www.resistenze.org - popoli resistenti - sudan - 26-07-04

da PTB - Parti du Travail de Belgique - www.ptb.be
http://www.ptb.be/scripts/article.phtml?section=A1AAABBRBH&obid=24235

Crisi in Sudan. Verso una nuova guerra contro un paese arabo?


Il Darfour, provincia all'ovest del Sudan, vive una situazione sempre più drammatica. Da un anno ci sono combattimenti , da una parte i ribelli, e dall'altra l'esercito sudanese e delle milizie. Gli Stati Uniti esigono delle sanzioni commerciali internazionali contro il paese e parlano anche di un intervento militare, per "ragioni umanitarie".

Tony Busselen 21-07-2004

Verso una nuova guerra contro un paese arabo? Intervista a Mohammed Hassan
Il punto di vista del Partito comunista del Sudan
Il Sudan in cifre

Verso una nuova guerra contro un paese arabo?

Il ministro americano degli esteri, Colin Powell, parla di epurazioni etniche nel Darfour, provincia all'ovest del Sudan che sarebbero commesse dalle milizie arabe, in collaborazione con l'esercito sudanese. Certi ambienti vicini alla Casa Bianca parlano anche di genocidio. Mohammed Hassan, lei è un marxista ed ex diplomatico dell'Etipoia, paese vicino al Sudan. Che cosa pensa di questo interesse americano?

Mohammed Hassan.
Nel 1998, gli americani hanno organizzato una guerra contro il Congo, paese vicino al Sudan. Hanno fatto pressione sul Ruanda affinché  invadesse il Congo. Hanno armato il Ruanda e hanno mandato dei consiglieri militari per aiutare l'esercito ruandese. Gli Stati Uniti stimavano che la guerra fosse necessaria per mantenere il Congo sotto il loro controllo. La guerra è direttamente e indirettamente costata la vita a 3,5 milioni di congolesi. Ed adesso, gli stessi Stati Uniti vengono a dirci che sono molto preoccupati dalla situazione umanitaria in Sudan e che sono molto inquieti perché il conflitto ha fatto già almeno 10.000 morti.

L'imperialismo americano non ha avuto mai preoccupazione umanitarie e non si è neppure mai preoccupato delle epurazioni. Gli americani si servono del dramma della provincia del Darfour per soddisfare i loro interessi economici e politici.

Il Sudan ha cominciato ad esportare petrolio nel 1999. L'anno scorso, questa esportazione ha fruttato 1,2 miliardi di dollari. Nel 2005, saranno 2 miliardi di dollari. Il più grande acquirente del petrolio sudanese è la Repubblica popolare cinese. Ecco la vera ragione della preoccupazione americana.

Ma è questione di epurazioni etniche. La comunità internazionale non deve intervenire?

Mohammed Hassan. Per rispondere a questa domanda, occorre prima farsi un'idea chiara di quello che c'è dietro a ciò che accade oggi.
I britannici hanno conquistato il Sudan alla fine del 19o secolo. Hanno unito il paese all'Egitto. Fin dall'inizio della colonizzazione, hanno fatto del Sudan un laboratorio della tecnica "dividere per regnare." La propaganda razzista è stata inculcata fortemente nella popolazione. Un metodo seguito da tutti i colonialisti, del resto. Basta vedere il Ruanda ed il Burundi, dove i belgi sono responsabili della rivalità tra hutu e tutzi. In Ruanda, ciò ha condotto a parecchi genocidi.

In Sudan, i colonizzatori britannici hanno insediato un'amministrazione impregnata di spirito razzista ed etnico. Secondo queste idee, i sudanesi del Nord, bianchi ed arabi, erano superiori alla popolazione nera del Sud, perché erano più vicini alla "razza" europea.

Hanno portato queste concezioni razziste nella struttura amministrativa: il Nord del Sudan è stato dal punto di vista amministrativo completamente separato dal Sud, una forma di apartheid, in qualche modo. Il Nord era diretto dal Cairo, in Egitto, il Sud dipendeva di Nairobi, in Kenya. I britannici hanno aggiunto un sistema di distretti chiusi, (closed districts). Ciò ha reso quasi impossibile la comunicazione interrompendo il commercio tradizionale, vecchio di parecchi secoli, tra le due regioni. Le relazioni naturali tra le due regioni sono state distrutte.

Al Nord, i britannici tolleravano l'islam e la lingua araba. Al Sud, ciò era vietato.
Al Nord, è stata insediata un'amministrazione centralizzata, poggiante su dei giovani sudanesi che avevano studiato nelle università egiziane. Al Sud, dei governatori britannici regnavano in modo completamente arbitrario. Tutto come in Congo belga, l'insegnamento, al Sud, è stato affidato ai missionari che mantenevano la popolazione nel medio evo.

