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Lo strappo del capitale in Russia

Fabrizio Poggi | nuovaunita.info

gennaio 2018

Da anni in Russia si accusano i bolscevichi e la Rivoluzione d'Ottobre di aver lacerato la società e si professa che obiettivo primario sia quello di ricucire quel tragico strappo. L'ennesimo tentativo in questa direzione lo ha compiuto il 18 novembre Vladimir Putin, che a Jalta, nell'area del palazzo Livadija, ha inaugurato un monumento allo zar Alessandro III, quello che fece impiccare, tra gli altri, anche il fratello di Lenin, Aleksandr; quello delle controriforme accentratrici e assolutistiche e del sostegno alle scuole ecclesiastiche. Scoprendo il bronzo di quattro metri, Putin ha detto "Inauguriamo il monumento a un insigne uomo di stato, a un patriota" che ebbe sempre "un grande senso di responsabilità personale" per il destino della Russia.

Quel destino di concordia sociale è allietato ora da alcune "buone notizie": allo scorso aprile Forbes Russia scriveva che il patrimonio complessivo dei 200 "biznesmeny" più ricchi del paese era cresciuto di 100 miliardi di dollari rispetto al 2016, raggiungendo la cifra di 460 miliardi e il numero di miliardari era salito da 77 a 96. Il "biglietto" per entrare nell'esclusivo club è passato dal limite minimo di 350 milioni del 2016 ai 500 milioni di quest'anno; la soglia per conquistare un posto tra i primi dieci è passata da 8,7 a 12,4 miliardi di dollari. Il primo posto è andato anche nel 2017 al coproprietario della compagnia di gas  privata "Novatäk", Leonid Mikhelson (18,4 mld $); il secondo posto al proprietario di "Severstal" Aleksej Mordašov (17,5 mld $).

La classifica dei funzionari pubblici e deputati più ricchi è invece  capeggiata, con 2,8 mld $, dal consigliere municipale di Ulan-Udä, il cui clan familiare possiede la catena alimentare "Titan", seguito dal Senatore Valerij Ponomarev, azionista dell'impresa "Okeanrybflot" (2,7 mld $) e dal Presidente della Repubblica del Tatarstan, Rustam Minikhanov (2,3 mld $). Il 25% di coloro che compongono la classifica sono deputati della Duma; tre sono membri del Governo e altrettanti sono top manager di corporation statali; 42 sono membri del partito presidenziale "Russia Unita" e tre del PCFR.

Ma l'obiettivo della concordia sociale porta anche notizie un po' meno buone. Ovviamente, sul fronte salariale.

Nikolaj Makeev scrive su Moskovskij Komsomolets che secondo il Comitato federale di statistica (Rosstat) i salari stanno crescendo, ma i redditi reali continuano a cadere da alcuni anni. Stando all'agenzia di rating "Fitch", i salari dei russi, a parità di potere d'acquisto delle monete, sarebbero di 2,5 volte inferiori a quelli dei tedeschi, anche se la percentuale di russi con stipendi inferiori al minimo ufficiale di sopravvivenza sarebbe calata dal 38% del 2013 al 29% attuale. Ma, nello stesso periodo, i redditi reali (considerate tasse e inflazione) sarebbero scesi del 11%. Secondo il Rosstat, il salario medio ufficiale per tutto il paese è di 36.746 rubli, ma il 10,4% dei lavoratori percepisce meno di 10.600 rubli e il 55% prende cifre tra i 10.600 e i 35.000 rubli. La vice Primo ministro Olga Golodets parla di un salario medio per l'intero paese nel 2015 pari a 38.600 rubli per gli uomini e 28.000 per le donne.

Su Svobodnaja Pressa, Irina Nikolskaja scrive però che il salario medio di un moscovita (le cifre sono diverse a seconda delle varie Repubbliche e Regioni della Federazione Russa) è di circa 91.000 rubli, con cui è "tutt'altro che agevole arrivare a fine mese". Si va dagli oltre 520.000 rubli di un alto funzionario del settore energetico, ai 34.000 di un lavoratore delle pulizie, passando per i 245.000 rubli di un manager dell'industria cementifera o i 68.000 dei settori sanitario e scolastico. Secondo il Comitato cittadino delle statistiche (Mosgorstat), i redditi reali dei moscoviti sono però scesi del 3,7% rispetto al 2016 e la cifra di 91.000 rubli si riferisce solo alle imprese medio-grandi; la media complessiva reale dei salari a Mosca sarebbe di circa 71.000 rubli e, comunque, viene calcolata includendo i compensi dei top manager: se il direttore di una struttura sanitaria o scolastica privata può mettere in tasca 500-600.000 rubli, l'insegnante o l'operatore sanitario possono fermarsi a 15.000. Probabilmente, nota Irina Nikolskaja, il russo di provincia, leggendo di stipendi di 91.000 rubli, non può che "odiare gli ingordi moscoviti e forse è proprio questo l'obiettivo della statistica: meglio che si odino i moscoviti, piuttosto che la borghesia russa!".

