Romania: Un futuro a stelle e striscie?
Di Marcello Graziosi
Data chiave per la storia recente della Romania, in grado di condizionare
ancora oggi il dibattito politico, è il dicembre del 1989, con il rovesciamento
del regime di Ceausescu per opera del Fronte di Salvezza Nazionale (Fsn),
organizzazione comprendente settori importanti dell’esercito e dei servizi di
sicurezza e guidata da Iliescu, comunista della prima ora, posto ai margini
della vita politica a partire dal 1971 e uomo molto vicino a Mosca ed al Kgb.
Una volta arrestato, Ceausescu ha subito un rapido processo per poi essere
fucilato.
Eletto presidente della repubblica con l’85% dei consensi nel maggio 1990,
sfruttando abilmente le divisioni interne all’opposizione liberista e
filo-atlantica, Iliescu ha tentato di imporre una transizione morbida verso il
libero mercato ed il sistema capitalistico, una sorta di compromesso tra piano
e mercato, attenta alle esigenze sociali di un popolo stremato da un decennio
di austerità.
Lo scontro con la destra ed il binomio Stati Uniti-FMI è stato durissimo ed ha
finito per travolgere lo stesso Fsn. I minatori del bacino del Jiu sono scesi
due volte a Bucarest in poco più di un anno: una prima volta per sostenere
Iliescu contro l’opposizione e gli studenti, che chiedevano un’accelerazione
delle riforme neoliberiste, ed una seconda nel settembre 1991 a sostegno della
destituzione del primo ministro, Roman (Fsn), anch’egli favorevole ai disegni
del FMI ed all’integrazione euro-atlantica.
Dopo un aspro e lacerante dibattito alla terza convenzione del Fsn (fine marzo
1992), i sostenitori di Iliescu, favorevoli a ristabilire il ruolo pubblico
dello stato nella direzione dei processi economici, a partire dalla transizione
verso il mercato, si sono organizzati nel Fronte Democratico di Salvezza
Nazionale (Fdsn, poi Partito della Democrazia Sociale di Romania, Pdsr), uscito
a sorpresa vincitore dalle elezioni politiche e presidenziali del settembre
1992 a spese del blocco delle opposizioni di destra, liberiste e filo-atlantiche
(Convenzione Democratica Romena, Cdr, alla quale si era unito Roman). Alle
elezioni legislative ha partecipato anche il Partito Socialista del Lavoro
(Psm), organizzazione di orientamento neo-comunista sorta nel novembre 1990 e
guidata da Ilie Verdet, ottenendo un lusinghiero 3,1% ed un totale di 13
deputati e 5 senatori.
La costituzione di un governo riformista orientato a sinistra non ha risolto le
difficoltà del paese, subendo nel profondo i contraccolpi della
destabilizzazione dei territori della ex Jugoslavia e l’aggressione di Stati
Uniti ed organizzazioni finanziarie internazionali. Una difficoltà che ha senza
dubbio favorito l’affermazione della destra liberista alle elezioni del
novembre 1996, con l’affermazione di Constantinescu alle presidenziali e
dell’asse Cdr-Roman, alleatisi con il partito della minoranza ungherese (Unione
Democratica Magiara, Udmr), alle politiche. Il Partito Socialista del Lavoro,
dopo aver ottenuto un risultato brillante alle elezioni amministrative del
giugno, non è riuscito a superare la soglia del 3%, con un risultato poco
lusinghiero del proprio candidato alle presidenziali. Da qui una crisi del
partito che si è protratta fino ad oggi.
L’accelerazione netta delle riforme neoliberiste, imposta dal governo Ciorbea
in accordo con il FMI, ha provocato la distruzione di parte consistente del
sistema produttivo ed un netto e consistente peggioramento delle già pessime
condizioni di vita delle masse popolari. Una prima incrinatura nella compagine
di governo si è verificata nella primavera del 1998, con l’uscita di Roman e la
sostituzione di Ciorbea con Vasile. L’anno successivo, il 1999, è stato l’anno
delle grandi mobilitazioni sociali contro il governo, inaugurate ancora una
volta dai minatori del Jiu e seguite da insegnanti, lavoratori metalmeccanici e
portuali. La risposta del governo e del presidente: esercito contro i minatori
che marciavano su Bucarest e sostegno, contro gli orientamenti della grande
maggioranza della popolazione e gli interessi stessi dell’economia romena,
all’aggressione della Nato contro la Repubblica Federale Jugoslava. Nel
dicembre, poi, Constantinescu, facendo carta straccia della Costituzione, ha
sostituito Vasile con Isarescu, già presidente della Banca Centrale e uomo FMI.
Alle elezioni del novembre 2000 il quadro politico romeno ha subito un evidente
ma non scontato rovesciamento: vittoria del Pdsr alle elezioni politiche, con
il partito xenofobo ed ultranazionalista Romania Mare (Rm) di Tudor come
seconda forza politica del paese e la destra liberista allo sfascio, pur
mantenendo una certa importanza sul piano degli equilibri di governo. Alle
presidenziali, Iliescu ha sconfitto al ballottaggio lo stesso Tudor (66,83%
contro 33,17%), grazie anche al sostegno ricevuto dai tradizionali avversari
della destra nel tentativo, riuscito, di isolare il candidato dell’estrema
destra razzista (a tal proposito, non è mancato chi ha denunciato un presunto
“complotto” rosso-bruno contro le riforme, attivo fin dal 1991).
Nel tentativo di tranquillizzare l’Occidente, il Pdsr ha dato vita ad un
esecutivo di minoranza guidato da Nastase, considerato più integrabile nella
logica liberale ed atlantica rispetto ad Iliescu, anche se quest’ultimo ha
tenuto un atteggiamento assai accomodante, a partire dall’integrazione della
Romania nella UE e nella Nato, senza però escludere aperture verso Oriente,
dalla Russia alla Cina.
Da allora, si è innescato un processo di avvicinamento e potenziale
omologazione del Pdsr alle socialdemocrazie occidentali che occorre investigare
a fondo, a partire dal Congresso straordinario del giugno 2001 per arrivare
fino al sostegno di Iliescu all’aggressione unilaterale anglo-statunitense
contro l’Iraq della primavera 2003, con una crisi tra Romania e Francia.
Quanto hanno pesato i rapporti di forza complessivi su scala mondiale? Quanto
atteggiamenti eccessivamente intransigenti di alcuni paesi europei rispetto
all’integrazione, che potrebbero aver indispettito i gruppi dirigenti
nazionali, avvicinandoli così a Washington?
In questo processo di apertura alle socialdemocrazie occidentali, il Pdsr si è
fatto scrupolo di assorbire quanto rimaneva del Partito Socialista del Lavoro,
complice il Presidente del Psm Sassu (eletto nell’estate 2000 e protagonista di
un pessimo risultato alle elezioni del novembre), senza nemmeno premurarsi di
rispettare la legislazione romena.
Il 23 agosto, la maggioranza dei quadri del Psm si è ritrovata a Bucarest per
un Congresso straordinario, decisa a mantenere in vita il proprio partito,
eleggendo presidente Rotaru e chiedendo una campagna di mobilitazione
internazionale contro l’usurpazione avvenuta, volta a cancellare la presenza
stessa dell’organizzazione potenzialmente più pericolosa alla sinistra del
Pdsr.