www.resistenze.org - popoli resistenti - saharawi - 15-10-08 - n. 245

da http://encuentrosaharasevilla.org/
Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Più di 300 persone a Siviglia reclamano una soluzione politica che metta fine al conflitto saharawi
 
Vedi http://es.youtube.com/watch?v=gKKtvmoLoQs
 
Il Primo Incontro Internazionale di Solidarietà con il Sahara, celebrato i giorni 3-4-5 ottobre, ha riunito a Siviglia oltre 300 persone per richiedere una soluzione politica che ponga fine a più di tre decenni d’occupazione marocchina nel Sahara Occidentale e riconosca il diritto inalienabile del popolo saharawi ad avere il proprio stato.
 
Le giornate, organizzate da Asociación Hispano Saharaui Resistencia-Sumud e dal Consiglio Spagnolo per la Difesa della Solidarietà e la Pace (Cedespaz) con il patrocinio del Comune di Siviglia, hanno visto la partecipazione di un totale di 35 relatori, e l'assistenza dei rappresentanti di 7 partiti politici e 73 organizzazioni, provenienti da 13 province della Spagna e da diversi paesi quali Sahara Occidentale, Portogallo, Venezuela, Marocco, Italia e Giappone.
 
Nel corso dell’Incontro sono stati analizzati approfonditamente gli aspetti giuridici che sostengono il diritto del popolo saharawi ad avere uno stato e l'illegalità rappresentata dall'occupazione marocchina e dall'espropriazione delle risorse naturali del Sahara Occidentale da parte della potenza occupante.
 
Le violazioni dei diritti umani nei Territori Occupati hanno impegnato gran parte del dibattito, con l’esposizione e l’analisi della terribile situazione degli attivisti attraverso due testimonianze: quelle della giovane studentessa Sultana e del militante Brahim.
 
Si è parlato anche dell'esilio del popolo saharawi nel deserto algerino, dell’esperienza dei laboratori dei giovani brigatisti sivigliani nei campi di Tindouf, e della situazione e organizzazione dei residenti saharawi in Spagna.
 
La delegazione portoghese ha descritto le analogie tra il processo di decolonizzazione di Timor Est e quello del Sahara Occidentale, ripercorrendo i passi di come la società portoghese si organizzò per esigere la celebrazione del referendum, che permise al popolo timorense di avere uno stato sovrano e di mettere fine all'occupazione indonesiana.
 
Allo stesso modo, l'evento culturale celebrato nel quadro di questo Primo Incontro Internazionale di Solidarietà con il Sahara è servito per proseguire nella conoscenza della realtà saharawi, attraverso la proiezione dei documentari “Figli delle Nuvole”, del regista Carlos González,detenuto per aver raccolto le testimonianze di attivisti e studenti saharawi nei Territori Occupati, e dell'ultimo lavoro di Carlos Azpúrua realizzato durante gli atti di celebrazione del 35° anniversario del Fronte Polisario.
 
L'intenso lavoro di questo fine settimana si è concretizzato nell'avviamento di diverse campagne e proposte con l'obiettivo di colpire la causa originaria della terribile situazione attualmente vissuta dal popolo saharawi, che altra non è se non la firma degli Accordi Tripartiti di Madrid del 1975 ed un incompiuto processo di decolonizzazione:
 
  1. Campagna per il riconoscimento della Repubblica Araba Saharawi Democratica (R.A.S.D), portata a livello locale, municipale e delle autonomie.
  2. Campagna per la diffusione della situazione dei detenuti politici nei Territori Occupati, attraverso l'invio massiccio di cartoline alle ambasciate di Marocco e Spagna.
  3. Promuovere l’organizzazione dei saharawi residenti in Spagna.
  4. Incoraggiare, tra i collegi degli avvocati e le organizzazioni dei giuristi, la creazione e l’invio di osservatori dei diritti umani nei Territori Occupati, che tutelino la legittimità dei processi agli attivisti e la loro condizione detentiva.
  5. La diffusione del manifesto del Primo Incontro Internazionale di Solidarietà con il Sahara.
   
  
   
da http://encuentrosaharasevilla.org/ 
Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
L'attivista saharawi El Mami Amar Salem denuncia il “genocidio” subito dal suo popolo
 
05/10/2008
 
Siviglia – “Affrontiamo da 33 anni una macchina omicida fredda ed irrazionale, che porta a termine senza capacità essere capace di riflettere la missione ordinata: il genocidio”. Queste le eloquenti parole con cui si presentava il presidente del Comitato Contro la Tortura di Dajla, El Mami Amar Salem, nel suo intervento al Primo Incontro Internazionale di Solidarietà col Sahara, che si è celebrato a Siviglia la scorsa fine settimana (3-4-5-ottobre) ed al cui testo integrale ha avuto accesso il Servizio di Comunicazione Saharawi nelle Canarie (SCSC).
 
