturatori e assassini in nome della “riconciliazione nazionale”. Ma questo governo deve impegnarsi a rispettare i Diritti Umani perché non si ripeta in Perù la storia di violenza e sangue vissuta in passato.
 
Non contribuisce a ciò la dichiarazione di Humala circa la “riapertura della Colonia Penale di El Frontón”. Sebbene si dica che servirà a recludere “i corrotti”, quest’espressione è una versione deplorevole di arbitrarietà. “El Frontón”, come “El Sepa”, “Challapalca” ed altri simili, sono carceri primitive, concepite da menti selvagge e destinate non alla redenzione ma al castigo brutale degli avversari del Potere. Un paese che vuole civilizzarsi non può tornare sui passi obbrobriosi percorsi dai regimi del passato.
 
“Isla de Pinos”, il sinistro carcere in cui fu rinchiuso Fidel Castro nel 1953, oggi non è un carcere. E’ un museo, che serve per trasmettere ai visitatori l’idea della barbarie di ieri. L’Isola della Gioventù, come si chiama oggi, è un modello di solidarietà, amore per la vita e lotta per i grandi ideali rivoluzionari del suo popolo. Bisogna dare il giusto valore di quest’esperienza.
 
Per queste ragioni, il voto per Ollanta Humala deve essere un voto critico, discusso e analizzato. Non si tratta di seguirlo entusiasticamente come se la sua vittoria fosse la panacea popolare di cui ha bisogno il Perù.
 
Se vogliamo davvero contribuire alla causa del nostro popolo e affrontare i compiti che si avvicinano, l’importante non è applaudire, ma lavorare per costruire un movimento popolare solido, cosciente, rappresentativo e organizzato. E non si contribuisce sperticandosi in lodi. Dobbiamo avere coscienza delle difficoltà e dei limiti sostanziali di Humala e della sua cerchia - certo contraddittoria e complessa - . E cercare di sanare questi limiti nel dibattito concreto sui problemi del paese a partire da una necessità comune a tutti: assicurarsi che il bicentenario non sia una data uguale alle altre, ma un punto di partenza nel compito della vera liberazione nazionale.
 
In altre parole, guardare Ollanta Humala in controluce non significa negarlo. E’ un modo serio e indipendente di affermare meglio il senso della lotta del nostro popolo.
 
Fonte: http://nuestrabandera.lamula.pe/2011/02/12/ollanta-humala-en-blanco-y-negro-2/
 
 

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