Dichiarazione dell'UP del PCTE sulla nuova riforma del lavoro
Partito Comunista dei Lavoratori di Spagna (PCTE) | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
07/01/2022
No alla riforma del lavoro della UE e della socialdemocrazia
L'Ufficio Politico del PCTE, una volta conosciuto il testo definitivo della Riforma del Lavoro, intende fare le seguenti valutazioni:
La riforma approvata dal governo, dai sindacati e dalle associzioni padronali, realizza la componente n. 23 del cosiddetto Piano di Ripresa, Trasformazione e Resilienza, ed è una parte essenziale degli impegni assunti dal governo con la Commissione Europea in cambio dei fondi NextGenerationEU. Significa un passo avanti decisivo nell'implementazione in Spagna della strategia di "flexicurity" promossa dall'Unione Europea negli ultimi anni, che offre una maggiore flessibilità alle aziende per la disponibilità di forza lavoro in cambio di una presunta sicurezza per i lavoratori nel ricevere un reddito minimo e il recupero di un posto di lavoro in futuro. I costanti riferimenti all'"aggiornamento del mercato del lavoro" fatti dai rappresentanti del governo, dell'associazione degli imprenditori e dei principali sindacati negli ultimi tempi - insieme alla riforma delle politiche attive del lavoro, la generalizzazione di meccanismi come la cassa integrazione temporanea (ERTE) o la creazione del Reddito Minimo Vitale - avanzano nello stesso percorso di aumento del grado di subordinazione dei lavoratori ai capitalisti e di rafforzamento del ruolo dello Stato come garante della sopravvivenza dei monopoli.
I capitalisti chiedono da anni di poter disporre del più alto grado di flessibilità per superare al minor costo le congiunture che derivano dalla natura ciclica dell'economia capitalista. Tale richiesta si accentua nei periodi di crisi, anche se è una tendenza generale. La crisi del 2008 ha portato a due riforme del lavoro - una nel 2010, l'altra nel 2012 - che hanno promosso soprattutto la flessibilità per i datori di lavoro attraverso l'abbassamento dei costi dei licenziamenti, l'ampliamento delle possibilità di modifiche sostanziali delle condizioni di lavoro e dei licenziamenti collettivi, la possibilità di un opt-out salariale dagli accordi e l'eliminazione della validità estesa di tali accordi, tra le altre misure.
Questa logica continua a funzionare nella nuova riforma del lavoro, principalmente attraverso il consolidamento degli ERTE e la creazione del nuovo meccanismo RED. Il percorso seguito dalle precedenti riforme del lavoro si rafforza offrendo ai datori di lavoro una maggiore flessibilità interna, insieme al rafforzamento del ruolo dell'apparato statale nella salvaguardia degli interessi capitalistici, assumendo la maggior parte dei loro costi salariali e contributivi quando la crisi colpirà l'insieme dell'economia o particolari settori. In questo senso, questa riforma segue innegabilmente la tendenza esistente, ed è la ragione per cui i datori di lavoro sono d'accordo con essa e partiti come il PP hanno annunciato che non rifiuteranno la sua approvazione al Congresso. Nonostante il fatto che non ci sia - formalmente - nessuna troika, nessun uomo in nero e nessun memorandum, questa riforma del lavoro è stata sponsorizzata anche dall'UE, che non ha cambiato la sua natura antioperaia e antipopolare né i suoi obiettivi essenziali di promuovere gli interessi dei capitalisti.
D'altra parte, le misure presentate come progressi per i lavoratori hanno un impatto molto piccolo, sono abbastanza discutibili, e sono inquadrate nelle dinamiche di cui sopra. La riduzione formale delle assunzioni temporanee è un puro trucco. La soppressione dei contratti per progetti specifici mentre si rafforzano i contratti stagionali permanenti è uno dei migliori esempi di questa realtà. La temporaneità e la precarietà non dipendono dal tipo di contratto, ma da altri fattori come la frode di massa esistente - che continuerà ad esistere - e soprattutto i costi di licenziamento, non toccati dopo le riduzioni effettuate nelle precedenti riforme. Non si recuperano nemmeno in caso di licenziamenti ingiusti. Il rafforzamento dei contratti stagionali permanenti e i leggeri aggiustamenti in materia di esternalizzazione non porranno fine alla precarietà e alla temporalità, ma piuttosto le rafforzeranno. Le basi per l'attuazione del contratto individuale nel prossimo futuro, insieme a un nuovo abbassamento dei costi di licenziamento, sono rafforzate.