E mentre Komsomolskaja Pravda riporta tutta una serie di settori in cui il salario è inferiore alla media ufficiale cittadina – dai 78.000 rubli dell'edilizia, ai 30.000 del calzaturiero - l'ex Ministro delle finanze Aleksej Kudrin profetizza su Argumenty i Fakty l'innalzamento dell'età pensionistica, visto che già nel 2016 il governo non riuscì (o non volle) a indicizzare tutte le pensioni e dato che la Duma sta già discutendo la riduzione dell'assegno per i pensionati che continuino a lavorare. Secondo Kudrin, per far fronte alla spesa pensionistica, il governo dovrebbe rinunciare a ogni investimento in sanità e istruzione.

D'altra parte, ancora Komsomolskaja Pravda scrive che i pensionati vengono "incoraggiati" a continuare a lavorare, dato il deficit demografico del paese, dovuto alla bassissima natalità dei disastrosi anni '90 eltsiniani. Secondo il Ministero dello sviluppo economico, nel 2020 il numero di lavoratori scenderà da 83 a 80 milioni e, facendo calare "il già basso" tasso di disoccupazione, si verificherà un significativo deficit di bilancio federale. I cosiddetti esperti giudicano un tale potenziale calo del tasso di disoccupazione – dal 5,2% attuale al 4,7% del 2020 - molto "negativo per il mercato del lavoro e la produttività". Ma, in cifre assolute, il PCFR parla di un aumento della disoccupazione (reale e nascosta) già a fine 2017 da 25 a 28 milioni di persone. Se il Rosstat calcola 72 milioni di occupati, pare che appena 37 milioni paghino le tasse e, dunque, siano occupati. La percentuale di pensionati sul totale della popolazione, che era del 19,7% (27,4 milioni di individui) nel 1981, è cresciuta fino al 29,2% (42,7 milioni) del 2016. Oggi, si calcola che tra le persone che hanno raggiunto l'età pensionistica, oltre 13 milioni stiano continuando a lavorare; ma non è dato sapere con esattezza quali siano gli stipendi che "attraggono" così tanti pensionati in occupazioni quali guardiano, cassiere, babysitter, corriere, tutor scolastico, commesso di fast-food.

E, a proposito della struttura occupazionale, ancora su Komsomolskaja Pravda, Evegenij Beljakov osserva che, sulla strada socio-economica capitalistica, anche in Russia diminuisce il numero di lavoratori impegnati nella produzione e aumenta quello degli addetti a servizi, commercio e settori finanziario e delle comunicazioni. Sergej Šulgin nota che, mentre spesso c'è carenza di specialisti nella produzione, aumenta oltre misura il numero di funzionari amministrativi pubblici: oggi se ne contano 98 (1,43 milioni) ogni 10.000 abitanti, mentre nel 1988 la RSFSR ne contava 81 (1,16 milioni) nonostante Ministeri e del Gosplan sovietici fossero allora impegnati in molte sfere dell'economia. Nel settore della pubblica sicurezza - polizia, guardia nazionale, procure, carceri, ecc.: circa 2,6 milioni di persone - secondo l'economista Vladislav Inozemtsev la Russia supera di circa quattro volte la percentuale della maggior parte dei paesi occidentali, con un numero di addetti che eguaglia quello del settore sanitario e supera di due volte e mezzo quello del settore estrattivo. Sommato alle forze armate (1,9 milioni) e alla miriade di agenzie private per la sicurezza, si raggiunge la cifra di circa 5,5 milioni.

E' così che, se tra il 1961 e il 1985 fu calcolata una crescita della forza lavoro di circa 42 milioni di unità, nel 2012, in base a un'indagine dell'Unione dei Comunisti, la percentuale di lavoratori occupati in imprese private era solo del 59%, contro un 29,7% di impiegati negli apparati federali e locali. Nello specifico della classe operaia, se in epoca sovietica questa costituiva circa il 70% della popolazione, è passata al 58% del 2001 e al 40% del 2010. Per il Rosstat, i lavoratori, qualificati e non qualificati, occupati solo in industria, costruzioni, trasporti, estrazioni e comunicazioni, sono passati dagli oltre 19 milioni del 2006 ai 16 milioni del 2015.

