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Chi è stato lasciato indietro: analisi della disuguaglianza all'indomani della pandemia

Sergio Saenz | nuevo-rumbo.es
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

26/11/2022

L'anno 2020 è stato al centro delle cronache per una pandemia che ci ha chiusi in casa, ci ha confinati, ha fermato molti settori e mostrato con nitidezza chi lavora e genera il plusvalore, che permette alle grandi famiglie ville lussuose. Come sempre accade in una società governata da pochi, l'impegno si è focalizzato sulla garanzia che quei pochi continuassero a fare ciò che stanno facendo: vivere con i profitti del capitale.

Per altri, non è stata la pandemia a colpire così duramente da spingerli fuori dal mercato del lavoro, ma la crisi capitalistica latente e la voracità dei datori di lavoro che hanno fatto di tutto per mantenere la loro situazione di privilegio. I bambini, i giovani, le lavoratrici, i migranti e gli anziani, insieme ai lavoratori, sono stati quelli che hanno subito il colpo più duro. Un colpo di grazia in tutti i sensi.

I bambini hanno visto come il sistema educativo pubblico spagnolo abbia ceduto il passo a un progressivo trasferimento di denaro pubblico all'istruzione privata. Si tratta di una tendenza, in cui territori come Euskadi, Navarra, Madrid o Catalogna segnano un percorso chiaro. Sono i nostri figli i primi ad essere lasciati indietro. Non solo la pandemia, ma il sistema stesso impedisce a molti figli della classe operaia di accedere a studi superiori o universitari.

I giovani hanno visto come le riforme susseguitesi li abbiano collocati su un piano avverso al quale sta iniziando a prendere forma la risposta popolare: le tasse, lo statuto del borsista, i cosiddetti stage, collocano i giovani lavoratori come merce del lavoro a basso costo. Nei settori in cui la crisi economica è stata maggiore, i lavoratori con contratto a tempo indeterminato sono stati ampiamente coperti dall'ERTE, la cassa integrazione. I lavoratori con contratti temporanei, invece, non hanno visto rinnovare i loro contratti e molti sono diventati disoccupati. Quindi, la dualità del mercato del lavoro spagnolo ha fatto sì che, ancora una volta, i lavoratori più giovani e non tutelati siano stati i più colpiti. Questa pandemia ha solo esacerbato questa realtà, peggiorando ulteriormente le loro condizioni materiali.

Per le lavoratrici, che lavorano in settori più precari, la pandemia ha sconvolto la conciliazione tra lavoro e vita privata: lavorano più ore o si destreggiano tra ulteriori compiti di assistenza (orari scolastici, cura dei familiari), pur lavorando a tempo pieno. Il 56% dei posti di lavoro persi nel bel mezzo della crisi pandemica appartengono ai 5 settori - commercio, servizi alla persona, istruzione, alberghi e ristorazione - che prima della pandemia impiegavano per il 60% donne.

I migranti, che lavorano come lavoratori agricoli stagionali, nel settore dell'assistenza agli anziani o nella logistica, soffrono per le condizioni abitative precarie, per i salari da povertà e per il razzismo promosso dagli stessi media. Questo gruppo è stato chiaramente lasciato indietro dopo la pandemia, subendo un colpo devastante alle proprie condizioni materiali di vita.

I nostri anziani, il gruppo più colpito dalla pandemia, sono anche quelli che hanno sofferto di più l'impatto del confinamento. In particolare quelli più svantaggiati dal punto di vista socio-economico (meno risorse, difficoltà a mantenere contatti sociali virtuali, minore accesso alle badanti, condizioni abitative più povere, ecc.), nonché le persone affette da demenza o da disagio mentale (depressione e ansia).

I lavoratori in generale sono stati colpiti duramente dalla pandemia. Nelle città, i lavoratori provenienti dai contesti più svantaggiati si recano al lavoro principalmente con i mezzi pubblici. Anche le condizioni abitative di questi lavoratori aumentano la probabilità di infezione all'interno della casa, e l'alta densità delle grandi città è associata a rapporti di salute pubblica e di igiene più scadenti. Dato che questi lavoratori sono concentrati nei settori più direttamente colpiti dalla pandemia e con minori possibilità di telelavoro, la crisi ha teso ad aumentare ulteriormente le disuguaglianze che già esistevano. Circa il 20% ha perso il lavoro dopo la pandemia, il che ha aggravato notevolmente la situazione di ampie fasce della classe operaia spagnola.

Il sistema sanitario spagnolo è stato formalmente costituito come servizio sanitario pubblico di protezione universale dalla Legge Generale sulla Salute del 1986, molto più tardi rispetto al resto dei Paesi capitalisti europei. Il primo periodo ha previsto la creazione dei cosiddetti Servizi Sanitari Nazionali nelle distinte regioni [verso un decentramento autonomistico, ndt]. Il secondo periodo corrisponde al processo di armonizzazione a doppio livello [decentrato e centrale, quest'ultimo con competenza su basi e coordinamento, ndt]. Il Covid-19 è arrivato a metà del secondo periodo e non ha modificato il corso delle riforme sanitarie.

La situazione dell'assistenza primaria, insieme alla mancanza di risorse nelle specialità, ha avuto un impatto diretto sulla vita della classe operaia spagnola. Resta da vedere come questo influenzerà la nostra aspettativa di vita, ma i primi dati che sono stati resi pubblici ci lasciano un quadro molto chiaro. I lavoratori, nei loro diversi settori, siano essi donne, migranti, giovani, uomini o i loro figli e figlie, patiscono oggi la conseguenza di vivere meno a lungo, in condizioni peggiori e di lavorare molte più ore per una paga inferiore.


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