I datori di lavoro sono stati rafforzati grazie all'approvazione di questa riforma del lavoro. Le imprese sono i veri vincitori, anche se il CEOE è stato costretto a cedere alcuni elementi che possono essere facilmente modificati dai futuri governi o annullati nella pratica. Il ricorso alla contrattazione tripartita - quando l'approccio iniziale del governo e dei sindacati era presumibilmente l'abrogazione della riforma del lavoro del 2012 - può essere spiegato solo dalla mancanza di volontà del governo di fare tale abrogazione e dalla necessità di coinvolgere i sindacati nella gestione di questa nuova aggressione contro gli interessi della maggioranza operaia.
Gli argomenti utilizzati per legittimare questa riforma davanti alla classe operaia sono deboli. Il tanto decantato recupero dei diritti del lavoro - al di là del testo formale - è praticamente nullo, ed è messo in discussione dal momento che non è stato stabilito un quadro efficace per il suo esercizio, mentre il potere degli imprenditori è aumentato in un contesto di crescita della miseria e della paura tra i lavoratori. Nessun cambiamento di tendenza si produce nel mondo del lavoro; inoltre, la tendenza preesistente continua e la subordinazione del lavoro al capitale si approfondisce. Le misure che affrontano il tentativo di garantire la sopravvivenza delle imprese hanno un appoggio più esplicito e determinato da parte dell'apparato statale. Non si tratta di un compromesso temporaneo che permette al movimento operaio e sindacale di recuperare forza in una congiuntura particolare, perché non c'è una chiara percezione della lotta di classe nei vertici sindacali. Hanno fatto una scelta non mascherata per la politica del patto sociale, che si traduce in un'identificazione di una parte del movimento sindacale con gli obiettivi e gli interessi dei capitalisti, camuffata sotto la dicitura di "aggiornamento del mercato del lavoro", la promozione dell'"economia digitale" e la "ripresa", che identifica gli interessi degli sfruttati con quelli degli sfruttatori. L'argomento della sfavorevole correlazione di forze non è nemmeno sostenibile quando si è perseguita per anni una politica attiva di smobilitazione del movimento operaio e sindacale per tentare di confinarlo solo nella dinamica del patto sociale.
D'altra parte, ci sono settori politici e sindacali che si esprimono contro la Riforma approvata perché non rafforza il ruolo degli accordi autonomi fino a minacciare di non appoggiarla nell'iter parlamentare anche se hanno sostenuto il Governo di coalizione socialdemocratica. Siamo di nuovo in un falso dilemma che mira a dividere ulteriormente la maggioranza della classe operaia attraverso la promozione di presunti quadri specifici di lotta di classe, limitando la capacità di una risposta unica da parte dei lavoratori e favorendo la finzione che la borghesia non agisce in modo unitario negli aspetti essenziali della sua relazione con la classe operaia. La politica dell'ognuno per sé, stabilita sui vantaggi economici e politici del quadro autonomo per alcuni settori borghesi e piccolo-borghesi, significa un indebolimento della capacità di risposta della nostra classe contro le aggressioni di una borghesia che, indipendentemente dal territorio in cui opera, è fortemente avvantaggiata da questa riforma.
Con questa riforma del lavoro si apre una nuova tappa per la maggioranza operaia del nostro paese. La socialdemocrazia al potere, prevalente nel movimento sindacale, ha dimostrato ancora una volta i suoi limiti e ha adempiuto nuovamente al suo ruolo storico di incatenare la lotta alla sfera istituzionale e di legare il movimento operaio e sindacale al patto sociale. In questo modo, il movimento operaio e sindacale viene reso corresponsabile non solo della difesa della riforma del lavoro - che non realizza nessuna delle aspettative promosse sia dal governo che dai sindacati -, ma anche delle linee essenziali della gestione capitalista negli anni successivi, cercando di ridurre notevolmente ogni possibilità di organizzazione e di lotta contro le aggressioni future.
La politica del patto sociale raggiunge un nuovo livello a causa del coinvolgimento dei sindacati nella difesa della riforma del lavoro. In questo scenario, è urgente sviluppare un processo di politicizzazione di classe all'interno del movimento sindacale, una rottura con la dinamica del patto sociale stabilita e ferocemente promossa nei principali sindacati, allo stesso tempo che si porti avanti una lotta costante contro la campagna antisindacale - promossa da diversi ambiti e diretta a disarmare completamente la nostra classe nella lotta per le condizioni di lavoro in ogni luogo di lavoro. L'intervento sindacale è ancora una necessità che deve essere legata all'esposizione di un intervento politico capace di smascherare e denunciare a quale modello di gestione capitalista ci stanno portando le politiche di patto sociale, quali interessi si trovano dietro ogni misura e perché la maggioranza operaia non deve confidare in miraggi, ma solo nella propria forza organizzata.
Madrid, 3 gennaio 2022
Ufficio politico del PCTE
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