Alcuni anni prima dell'indipendenza, il 1 gennaio 1956, i britannici hanno deciso di separare il Sudan dall'Egitto e hanno costretto il paese ad integrare le sue regioni in un solo Stato. Ciò ha provocato la rivolta della piccola élite del Sud-Sudan che temeva di cedere il suo potere al Nord.

In quel momento, c'erano molte probabilità di vedere il Sudan cercare alleanza col vicino governo anticoloniale di Nasser in Egitto. Il motore di questa tendenza era il Nord del Sudan. Ecco perché la Gran Bretagna non ha esitato a sostenere l'élite del Sud contro il Nord. La guerra tra i Nord ed il Sud è esplosa fin da prima dell'indipendenza.

Da allora, il paese è impantanato in una sanguinosa guerra civile, interrotta solamente tra il 1972 e il 1983. Nel 1983, la zizzania ha ripreso vigore e la guerra è ricominciata fino al nuovo accordo di pace concluso nell'aprile di questo anno.

Ecco la storia del conflitto. I veri responsabili dei conflitti interetnici, i colonizzatori, vorrebbero adesso intervenire per salvare il paese da questi conflitti. È assurdo. L'Africa appartiene agli africani. L'accordo di pace del 1972 e quello dell'aprile 2004 tra i Nord ed il Sud sono stati il frutto del lavoro degli stessi sudanesi. Un intervento degli Stati Uniti e della Gran Bretagna significa una nuova ed ancora più grande dipendenza, una nuova forma di colonialismo con cui il popolo soffrirà maggiormente. Non potrà uscire mai della povertà economica e sociale, perché le materie prime non apparterranno più al Sudan.

Il conflitto attuale non è tra il Nord ed i Sud, ma tra il governo centrale e le province del Darfour. Di che cosa si tratta?

Mohammed Hassan.
La base del conflitto è sicuramente il grande ritardo economico e sociale della provincia del Darfour.
E tuttavia, l'esplosione di violenza che si svolge da un anno è soprattutto la conseguenza dell'ingerenza americana. Dalla metà degli anni 90, questa ingerenza è sempre maggiore. Dapprima, gli americani hanno dato un appoggio militare al movimento ribelle diretto da John Garang nel Sud. Se gli americani fossero riusciti ad indebolire e dividere il paese, avrebbero solo più dovuto raccogliere il bottino. Ma questo piccolo piano è fallito: il Nord ha tenuto duro.

Gli americani hanno optato allora per una nuova tattica, fin dal 2000-2001: la rimunerazione e la pressione diplomatica. Sono state levate le sanzioni inflitte sotto la presidenza Clinton. Gli americani dicevano dunque: siamo carini con voi, siate carini con noi. In principio, il governo del presidente Ahmad al-Bashir ha risposto a questi corteggiamenti.

Così il controllo americano si è diventato via via intensificato. Un esempio ne è il Sudan Peace Act che Bush ha fatto votare nel 2001. È una legge puramente coloniale che metteva i negoziati tra il Nord ed i Sud direttamente sotto il controllo degli americani.

I negoziati di pace sono durati 22 mesi. Il loro stato di avanzamento era valutato ogni sei mesi, non dal popolo sudanese, ma dal Congresso americano, e se i negoziatori ottenevano dei buoni risultati, il Congresso elargiva 100 milioni di dollari di aiuto all'anno. Uno dei negoziatori americani ha dichiarato all'agenzia Reuters il 13 aprile:"Siamo alla 99a versione di un accordo di pace. Riscrivo il testo ogni giorno. Penso che la versione definitiva sarà pronta il 19 aprile. Finiranno bene per cedere." Solo per dire fin dove è arrivato il controllo americano.

Ma questa strategia non ha ancora condotto ad una sottomissione definitiva del governo centrale agli ordini americani. Gli americani vogliono sempre di più ed vogliono andare sempre più lontano. Ogni concessione è seguita da una nuova esigenza, fino alla schiavitù totale.

In questo contesto di ingerenza e di ricatto sempre più grandi ed apertamente dichiarati, una parte dell'élite del Darfour ha creduto di poter ottenere una fetta più grande parte del dolce sudanese, sperando di guadagnarlo con l'appoggio degli Stati Uniti. Da un anno, certi capi di tribù non-arabe creano delle milizie ed organizzano dei raid militari. All'inizio luglio, il capo delle tribù arabe del Darfour, un giudice locale ed un direttore di banca sono stati rapiti. Il governo ha reagito con la repressione, bombardamenti ed il sostegno alle famose milizie Janjaweed.

