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L'America Latina nella Resistenza: Cronaca di un putsch preannunciato
Jessica Dos Santos e Ricardo Vaz | investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
14/12/2022
Dopo ripetute minacce Pedro Castillo è definitivamente caduto mercoledì 7 dicembre. L'"arma" usata per farlo: l'impeachment o colpo di Stato parlamentare, un'arma sempre più usata in America Latina, in particolare in Perù.
Castillo aveva cercato di prevenire il terzo tentativo dell'Assemblea nazionale di porre fine alla sua presidenza: sia l'opposizione che la maggioranza, propendendo per la destra, miravano a raggiungere una maggioranza di due terzi; la giustificazione ufficiale ("corruzione", "incapacità morale", ecc.) poteva essere decisa in seguito.
Il presidente ha deciso quindi di invocare l'articolo 134 della Costituzione peruviana sciogliendo, per decreto, il Congresso al fine di poter governare in stato di emergenza; contemporaneamente aveva convocato un'Assemblea Costituente.
Sebbene vi fossero dubbi sull'interpretazione dell'articolo e sulla legittimità della "carta" giocata da Castillo, questo non ha fatto alcuna differenza: era l'ultimo di una serie di errori strategici che si sarebbe rivelato fatale. Diversi ministri si sono immediatamente dimessi e le forze armate si sono rifiutate di sostenerlo. Qualche ora dopo è stato arrestato, rovesciato dal Congresso e sostituito dalla sua vicepresidente, Dina Boluarte.
Castillo, ex insegnante rurale e combattivo leader sindacale, ha vinto le elezioni a sorpresa nel giugno 2021. La vittoria di questa figura sconosciuta del "Perù più profondo" è stata semplicemente un'espressione del profondo rifiuto del popolo peruviano nei confronti della classe politica, intrisa di corruzione e che passa di crisi in crisi.
Ha inoltre espresso il desiderio di un cambiamento radicale, simboleggiato dalle due promesse chiave di Castillo e di Perù Libero (il partito che ha sostenuto la sua candidatura): rinegoziare i contratti con le multinazionali (eventualmente nazionalizzando le risorse naturali) e indire un'Assemblea Costituente per riformare il sistema politico. L'attuale Costituzione è stata approvata sotto la dittatura di Alberto Fujimori negli anni Novanta.
Fin dall'inizio il nuovo governo è stato circondato da nemici. Da un lato, le élite di Lima e i loro media erano totalmente inorriditi all'idea che una persona simbolo del Perù povero e indigeno occupasse il palazzo presidenziale. Dall'altro, un Congresso a maggioranza di destra era determinato a frapporre ogni possibile ostacolo.
Quando abbiamo analizzato la vittoria di Castillo, abbiamo fatto un parallelo con Hugo Chávez in Venezuela. Alcune caratteristiche si sono ripetute: entrambi "outsider", eletti nel bel mezzo di profonde crisi nei rispettivi sistemi politici. Entrambi rappresentanti di una maggioranza storicamente dimenticata e invisibile.
Tuttavia abbiamo sottolineato che in questo parallelismo la "prova del fuoco" risiede nel modo in cui i due leader hanno reagito agli attacchi dei loro nemici. Di fronte alla guerra implacabile della borghesia Chávez ha contrattaccato radicalizzando il processo, coinvolgendo le masse e ponendo il socialismo come orizzonte. Come ha reagito Castillo?
Purtroppo, nella direzione opposta. L'ex sindacalista ha più volte imboccato la strada della conciliazione, cercando tra una concessione e l'altra, di placare gli attacchi e i tentativi putschisti della destra. Ma questo non ha funzionato e l'offensiva è cresciuta. In mezzo ai suoi errori di calcolo, il presidente si è rivolto persino all'OSA! Naturalmente, l'OSA ha appoggiato senza esitazioni il colpo di Stato parlamentare.
Castillo ha cambiato il suo governo cinque volte in seguito a voti di "sfiducia" al Congresso. Ha perso l'appoggio di Perù Libero e ha messo da parte gli stendardi che aveva sventolato durante la campagna elettorale. Di conseguenza, la sua base sociale si è gradualmente erosa e quando ha deciso di affrontare il nemico, non aveva alleati.
La destra e l'oligarchia peruviana esultano, ma la festa non durerà a lungo. Ci sono state grandi manifestazioni nelle strade di diverse città e richieste di sciopero. Alcune manifestazioni chiedono la liberazione di Castillo, ma la stragrande maggioranza si muove per respingere il Congresso, un'istituzione corrotta fino al midollo e priva di qualsiasi legittimità. Le richieste di un'Assemblea Costituente si fanno sempre più forti. Resta da vedere chi riuscirà a incanalare il malcontento per generare grandi trasformazioni nel Paese, cosa che Castillo non è riuscito a fare.
Ci sono lezioni fondamentali da imparare dalla breve e travagliata presidenza di Pedro Castillo. La più importante è che, anche se in alcuni contesti è necessario pensare di "guadagnare tempo" e stringere alleanze tattiche, qualsiasi progetto di trasformazione dovrà scontrarsi con la borghesia, le élite e i nemici del popolo.
È vero che Castillo ha sempre dovuto manovrare in condizioni molto ostili. Ma è stato eletto con un mandato popolare e sospinto da un sentimento di rifiuto dell'oligarchia peruviana, sentimento che è di nuovo nelle strade. È possibile che un'offensiva contro la destra non avesse successo. Ma cedere e poi cedere ancora, non poteva che portare a una sconfitta certa. E per citare ancora Chávez, "con questa borghesia perfida e senza patria non c'è accordo possibile".
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