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Crisi in Sudan. Verso una nuova guerra contro un paese arabo?
Il
Darfour, provincia all'ovest del Sudan, vive una situazione sempre più
drammatica. Da un anno ci sono combattimenti , da una parte i ribelli, e
dall'altra l'esercito sudanese e delle milizie. Gli Stati Uniti esigono delle
sanzioni commerciali internazionali contro il paese e parlano anche di un
intervento militare, per "ragioni umanitarie".
Tony Busselen 21-07-2004
Verso una
nuova guerra contro un paese arabo? Intervista a Mohammed Hassan
Il punto di vista del Partito comunista del Sudan
Il Sudan in cifre
Verso una nuova guerra
contro un paese arabo?
Il ministro americano degli esteri, Colin
Powell, parla di epurazioni etniche nel Darfour, provincia all'ovest del Sudan
che sarebbero commesse dalle milizie arabe, in collaborazione con l'esercito
sudanese. Certi ambienti vicini alla Casa Bianca parlano anche di genocidio.
Mohammed Hassan, lei è un marxista ed ex diplomatico dell'Etipoia, paese vicino
al Sudan. Che cosa pensa di questo interesse americano?
Mohammed Hassan. Nel 1998, gli americani hanno organizzato una
guerra contro il Congo, paese vicino al Sudan. Hanno fatto pressione sul Ruanda
affinché invadesse il Congo. Hanno
armato il Ruanda e hanno mandato dei consiglieri militari per aiutare l'esercito
ruandese. Gli Stati Uniti stimavano che la guerra fosse necessaria per
mantenere il Congo sotto il loro controllo. La guerra è direttamente e
indirettamente costata la vita a 3,5 milioni di congolesi. Ed adesso, gli
stessi Stati Uniti vengono a dirci che sono molto preoccupati dalla situazione
umanitaria in Sudan e che sono molto inquieti perché il conflitto ha fatto già
almeno 10.000 morti.
L'imperialismo americano non ha avuto mai preoccupazione umanitarie e non si è
neppure mai preoccupato delle epurazioni. Gli americani si servono del dramma
della provincia del Darfour per soddisfare i loro interessi economici e
politici.
Il Sudan ha cominciato ad esportare petrolio nel 1999. L'anno scorso, questa
esportazione ha fruttato 1,2 miliardi di dollari. Nel 2005, saranno 2 miliardi
di dollari. Il più grande acquirente del petrolio sudanese è la Repubblica
popolare cinese. Ecco la vera ragione della preoccupazione americana.
Ma è questione di epurazioni etniche. La
comunità internazionale non deve intervenire?
Mohammed Hassan. Per rispondere a
questa domanda, occorre prima farsi un'idea chiara di quello che c'è dietro a
ciò che accade oggi.
I britannici hanno conquistato il Sudan alla fine del 19o secolo. Hanno unito
il paese all'Egitto. Fin dall'inizio della colonizzazione, hanno fatto del
Sudan un laboratorio della tecnica "dividere per regnare." La
propaganda razzista è stata inculcata fortemente nella popolazione. Un metodo
seguito da tutti i colonialisti, del resto. Basta vedere il Ruanda ed il
Burundi, dove i belgi sono responsabili della rivalità tra hutu e tutzi. In
Ruanda, ciò ha condotto a parecchi genocidi.
In Sudan, i colonizzatori britannici hanno insediato un'amministrazione
impregnata di spirito razzista ed etnico. Secondo queste idee, i sudanesi del
Nord, bianchi ed arabi, erano superiori alla popolazione nera del Sud, perché
erano più vicini alla "razza" europea.
Hanno portato queste concezioni razziste nella struttura amministrativa: il
Nord del Sudan è stato dal punto di vista amministrativo completamente separato
dal Sud, una forma di apartheid, in qualche modo. Il Nord era diretto dal
Cairo, in Egitto, il Sud dipendeva di Nairobi, in Kenya. I britannici hanno
aggiunto un sistema di distretti chiusi, (closed districts). Ciò ha reso quasi
impossibile la comunicazione interrompendo il commercio tradizionale, vecchio
di parecchi secoli, tra le due regioni. Le relazioni naturali tra le due
regioni sono state distrutte.
Al Nord, i britannici tolleravano l'islam e la lingua araba. Al Sud, ciò era
vietato.
Al Nord, è stata insediata un'amministrazione centralizzata, poggiante su dei
giovani sudanesi che avevano studiato nelle università egiziane. Al Sud, dei
governatori britannici regnavano in modo completamente arbitrario. Tutto come
in Congo belga, l'insegnamento, al Sud, è stato affidato ai missionari che
mantenevano la popolazione nel medio evo.
