www.resistenze.org - popoli resistenti - spagna - 26-11-12 - n. 431

da elpravda.blogspot.it
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Crisi e femminilizzazione della povertà
 
Judit Sparga
 
26/11/2012
 
Se i diritti della classe lavoratrice non vengono mai regalati nei paesi capitalisti, i diritti delle donne non fanno eccezione alcuna.
 
I limitati e insufficienti diritti conquistati dalla donna sono legati in primo luogo alla sua lotta e, in secondo luogo, all'esistenza di un blocco socialista, nel quale le donne sono state protagoniste fin dall'inizio, ottenendo una serie di diritti nel lavoro, nel sociale, a livello familiare e di uguaglianza, impensabili nei paesi capitalisti.
 
Per fare qualche esempio: donne completamente integrate nel mercato del lavoro, salari parificati ai compagni maschi secondo il principio "uguale lavoro, uguale salario", aiuti e sostegno alla maternità, vasta rete di asili e spazi per bambini gratuiti e con orario esteso, socializzazione del lavoro di cura verso i minori e le persone non autosufficienti, facilitazioni nel momento di decidere su relazioni familiari e maternità... tutte realtà che collocavano la donna in un stato molto più avanzato di quello che attualmente si riscontra nei paesi capitalisti e che, dopo il crollo del blocco socialista, la collocarono, come la maggior parte della popolazione di questi paesi, in condizioni di totale miseria e povertà, essendo le donne le più svantaggiate.
 
Il crollo del blocco socialista non colpì solo quei paesi che avevano goduto del socialismo, ma ebbe anche influenza enorme sul resto dei paesi. Le conseguenze per la classe operaia in generale e per la donna in particolare, sono state una progressiva perdita di diritti che hanno influenza direttamente le nostre condizioni di lavoro e di vita.
 
Il termine "femminilizzazione" della povertà, ora di moda nel contesto attuale di crisi, non è affatto nuovo ed era presente già prima del 2007, insieme a molti altri fenomeni come la precarietà dei giovani, delle donne e degli immigranti, la disoccupazione strutturale (2 milioni di lavoratori/trici), bassi salari o sfratti.
 
Ovviamente, tutti questi problemi propri del capitalismo, sono aumentati in questo periodo di crisi sistemica nel quale il capitale necessita distruggere forze produttive e creare nuovi mercati per aumentare i suoi profitti. In questo senso, si sta producendo un attacco brutale ai diritti della classe lavoratrice in generale e alle donne in particolare.
 
Le donne sono il genere che più soffre il capitalismo e la sua crisi. Se generalmente nel capitalismo il nostro ruolo ha una bassa quota di rappresentatività, che diminuisce principalmente all'interno della casa, così come ha un ruolo sussidiario rispetto a quello dell'uomo nel mercato lavorativo, tutto ciò aumenta nei periodi di crisi. Le donne sono le più soggette ai contratti determinati, discontinui, di tirocinio o sostituzione, essendo sempre più facile e più economico licenziarle. Siamo noi donne che captiamo buona parte del lavoro sommerso, con tutto ciò che comporta economicamente e tutto ciò che ne deriva (assenza di indennità di disoccupazione, pensioni, diritto alla previdenza sociale...). C'è un divario di più del 30% di stipendio tra noi e i nostri compagni maschi, siamo noi che realizziamo la maggior parte del lavoro non remunerato.
 
All'inizio di questo nuovo periodo di crisi strutturale, abbiamo dovuto combattere con l'inganno che questa era "una nuova opportunità per la donna e per l'uguaglianza."
 
Essendo settori come l'edilizia o l'industria, principalmente occupati da uomini, i più colpiti in principio, c'è stato un afflusso di donne nel mercato del lavoro. Ma il fatto di avere un lavoro non significa mantenere condizioni di vita degne e certamente questo è quello che è successo alle donne che sono entrate nel mercato del lavoro. Le condizioni dei posti di lavoro che occupavano non permettevano la loro indipendenza economica, neanche un aiuto decente all'economia familiare. Parliamo di settori molto precarizzati e con pessime condizioni, come i servizi sociali o di cura: contratti a tempo parziali, bassi salari, alta temporaneità…Inoltre, questo nuovo inganno del sistema è durato poco, poiché questi settori sono stati subito dopo attaccati, accrescendo pertanto la disoccupazione femminile.
 
In quanto alla disoccupazione, bisogna tenere conto che, sebbene il numero totale di disoccupati maschi è superiore a quello di donne, il tasso di attività di queste è minore di quello degli uomini e il tasso di disoccupazione femminile è comunque maggiore di quello maschile.
 
Particolarmente preoccupante è il tasso di disoccupazione di donne giovani tra i 16 e i 25 anni (se si considera che il tasso di disoccupazione si misura solo in funzione delle donne che cercano lavoro, è evidente che in realtà è maggiore), che non accedono al mercato lavorativo e rimangono soggette all'ambito domestico, private di qualunque tipo di reddito, per minimo che sia.
 
Ma anche quando siano in stato di disoccupazione, i tipi di contratti, la scarsa quota di previdenza sociale e i salari da miseria, fanno si che le loro indennità siano di un infimo ammontare e per un minor tempo.
 
Lo stesso vale per le pensioni, che per le donne sono di minore ammontare in ogni caso. Inoltre, riforme come quella chiamata "pensionazo" accentueranno in futuro questa situazione di femminilizzazione della povertà, potendo aspirare ancor meno a una pensione decente, in particolar modo per i bassi salari o i contributi irregolari alla previdenza sociale.
 
I tagli e la perdita di diritti per la classe lavoratrice ci colpiscono in maniera particolare. Per fare un esempio, l'ultimo taglio del 15% dei servizi sociali ci dissangua, poiché implica che tutto ciò che non è più a carico dello stato a causa di questo taglio (soprattutto la cura delle persone non autosufficienti), sarà a carico delle donne, gratuitamente.
 
Ci troviamo in un periodo in cui i tassi di povertà aumentano in modo allarmante. Tra questi tassi di povertà, la povertà tra le donne aumenta in modo speciale…. La maggioranza delle famiglie povere è diretta da una donna o sono famiglie in cui vive una donna sola.
 
E tuttavia ricorre "la giornata contro la violenza di genere". Come se tutto quello anzidetto, conseguenza del sistema stesso, non fosse violenza contro la classe lavoratrice in generale e le donne in particolare. Non c'è niente di più grave e sanguinario che una donna che viene uccisa e sono già più di 90 quest'anno. Ma questo non è altro che una conseguenza del sistema.
 
Non ci si può dispiacere delle conseguenze, senza attaccare le cause. Non ci si può dispiacere di una morte e non attaccare il sistema capitalista che provoca precedentemente tutte le situazioni menzionate lasciandoci in una condizione di totale assenza di tutele.
 
Non ci si può dispiacere di una morte e non attaccare il patriarcato che ritorce sulla donna la colpa della violenza subita (non ha osato denunciare, è una codarda, come può una donna permettere che gli venga fatto questo...) e che ci relega in retribuzioni che ci collocano in una situazione di inferiorità all'uomo in tutti i sensi. L'alleanza tra il capitalismo e il patriarcato è criminale e ha conseguenze nefaste su di noi.
 
Dobbiamo dare una risposta per rompere le nostre catene di genere e di classe.
Dobbiamo lottare per la costruzione della società socialista-comunista.

 


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