Il conflitto non avrebbe preso mai questa ampiezza senza l'ingerenza continua degli Stati Uniti che sostengono tutte le forze che possono contribuire all'indebolimento del governo centrale.

Pensate che questa ingerenza crescente condurrà ad un intervento militare?

Mohammed Hassan. L'occidente conta abbastanza sostenitori all'intervento militare. La settimana scorsa, Powell ha parlato di epurazione etnica ed il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ha fatto nell'aprile scorso l'assurdo paragone col genocidio ruandese. Tutta propaganda per preparare l'intervento.

E che dice l'Europa?

Mohammed Hassan.
Il presidente del comitato militare dell'unione europea, il generale Gustav Hagglund, ha dichiarato il 13 aprile che l'unione europea potrebbe mandare delle truppe nel Sudan, sotto mandato dell'Onu. L'Europa ha degli interessi da difendere in Sudan. L'impresa franco-belga Total ha una concessione petrolifera di 120.000 km². La Germania ha anche delle grandi ambizioni nella regione. Per esempio, il progetto di ferrovia che collega i giacimenti petroliferi del Sud del Sudan al porto keniano di Mombasa, attraverso l'Uganda. Il costo del progetto è stimato in 1,6 miliardi di dollari.

Che cosa impedisce un intervento militare occidentale?

Mohammed Hassan.
In primo luogo, il popolo sudanese. Non accetterà mai un intervento di questo tipo. Tutto come in Iraq, la maggior parte delle frazioni sudanesi si uniranno in una guerra comune di resistenza.

Secondariamente, un intervento occidentale causerebbe un'enorme indignazione in tutto il mondo arabo. Il 13 luglio, l'ambasciatore dell'Egitto nel Sudan, Ahmed Abdel Halim, ha pubblicato una dichiarazione molto dura. L'Egitto è un vicino alleato degli Stati Uniti, tuttavia, l'ambasciatore ha detto": La questione del Darfour rappresenta la terza sfida per il mondo arabo, dopo la Palestina e l'Iraq. Si sta tramando un complotto contro il Sudan. Washington e Londra esagerano la crisi nel Darfour per screditare il Sudan e poterlo condannare. Non tengono conto del contesto del conflitto e intravedono la possibilità di attaccare il governo sudanese."

I 22 Stati membri della Lega araba hanno affermato unanimemente l'11 luglio scorso che il problema deve essere risolto dai negoziati tra le due parti e che un intervento o delle sanzioni non sono un buon metodo per riportare la calma nella provincia. Gli Stati Uniti si attirerebbero ancora una volta la collera di questi 22 paesi e dei loro 280 milioni di abitanti se perseguissero questo piano. Ci si può chiedere quanto occorrerà ancora prima che l'indignazione delle masse arabe si trasformi in movimento di massa contro i principali pilastri del controllo occidentale in Medio Oriente, l'Arabia saudita, l'Egitto e la Giordania.

Il terzo fattore di resistenza è l'opposizione internazionale all'ingerenza. All'inizio di luglio, gli Stati Uniti hanno introdotto una proposta di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell'Onu, minacciosa di sanzioni. Il testo ha cozzato contro una forte opposizione della Cina, della Russia, del Brasile, dell'Algeria e del Pakistan. I grandi paesi non-imperialisti considerano una minaccia diretta un'eventuale aggressione contro il Sudan.

Infine, ci sono anche molti dubbi nel campo europeo. L'Europa vuole lasciarsi trascinare in una nuova guerra contro un paese arabo? La Francia ha espresso delle grandi riserve rispetto alla proposta di risoluzione degli Stati Uniti al Consiglio di sicurezza. La resistenza è anche grande tra le organizzazioni non-governative europee. "Medici senza Frontiere" si è pronunciata contro un intervento militare, perché farebbe nascere una situazione comparabile a quella dell'Iraq.

Ma l'imperialismo americano ha sete di guerra. Un'accelerazione ed un'estensione della guerra dal Medio Oriente verso l'Africa sono possibili. Il 9 luglio, il ministro degli esteri sudanese ha lanciato questo avvertimento": Quelli che hanno trascinato il mondo nella guerra contro l'Iraq non possono coinvolgere di nuovo il mondo in una guerra di cui sarà difficile uscirne. C'è un complotto contro il Sudan, la sua identità e la sua struttura, e dobbiamo essere vigili e pronti ad ogni eventualità."


Il punto di vista del Partito comunista del Sudan

Il partito comunista del Sudan (PCS) è stato fondato in 1946 ed è stato uno dei più importanti partiti comunisti in Africa. In seno all'opposizione sudanese, il PCS è quello che si oppone con più forza al Fronte islamico nazionale ed al suo governo di Khartoum. Il PCS è un motore dell'alleanza democratica nazionale alla quale appartengono 13 partiti politici, 57 federazioni sindacali e dei movimenti di resistenza armata. Il partito si è fortemente opposto molto alle guerre dirette dagli Stati Uniti contro l'Iugoslavia, l'Afghanistan e l'Iraq.