Alcuni anni prima dell'indipendenza, il 1 gennaio 1956, i britannici hanno
deciso di separare il Sudan dall'Egitto e hanno costretto il paese ad integrare
le sue regioni in un solo Stato. Ciò ha provocato la rivolta della piccola
élite del Sud-Sudan che temeva di cedere il suo potere al Nord.
In quel momento, c'erano molte probabilità di vedere il Sudan cercare alleanza
col vicino governo anticoloniale di Nasser in Egitto. Il motore di questa
tendenza era il Nord del Sudan. Ecco perché la Gran Bretagna non ha esitato a
sostenere l'élite del Sud contro il Nord. La guerra tra i Nord ed il Sud è
esplosa fin da prima dell'indipendenza.
Da allora, il paese è impantanato in una sanguinosa guerra civile, interrotta
solamente tra il 1972 e il 1983. Nel 1983, la zizzania ha ripreso vigore e la
guerra è ricominciata fino al nuovo accordo di pace concluso nell'aprile di
questo anno.
Ecco la storia del conflitto. I veri responsabili dei conflitti interetnici, i
colonizzatori, vorrebbero adesso intervenire per salvare il paese da questi
conflitti. È assurdo. L'Africa appartiene agli africani. L'accordo di pace del
1972 e quello dell'aprile 2004 tra i Nord ed il Sud sono stati il frutto del
lavoro degli stessi sudanesi. Un intervento degli Stati Uniti e della Gran
Bretagna significa una nuova ed ancora più grande dipendenza, una nuova forma
di colonialismo con cui il popolo soffrirà maggiormente. Non potrà uscire mai
della povertà economica e sociale, perché le materie prime non apparterranno
più al Sudan.
Il conflitto attuale non è tra il Nord ed i
Sud, ma tra il governo centrale e le province del Darfour. Di che cosa si
tratta?
Mohammed Hassan. La base del conflitto è sicuramente il grande ritardo
economico e sociale della provincia del Darfour.
E tuttavia, l'esplosione di violenza che si svolge da un anno è soprattutto la
conseguenza dell'ingerenza americana. Dalla metà degli anni 90, questa
ingerenza è sempre maggiore. Dapprima, gli americani hanno dato un appoggio
militare al movimento ribelle diretto da John Garang nel Sud. Se gli americani
fossero riusciti ad indebolire e dividere il paese, avrebbero solo più dovuto
raccogliere il bottino. Ma questo piccolo piano è fallito: il Nord ha tenuto
duro.
Gli americani hanno optato allora per una nuova tattica, fin dal 2000-2001: la
rimunerazione e la pressione diplomatica. Sono state levate le sanzioni
inflitte sotto la presidenza Clinton. Gli americani dicevano dunque: siamo
carini con voi, siate carini con noi. In principio, il governo del presidente
Ahmad al-Bashir ha risposto a questi corteggiamenti.
Così il controllo americano si è diventato via via intensificato. Un esempio ne
è il Sudan Peace Act che Bush ha fatto votare nel 2001. È una legge puramente
coloniale che metteva i negoziati tra il Nord ed i Sud direttamente sotto il
controllo degli americani.
I negoziati di pace sono durati 22 mesi. Il loro stato di avanzamento era
valutato ogni sei mesi, non dal popolo sudanese, ma dal Congresso americano, e
se i negoziatori ottenevano dei buoni risultati, il Congresso elargiva 100
milioni di dollari di aiuto all'anno. Uno dei negoziatori americani ha
dichiarato all'agenzia Reuters il 13 aprile:"Siamo alla 99a versione di un
accordo di pace. Riscrivo il testo ogni giorno. Penso che la versione
definitiva sarà pronta il 19 aprile. Finiranno bene per cedere." Solo per
dire fin dove è arrivato il controllo americano.
Ma questa strategia non ha ancora condotto ad una sottomissione definitiva del
governo centrale agli ordini americani. Gli americani vogliono sempre di più ed
vogliono andare sempre più lontano. Ogni concessione è seguita da una nuova
esigenza, fino alla schiavitù totale.
In questo contesto di ingerenza e di ricatto sempre più grandi ed apertamente
dichiarati, una parte dell'élite del Darfour ha creduto di poter ottenere una
fetta più grande parte del dolce sudanese, sperando di guadagnarlo con
l'appoggio degli Stati Uniti. Da un anno, certi capi di tribù non-arabe creano
delle milizie ed organizzano dei raid militari. All'inizio luglio, il capo
delle tribù arabe del Darfour, un giudice locale ed un direttore di banca sono
stati rapiti. Il governo ha reagito con la repressione, bombardamenti ed il
sostegno alle famose milizie Janjaweed.
Il conflitto non avrebbe preso mai questa ampiezza senza l'ingerenza continua
degli Stati Uniti che sostengono tutte le forze che possono contribuire
all'indebolimento del governo centrale.
