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Gli interessi petroliferi in Sudan dietro la
risoluzione Onu
Mikhail Zygar 05/10/2004
Washington vuole imporre al Sudan un embargo
petrolifero che impedirebbe a quel paese di vendere il proprio petrolio. Questa
iniziativa è diretta contro gli interessi petroliferi che Cina, India e Russia
hanno in Sudan. E’ stata avanzata nell’interesse dei conglomerati
anglo-americani, il cui obiettivo è stabilire un monopolio sul petrolio e sugli
oleodotti africani.
Il 27 luglio gli Stati Uniti hanno presentato la prima stesura della loro
risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il testo originale
era alquanto rigido: Washington minacciava Karthoum con sanzioni (soprattutto
un embargo sugli armamenti) se il governo non fosse riuscito, nell’immediato
futuro, a risolvere la crisi creatasi nella provincia di Darfur, che si trova
nella parte occidentale del paese.
La crisi umanitaria nel Darfur è cominciata circa 18 mesi fa, all’inizio del
2003, quando le popolazioni locali si sono ribellate contro il governo arabo
del Sudan. La provincia di Darfur è popolata, a differenza del resto del paese,
da tribù africane. I residenti locali accusavano il governo di discriminazione
nei loro confronti e di cercare di “arabizzare” il Darfur. Le forze inviate per
sopprimere la ribellione includevano sia l’esercito regolare del Sudan che i
militanti di un movimento armato filogovernativo chiamato Janjaweed. Queste
forze hanno dato inizio a una campagna di pulizia etnica nella quale,negli
ultimi 17 mesi, sono state uccise circa 30000 persone.
Le Nazioni Unite e gli Stati Uniti hanno praticamente passato un anno intero a
negoziare con le autorità del Sudan, invitandole a fermare le atrocità e a disarmare
il movimento Janjaweed. Le organizzazioni umanitarie hanno affermato, per tutto
il tempo, che i militanti di Janjaweed sono sostenuti dal governo. Infine, il
congresso degli Stati Uniti ha dichiarato, la scorsa settimana, che intende
mettere fine alla crisi e ha accusato il governo del Sudan di aver direttamente
condotto quello che si è trasformato in genocidio.
Il Segretario di Stato Colin Powell ha immediatamente presentato la questione
alle Nazioni Unite, ma a quel punto è emerso che la determinazione degli Stati
Uniti non era per nulla condivisa da tutti i membri del Consiglio di Sicurezza
dell’ONU. Mentre gli Stati Uniti volevano applicare sanzioni contro Khartoum, e
Gran Bretagna e Australia addirittura facevano emergere la possibilità di un intervento
militare, Russia, Cina e Pakistan si sono opposte fermamente a ogni azione
contro il Sudan. “Suggeriamo di
lasciare al governo del Sudan un breve ma sufficiente intervallo di tempo nel
quale possa tornare sulla retta via”, ha detto il vice ministro degli
Esteri russo Yury Fedotov.
La crisi del Sudan ha ricordato a molti osservatori la situazione irachena di
due anni fa, quando gli Stati Uniti spingevano fortemente per una risoluzione
delle Nazioni Unite che desse il via libera a una azione militare contro
Baghdad. L'attualesituazione in Sudan ha un ulteriore punto in comune con la
situazione irachena di due anni fa: il fattore petrolifero. Il Sudan possiede
una considerevole ricchezza petrolifera, le sue riserve sono stimate a due
miliardi di barili.
L’industria petrolifera del Sudan è attualmente suddivisa tra la compagnia
petrolifera nazionale, la CNPC cinese, la compagnia francese Total, la
malesiana Petronas e la ONGC indiana. Le compagnie straniere possiedono la
maggioranza delle concessioni e i giacimenti della parte meridionale di Darfur
sono stati sviluppati dalla Cina. Anche la Russia ha interessi significativi in
Sudan. Proprio ieri la compagnia Stroitransgaz (che si occupa di costruzioni
per il trasporto del gas) ha annunciato di avere piani per la costruzione di
una sezione dell’oleodotto nel bacino del Melut in Sudan per una lunghezza di
366 chilometri. La Russia guarda, inoltre, al Sudan come a un potenziale
mercato delle armi. La scorsa settimana, la società produttrice di aerei MIG, ha
ultimato la consegna di dodici caccia MIG-29 in Sudan. Ovviamente, Mosca e
Beijing hanno preso le difese di Khartoum, affermando che sarebbe prematuro
intervenire nel disastro umanitario di Darfur.
Negli ultimi giorni, gli Stati Uniti sono stati impegnati in consultazioni
intensive per assicurarsi l’approvazione della loro risoluzione presso il
Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ufficiali dell’ambasciata statunitense hanno
riferito al quotidiano Kommersant che la vice segretaria di Stato Elizabeth
Jones ha discusso, riguardo a questo argomento, con il vice ministro degli
Esteri russo Sergei Kislyak a Mosca.
La conclusione è che è stato raggiunto un compromesso temporaneo riguardo alle
sanzioni contro il Sudan: gli Stati Uniti hanno accettato di cancellare la
parola “sanzioni” dal testo della risoluzione e di sostituirla con il più
fumoso termine “misure”. La versione finale della risoluzione, che sarà
approvata all’ unanimità, chiede al governo del Sudan di disarmare da solo i
militanti. Ha un mese di tempo per ottemperare all’ordine. Passato un mese, il
Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan dovrà fare rapporto al
Consiglio di Sicurezza a proposito della situazione a Darfur. Sulla base della
sua relazione, il Consiglio deciderà se prendere “misure” contro il Sudan.
La poca incisività della risoluzione è chiaramente solo l’inizio di
un'ulteriore crisi in Sudan...
Nota dell’editore:
Washington vuole imporre al Sudan un embargo petrolifero che impedirebbe a quel
paese di vendere il proprio petrolio.
Questa iniziativa, di cui si è cominciato a parlare tra i membri del Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite, è diretta contro gli interessi petroliferi
che Cina, India e Russia hanno in Sudan. E’ stata avanzata nell’interesse dei
conglomerati petroliferi anglo-americani, il cui obiettivo è stabilire un
monopolio sul petrolio e gli oleodotti africani.
La risoluzione delle Nazioni Unite 1556 rappresenta un primo passo per
giustificare un “intervento umanitario” e l’invio di ispettori internazionali. Con
ogni probabilità, la Cina imporrà il veto, visto che la risoluzione minaccia i
suoi interessi petroliferi in Sudan.
Il testo della risoluzione 1556
Fonte: http://www.globalresearch.ca/articles/ZYG409A.html
Tradotto da Anna Temellini per Nuovi Mondi Media
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