Secondo il Comitato statale per le statistiche (Goskomstat), nel 1987 il 42% dei lavoratori della RSFSR era occupato nell'industria e nelle costruzioni; il 19% nei settori di sanità, scuola, cultura e sport; il 14% nell'agricoltura; l'8% in commercio e ristorazione, 2% nell'apparato statale, ecc. Nel 2016, il 18,5% operava nel commercio (era il 17% nel 2005); il 14,4% (18,2% nel 2005) nella manifattura; in uguali percentuali vicine al 9% (con leggere variazioni rispetto al 2005) nei settori finanziario, trasporti e istruzione; 8% nella sanità; 7,2% costruzioni; 6,7% (10% nel 2005) in agricoltura; 5,5% complessivo tra settori energetico ed estrattivo; 7,4% negli apparati statali, amministrativo e di sicurezza.

Tornando ai redditi, secondo il monitoraggio dell'Alta scuola di economia (VŠÄ), a maggio 2017 continuava la caduta del reddito reale (-1,8% rispetto al 2016) osservata ininterrottamente dall'ottobre 2014, per un complessivo -19,2%. Ciò, nonostante, nello stesso periodo i salari nominali hanno seguito la tendenza opposta: a maggio si registrava un +2,9% (29.136 rubli, stando al Rosstat) rispetto al 2016. Anche il livello reale delle pensioni, da ottobre 2014 è calato del 6,9%. Percorso inverso per i prezzi al consumo, di prodotti alimentari e non, che dall'inizio della crisi (novembre 2014) sono cresciuti in media del 25,7%, con una diminuzione del volume di circolazione di beni e servizi del 19,4%. Dunque, la VŠÄ calcola che il 45,6% del reddito nazionale vada nelle tasche del 20% della popolazione più agiata, mentre il 20% della popolazione più disagiata goda appena del 5,7% del totale.

La percentuale di popolazione che, soggettivamente, valuta la propria situazione "cattiva o molto cattiva" è del 20-23% (fonti governative valutano 22 milioni di poveri. Il PCFR calcola in oltre 20 milioni di lavoratori con salari sotto la soglia di povertà); quella di coloro che affermano di incontrare difficoltà nell'acquisto di alimenti e vestiario è del 38-39%. Stessa percentuale di coloro che da inizio 2017 hanno avuto difficoltà sul "mercato del lavoro", mentre il 21% ha visto diminuire il salario e il 20% è in ritardo nella riscossione (si calcola in 4 miliardi di rubli il monte salari non pagati). Il "rischio" maggiore di povertà o miseria estrema, secondo VŠÄ, si incontra soprattutto tra gli abitanti dei villaggi di campagna e tra i pensionati. Non solo questi ultimi, ma anche famiglie con 2 o più figli, si scontrano in misura crescente con difficoltà economiche nell'acquisto di medicinali prescritti per cure irrinunciabili.

Ma ecco che Stanislav Vorobev scrive su Svobodnaja Pressa che lo scorso ottobre, alla Fabbrica di vagoni degli Urali (UVZ: Uralvagonzavod, una s.p.a. pubblica da cui sono usciti anche i carri armati, dal T-34 al T-72) la direzione ha eliminato l'indicizzazione dei salari e i premi di produzione. Secondo un gruppo di operai, l'assessore municipale di Nižnyj Tagil per "Russia Unita", Roman Gorelenko (responsabile metallurgico di UVZ) avrebbe detto agli operai che guadagnano già troppo e non hanno diritto ad avere tanto. "E del fatto che lavoriamo in condizioni infernali" scrivono gli operai in una lettera a Uralskaja Pravda "nessuno ne tiene conto?". Ora, scrive Vorobev, lavorano a UVZ circa 30 mila persone; con salari medi di 31.000 rubli, il fondo salari ammonta a 11 miliardi di rubli l'anno e nel 2016 gli introiti hanno superato i 93 miliardi di rubli: "non c'è bisogno di essere un grande matematico, per calcolare la quota del fondo salari nel volume di affari: 12%. Incide molto di più il prezzo del metallo; e comunque l'impresa ha aumentato le entrate del 70%, con una crescita dei costi di produzione di appena il 26%". E allora, si chiede Vorobev, "che senso ha portare gli operai al calor bianco con standard idioti e arrivare allo sciopero all'italiana (lo sciopero bianco, ndr)?". Nella "soluzione" proposta da Vorobev c'è tutta la Russia che tenta di "ricucire lo strappo" del 1917: "Se è così necessario ridurre i costi di produzione, è più semplice ridurre il personale, aumentando i salari ai rimanenti. Come dimostra l'esperienza occidentale, questo è un modo più razionale".

Il capitale parla ovunque la stessa lingua, senza confini. Ma ha una barriera molto robusta: la lotta dei lavoratori.



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