Pensate che questa ingerenza crescente
condurrà ad un intervento militare?
Mohammed Hassan. L'occidente conta
abbastanza sostenitori all'intervento militare. La settimana scorsa, Powell ha
parlato di epurazione etnica ed il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ha
fatto nell'aprile scorso l'assurdo paragone col genocidio ruandese. Tutta
propaganda per preparare l'intervento.
E che dice l'Europa?
Mohammed Hassan. Il presidente del comitato militare dell'unione
europea, il generale Gustav Hagglund, ha dichiarato il 13 aprile che l'unione
europea potrebbe mandare delle truppe nel Sudan, sotto mandato dell'Onu.
L'Europa ha degli interessi da difendere in Sudan. L'impresa franco-belga Total
ha una concessione petrolifera di 120.000 km². La Germania ha anche delle
grandi ambizioni nella regione. Per esempio, il progetto di ferrovia che
collega i giacimenti petroliferi del Sud del Sudan al porto keniano di Mombasa,
attraverso l'Uganda. Il costo del progetto è stimato in 1,6 miliardi di
dollari.
Che cosa impedisce un intervento militare
occidentale?
Mohammed Hassan. In primo luogo, il popolo sudanese. Non accetterà
mai un intervento di questo tipo. Tutto come in Iraq, la maggior parte delle
frazioni sudanesi si uniranno in una guerra comune di resistenza.
Secondariamente, un intervento occidentale causerebbe un'enorme indignazione in
tutto il mondo arabo. Il 13 luglio, l'ambasciatore dell'Egitto nel Sudan, Ahmed
Abdel Halim, ha pubblicato una dichiarazione molto dura. L'Egitto è un vicino
alleato degli Stati Uniti, tuttavia, l'ambasciatore ha detto": La
questione del Darfour rappresenta la terza sfida per il mondo arabo, dopo la
Palestina e l'Iraq. Si sta tramando un complotto contro il Sudan. Washington e
Londra esagerano la crisi nel Darfour per screditare il Sudan e poterlo
condannare. Non tengono conto del contesto del conflitto e intravedono la
possibilità di attaccare il governo sudanese."
I 22 Stati membri della Lega araba hanno affermato unanimemente l'11 luglio
scorso che il problema deve essere risolto dai negoziati tra le due parti e che
un intervento o delle sanzioni non sono un buon metodo per riportare la calma
nella provincia. Gli Stati Uniti si attirerebbero ancora una volta la collera
di questi 22 paesi e dei loro 280 milioni di abitanti se perseguissero questo
piano. Ci si può chiedere quanto occorrerà ancora prima che l'indignazione
delle masse arabe si trasformi in movimento di massa contro i principali
pilastri del controllo occidentale in Medio Oriente, l'Arabia saudita, l'Egitto
e la Giordania.
Il terzo fattore di resistenza è l'opposizione internazionale all'ingerenza.
All'inizio di luglio, gli Stati Uniti hanno introdotto una proposta di
risoluzione al Consiglio di sicurezza dell'Onu, minacciosa di sanzioni. Il
testo ha cozzato contro una forte opposizione della Cina, della Russia, del
Brasile, dell'Algeria e del Pakistan. I grandi paesi non-imperialisti
considerano una minaccia diretta un'eventuale aggressione contro il Sudan.
Infine, ci sono anche molti dubbi nel campo europeo. L'Europa vuole lasciarsi
trascinare in una nuova guerra contro un paese arabo? La Francia ha espresso
delle grandi riserve rispetto alla proposta di risoluzione degli Stati Uniti al
Consiglio di sicurezza. La resistenza è anche grande tra le organizzazioni
non-governative europee. "Medici senza Frontiere" si è pronunciata contro
un intervento militare, perché farebbe nascere una situazione comparabile a
quella dell'Iraq.
Ma l'imperialismo americano ha sete di guerra. Un'accelerazione ed
un'estensione della guerra dal Medio Oriente verso l'Africa sono possibili. Il
9 luglio, il ministro degli esteri sudanese ha lanciato questo
avvertimento": Quelli che hanno trascinato il mondo nella guerra contro
l'Iraq non possono coinvolgere di nuovo il mondo in una guerra di cui sarà
difficile uscirne. C'è un complotto contro il Sudan, la sua identità e la sua
struttura, e dobbiamo essere vigili e pronti ad ogni eventualità."
Il punto di vista del Partito comunista del Sudan
Il partito comunista del Sudan (PCS) è stato fondato in 1946 ed è stato uno dei
più importanti partiti comunisti in Africa. In seno all'opposizione sudanese,
il PCS è quello che si oppone con più forza al Fronte islamico nazionale ed al
suo governo di Khartoum. Il PCS è un motore dell'alleanza democratica nazionale
alla quale appartengono 13 partiti politici, 57 federazioni sindacali e dei
movimenti di resistenza armata. Il partito si è fortemente opposto molto alle
guerre dirette dagli Stati Uniti contro l'Iugoslavia, l'Afghanistan e l'Iraq.