Nuova ondata di “repressione” nel Sahara Occidentale  
Il delegato in Spagna del Fronte Polisario sollecita il governo a portare a termine la decolonizzazione  
Dibattito sui Sahara Occidentale nell'IV Commissione di Decolonizzazione dell'ONU
 
El Mami, dopo avere salutato i partecipanti all'appuntamento sivigliano e ringraziato per la possibilità di esporre la situazione del “nostro popolo”, ha iniziato assicurando che “il mio desiderio sarebbe vivere nella nostra terra, il Sahara Occidentale, e nella mia cara città, Dajla, insieme ai compatrioti che giorno dopo giorno scendono nelle strade per affermare la nostra verità e che affrontano la violenza e la brutalità delle truppe occupanti a mani nude e con la fede inesauribile nella nostra causa come unico scudo”.
 
“Tuttavia – continuava - devo rimanere in Spagna, paese fratello che ringrazio per la sua accoglienza, per ristabilirmi dopo la serie di torture, repressioni e maltrattamenti”.
 
Il presidente del Comitato Contro la Tortura di Dajla, El Mami Amar Salem, è stato torturato in quattro occasioni dalla polizia marocchina “con la sola colpa di difendere apertamente ma pacificamente i diritti fondamentali del nostro popolo, diritti inesistenti da più di 30 anni”, ha spiegato.
 
Dopo l’ultima detenzione ed il “mio ultimo incontro con i torturatori marocchini, approssimativamente due anni fa e dopo aver subito gravi ferite alle gambe, fui abbandonato nella zona minata del deserto mauritano dalle forze di sicurezza marocchina speranzose che la mia morte sarebbe giunta presto. Fortunatamente mi recuperarono ed ora sono qui a parlare con voi”.
 
“Oggi - ha ricordato ai presenti - mentre parliamo, un altro fratello o sorella sarà fermata, picchiata, violentata, torturata o assassinata nei territori occupati semplicemente per essere quello che è, saharawi. Potrebbe essere un neonato, una donna incinta, un giovane studente senza alcun delitto di cui rispondere, un anziano o un malato, ma la sua sorte sarà la stessa”.
 
Per El Mami, “siamo come un uccello al quale è stato ordinato di essere lucertola. Siamo quello che siamo, saharawi, e non smetteremo di esserlo nonostante questi ordini. Quello è il delitto che ci trasforma in vittime un giorno dietro l’altro con il silenzio complice di un mondo che non ci vede e non ci ascolta”.
 
“Le bastonate dei poliziotti e coloni marocchini ai nostri fratelli di inizio estate a Dajla, o l'ondata di repressione sfrenata del Marocco la settimana scorsa a Smara e El Aaiún sono soltanto una dimostrazione”, ha denunciato il presidente del Comitato Contro la Tortura di Dajla. “Le case assaltate, i colpi, le bastonate, i beni bruciati o rubati, gli interrogatori e il numero degli scomparsi non hanno smesso di crescere dall'arrivo dell'invasore”, ha ricordato.
 
“Mentre, i nostri compatrioti dei campi della dignità”, assicurava riferendosi ai rifugiati saharawi che rimangono a Tinduf, “i nostri genitori, fratelli cugini o nipoti, affrontano un altro tipo di tortura, la fame”. Domandandosi, “la condanna alla denutrizione, alla malattia cronica o il trauma costante che genera la mancanza di futuro non sono forme più crudeli di tortura?”.
 
Anche l'attivista saharawi per i diritti umani nell'antica Villa Cisneros richiese: “È questa la pace dell'ONU? È questa la pace che nel 1992 vennero a difendere i caschi blu? Poiché le Nazioni Unite devono sapere che questa non è pace, che le sue truppe non proteggono nulla e che si limitano ad osservare come cresce la repressione, come truppe armate ed addestrate aggrediscono impunemente cittadini disarmati ed indifesi”.
 
El Mami ha fatto notare che l'ONU “deve sapere che questa pace non ci serve, genera morti e feriti e le vittime siamo soltanto noi, i saharawi”.
 
In questo senso l'attivista saharawi contro la tortura pretende “che la comunità internazionale si faccia carico delle proprie responsabilità ed estenda il mandato delle truppe della Missione delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale affinché venga aggiunga tra le sue funzioni quella di protezione dei civili saharawi, garantendo i loro diritti fondamentali, quelli che tutelano qualunque altro essere umano”.
 
Ha anche ammonito alle agenzie umanitarie delle Nazioni Unite “che la smettano di strumentalizzare i nostri rifugiati a Tinduf in modo funzionale agli interessi dell'aggressore e che la fame non ci piegherà, accrescerà solo la nostra determinazione nella ricerca della libertà”.
 
Infine, ha sollecitato l'ONU “affinché favorisca l'accesso nel territorio agli osservatori ed ai media internazionali indipendenti per mettere fine all’impunità favorita dal silenzio. Un silenzio che si è radicato in Marocco, chiudendo la nostra terra e trasformandola in una gigantesca prigione sotterranea nella quale i saharawi vivono incarcerati”.
 
El Mami Amar Salem si è quindi congedato dai presenti all'Incontro di Siviglia dicendo “Coraggio, il giorno della giustizia per il nostro popolo arriverà. Abbiate fiducia”.