Nell'agosto del 2002 Il Comitato Centrale del PCS ha reso pubblica la seguente dichiarazione: "L’esportazione di petrolio, oro e di altri minerali fa del Sudan una delle regioni delle regioni dove ha luogo un conflitto internazionale dove sono in gioco il petrolio ed altre materie prime. I monopoli americani hanno visto con inquietudine l'entrata della Cina e della Malesia nel mercato petrolifero sudanese che era dominato prima dalla società americana Chevron. Dopo gli avvenimenti del 11 settembre 2001 e la partecipazione del governo del Fronte islamico nazionale alla guerra americana "contro il terrorismo", i monopoli americani si preparano a tornare al mercato sudanese. Ciò fa parte del loro piano di dominio del petrolio africano, dal Ciad all'Angola, passando dai Grandi Laghi. Per questo gli Stati Uniti hanno preso l'iniziativa di fermare la guerra in Sudan e di stabilizzare la regione petrolifera al sud del nostro paese. La "democrazia" e le "riforme democratiche" erano solamente un affare di secondo ordine. Gli Stati Uniti hanno i loro interessi ed i loro calcoli. Il nostro popolo ha i suoi interessi. Il nostro popolo continuerà di battersi per la pace ed una riforma democratica."


Il Sudan in cifre

Superficie: 2,5 milioni kmq [Congo: 2,3 milioni kmq, Belgio: 30.000 kmq Italia: 301.000 kmq]
Frontiere:
7.700 chilometri. Paesi vicini: Repubblica centrafricana, Ciad, Repubblica democratica del Congo, Egitto, Etiopia, Kenya, Libia ed Uganda.
Linea costiera: 853 chilometri.
Materie prime: petrolio, rame, cromo, zinco, mica, denaro, oro, tungsteno.
Problemi ecologici: erosione, desertificazione, mancanza di acqua potabile, siccità periodiche.
Popolazione:
40 milioni.
Piramide delle età: 0-14 anni 44%, 15-64 anni 54%, più di 64 anni 2,3%.
Età media: 18 anni [Congo: 16 anni, Belgio: 40 anni.]
Mortalità infantile: 64 per mille nuovi-nati viventi [Congo: 100 per mille, Belgio: 4,7 per mille]
Speranza di vita: 58 anni [Congo: 49 anni, Belgio: 78,5 anni]
Virus dell'AIDS: il 3% della popolazione.
Religioni: il 70% musulmani sunniti, 25% religioni locali, 5% cristiani.
Alfabetizzazione: il 61% della popolazione di più di 15 anni sa leggere e scrivere [Congo: il 65,5%, Belgio: il 98%]
Governo: colpo di stato militare nel 1989. Il governo è composto di militari e di membri del Partito del congresso nazionale (PCN), il vecchio Fronte islamico nazionale.
Capo dello stato: il presidente e primo ministro sono il tenente-generale Umar Hassan Ahmad al-Bashir. È stato rieletto presidente all'epoca di elezioni organizzate nel dicembre 2000.
Prodotto nazionale lordo: 71 miliardi di dollari [Congo: 35,6 miliardi di dollari, Belgio: 300 miliardi di dollari]
Crescita reale del PNL: il 6,1% nel 2003 [Congo: il 6%, Belgio: il 0,8%]
Bilancio: 1,4 miliardo di dollari [Congo: 269 milioni di dollari, Belgio: 113 miliardi di dollari]
Disoccupazione: il 18% [Congo: sconosciuto, Belgio: il 9%]
Impiego: 80% agricoltura, 7% industria, 13% amministrazione.
Riserve di petrolio: 631 milioni bbl, 1 bbl = 1 miliardo di barili, 1 barile = 159 litri, [Arabia saudita: 260 miliardi bbl, Venezuela: 64 miliardi bbl, Angola: 7 miliardi bbl.]
Riserve di gas: 100 miliardi di m³ [Arabia saudite: 6,3 trilioni di m³, Venezuela: 4,2 trilioni di m³, Angola: 80 miliardi di m³]
Partner di esportazione: Repubblica popolare cinese (il 53%) Giappone (il 13%)
Partner di importazione: Repubblica popolare cinese (il 20%) Arabia saudita (il 7,5%) India (il 5,6%) Gran Bretagna (il 5,4%) Germania (il 5,4%) Indonesia (il 4,7%) Australia (il 4%)
Debito esterno: 21 miliardi di dollari, Congo: 12 miliardi di dollari.