Nell'agosto del 2002 Il Comitato Centrale del PCS ha reso pubblica la seguente
dichiarazione: "L’esportazione di petrolio, oro e di altri minerali fa del
Sudan una delle regioni delle regioni dove ha luogo un conflitto internazionale
dove sono in gioco il petrolio ed altre materie prime. I monopoli americani
hanno visto con inquietudine l'entrata della Cina e della Malesia nel mercato
petrolifero sudanese che era dominato prima dalla società americana Chevron.
Dopo gli avvenimenti del 11 settembre 2001 e la partecipazione del governo del
Fronte islamico nazionale alla guerra americana "contro il
terrorismo", i monopoli americani si preparano a tornare al mercato
sudanese. Ciò fa parte del loro piano di dominio del petrolio africano, dal
Ciad all'Angola, passando dai Grandi Laghi. Per questo gli Stati Uniti hanno
preso l'iniziativa di fermare la guerra in Sudan e di stabilizzare la regione
petrolifera al sud del nostro paese. La "democrazia" e le
"riforme democratiche" erano solamente un affare di secondo ordine.
Gli Stati Uniti hanno i loro interessi ed i loro calcoli. Il nostro popolo ha i
suoi interessi. Il nostro popolo continuerà di battersi per la pace ed una
riforma democratica."
Il Sudan in cifre
Superficie: 2,5 milioni kmq
[Congo: 2,3 milioni kmq, Belgio: 30.000 kmq Italia: 301.000 kmq]
Frontiere: 7.700 chilometri. Paesi
vicini: Repubblica centrafricana, Ciad, Repubblica democratica del Congo,
Egitto, Etiopia, Kenya, Libia ed Uganda.
Linea costiera: 853 chilometri.
Materie prime: petrolio, rame,
cromo, zinco, mica, denaro, oro, tungsteno.
Problemi ecologici: erosione, desertificazione,
mancanza di acqua potabile, siccità periodiche.
Popolazione: 40 milioni.
Piramide delle età: 0-14 anni 44%,
15-64 anni 54%, più di 64 anni 2,3%.
Età media: 18 anni [Congo: 16
anni, Belgio: 40 anni.]
Mortalità infantile: 64 per mille
nuovi-nati viventi [Congo: 100 per mille, Belgio: 4,7 per mille]
Speranza di vita: 58 anni [Congo:
49 anni, Belgio: 78,5 anni]
Virus dell'AIDS: il 3% della
popolazione.
Religioni: il 70% musulmani
sunniti, 25% religioni locali, 5% cristiani.
Alfabetizzazione: il 61% della
popolazione di più di 15 anni sa leggere e scrivere [Congo: il 65,5%, Belgio:
il 98%]
Governo: colpo di stato militare nel 1989. Il
governo è composto di militari e di membri del Partito del congresso nazionale
(PCN), il vecchio Fronte islamico nazionale.
Capo dello stato: il presidente e
primo ministro sono il tenente-generale Umar Hassan Ahmad al-Bashir. È stato
rieletto presidente all'epoca di elezioni organizzate nel dicembre 2000.
Prodotto nazionale lordo: 71
miliardi di dollari [Congo: 35,6 miliardi di dollari, Belgio: 300 miliardi di
dollari]
Crescita reale del PNL: il 6,1%
nel 2003 [Congo: il 6%, Belgio: il 0,8%]
Bilancio: 1,4 miliardo di dollari
[Congo: 269 milioni di dollari, Belgio: 113 miliardi di dollari]
Disoccupazione: il 18% [Congo:
sconosciuto, Belgio: il 9%]
Impiego: 80% agricoltura, 7%
industria, 13% amministrazione.
Riserve di petrolio: 631 milioni
bbl, 1 bbl = 1 miliardo di barili, 1 barile = 159 litri, [Arabia saudita: 260
miliardi bbl, Venezuela: 64 miliardi bbl, Angola: 7 miliardi bbl.]
Riserve di gas: 100 miliardi di m³
[Arabia saudite: 6,3 trilioni di m³, Venezuela: 4,2 trilioni di m³, Angola: 80
miliardi di m³]
Partner di esportazione:
Repubblica popolare cinese (il 53%) Giappone (il 13%)
Partner di importazione: Repubblica
popolare cinese (il 20%) Arabia saudita (il 7,5%) India (il 5,6%) Gran Bretagna
(il 5,4%) Germania (il 5,4%) Indonesia (il 4,7%) Australia (il 4%)
Debito esterno: 21 miliardi di
dollari, Congo: 12 miliardi di dollari.