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Stato Islamico: i "ribelli" siriani utilizzano da un anno le armi chimiche in modo massiccio in Siria ed Iraq

AC | solidarite-internationale-pcf.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

23/01/2015

Un rapporto dell'ONU conferma l'utilizzo da un anno di armi chimiche in Siria, senza ancora aver risolto la questione delle responsabilità. L'evoluzione del conflitto dopo un anno, in Iraq come in Siria, può aiutarci a individuare tali responsabilità e a contrastare l'intossicazione mediatica in atto.

Rammentiamoci del 21 agosto 2013: un attacco chimico di gas sarin colpisce la località di Ghouta, sobborgo di Damasco. Diverse centinaia di civili sono uccisi, le fonti sono divergenti e parlano di cifre tra i 300 e i 1.500 morti.

La Francia, gli Stati Uniti, si affrettano ad accusare il governo siriano e lanciano i preparativi per un attacco contro la Siria, in sostegno ai ribelli già in gran parte sotto egemonia islamica, da Al Nosra a Daech [o ISIS o ISIL].

Il rapporto consegnato martedì 6 gennaio 2015 al Consiglio di Sicurezza conferma l'utilizzo di gas al cloro: un'arma che non è nella lista delle armi chimiche, ma che tuttavia viene utilizzata come tale in tre villaggi siriani, a Idlib e Hama.

Il rapporto dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW in inglese) non si pronuncia sull'origine dell'attacco, né sull'identità del colpevole tra il governo siriano e i ribelli islamisti (The Guardian, 7 gennaio 2015).

Una risoluzione dell'ONU aveva imposto al governo siriano, nel settembre 2013, la distruzione delle sue armi chimiche. Ciò, secondo l'OPCW, sarebbe stato completamente realizzato nel dicembre 2014. Questa è l'occasione per tornare su un anno e mezzo di ricerca della verità in questa guerra di intensa propaganda, dove i fatti sembrano sempre più travolgere i ribelli.

Nel dicembre 2013, il celebre giornalista investigativo Seymour Hersh prova che la CIA aveva allertato il governo sul possesso di armi chimiche al gas sarin dall'inizio del 2013 da parte dei ribelli islamici di Al-Nosra.

Nel febbraio 2014, un gruppo della prestigiosa università americana MIT di Boston, guidata dal fisico Theodor Postol, ex-ispettore all'ONU sui missili Richard Lloyd, conferma in una relazione dettagliata che i missili contenenti armi chimiche sono stati sparati da una zona controllata completamente dai ribelli. Prove schiaccianti, ritenute credibili dagli esperti. L'ispettore capo dell'ONU sulle armi chimiche ha giudicato la relazione del MIT "una buona stima". Ciò non risolve interamente il mistero, ma spiega le riserve delle Nazioni Unite, rivela la manipolazione politica dei governi occidentali.

Il 2014 ha portato, tuttavia, nuovi sviluppi nel senso dell'imputazione ai ribelli dell'utilizzo massiccio di armi chimiche, che è aumentato dal settembre 2014. Almeno tre casi sono stati rilevati dalle autorità irachene centrali e dal governo regionale kurdo.

Il 22 settembre 2014, i combattenti dello Stato islamico (EI) hanno utilizzato gas al cloro a Saklaouiyah, 10 km al nord di Falluja, causando la morte di più di 300 soldati. È ciò che è stato riportato dai deputati iracheni del distretto di Falluja (Washington Post, 23 settembre).

Una settimana prima, il 15 settembre 2014, il gas al cloro è stato usato contro la polizia irachena a Balad, a 80 miglia a nord di Baghdad. 11 agenti di polizia sono stati ricoverati d'urgenza (Washington Post, 24 ottobre 2014).

In seguito è a Kobane, roccaforte della resistenza kurda all'avanzata islamista, che l'impiego di armi chimiche è stato nuovamente rilevato. A ottobre, decine di pazienti hanno lamentato dopo l'esplosione di una bomba, difficoltà a respirare, reazioni cutanee, bruciore agli occhi, conati di vomito.

Secondo i medici kurdi, è molto probabile che si tratti di una reazione all'uso di un gas di tipo chlorin (The Guardian, 24 ottobre 2014). Gli islamisti di EI avrebbero già tentato un attacco chimico a luglio contro il villaggio di Aviiko, a 12 km da Kobane.

Infine, un ultimo attacco è stato appena segnalato dalla stampa irachena (Iraqinews, 24 dicembre 2014) nella città di Hit, a ovest del paese, nella zona di Baghdadi e nella provincia di Anbar.

La zona è in stato di assedio, sottoposta a bombardamenti intensi da parte dello Stato islamico, ma anche al prosciugamento delle fonti d'acqua di una popolazione che soffre la fame e la mancanza di assistenza medica.

Anche se alcune zone d'ombra rimangono sull'attacco dell'agosto 2013, è ormai innegabile che lo Stato islamico ha scelto il bombardamento chimico come forma privilegiata per gli attacchi contro i combattenti ed i civili.

Questo dà credito a quello che il viceministro agli affari esteri siriano, Faisal Mekdad, affermava il 1° dicembre 2014 a una riunione dell'OPCW, cioè che il suo governo non aveva mai utilizzato armi chimiche durante la guerra, ma che invece dei gruppi terroristici "hanno utilizzato gas chlorins in molte zone della Siria e dell'Iraq".

L'OPCW ha confermato che il governo siriano aveva completamente distrutto le sue scorte di armi chimiche e che le sue preoccupazioni andavano ormai verso le scorte detenute in particolare da Israele ed Egitto. L'OPCW ha incaricato Israele di distruggere le sue (Haaretz, 12 dicembre 2014).

Più si va avanti, più si fanno evidenti le menzogne dei paesi occidentali su Siria e Iraq. Solo l'indignazione manipolata, "la strategia dello shock" attualmente all'opera in Francia - e che ha permesso di votare la prosecuzione delle operazioni militari - e in altri paesi, sembra poter ostacolare questa dura verità: quanto tempo tutto questo può ancora durare?


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