www.resistenze.org - popoli resistenti - sudafrica - 27-09-10 - n. 333

da www.lernesto.it:80/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19716
 
traduzione dal francese a cura di Massimo Marcori da solidarite-internationale-pcf.over-blog.net/article-le-puissant-parti-communiste-d-afrique-du-sud-analyse-avec-lucidite-la-situation-socio-economique-et-politique-inquietante-du-pays-16-ans-apres-la-sortie-de-l-apartheid-52084819.html
 
Un documento del Partito Comunista del Sud Africa analizza la situazione socio-economica e politica
 
solidarite-internationale-pcf.over-blog.net del 26/09/2010
 
Un documento del Partito Comunista del Sud Africa analizza la situazione socio-economica e politica del paese 16 anni dopo la fine dell’apartheid
 
Il Partito Comunista del Sud Africa (SACP) è un partito che ha una grande storia forgiata nella lotta contro l’apartheid, e nella quale ha intessuto legami di sangue con organizzazioni fraterne: l’ANC di Mandela e il sindacato della COSATU. Assieme le tre organizzazioni formano l’alleanza tripartita che gestisce il Sud Africa dal 1994, e il ritorno della democrazia.
 
Partito con oltre 20.000 iscritti all’alba del 2000, il Partito Comunista ha saputo diventare un partito di massa, con i suoi 96.000 iscritti – con gioventù e dinamismo notevoli tra i suoi aderenti – non rinnegando i suoi fondamenti marxisti-leninisti ma affermando la sua natura di partito di classe. La sua forza deriva soprattutto dal suo radicamento nei quartieri e sui luoghi di lavoro, sul suo legame organico con il sindacato di classe COSATU e infine dalla lucidità della sua posizione di fronte all’evoluzione della Rivoluzione nazional-democratica.
 
Pilastro dell’alleanza tripartita, difensore accanito delle conquiste della lotta contro l’apartheid. Il Partito comunista rimane anche assai critico verso l’evoluzione “borghese” e “capitalista” della Rivoluzione nazional-democratica. Ed è qui che la collocazione in prospettiva storica del Partito Comunista ci permette di meglio comprendere le radici di questa rivoluzione incompiuta.
 
Durante tutto il mese di aprile, con i nostri alleati, il SACP ha condotto una campagna per intensificare la lotta contro la corruzione. Abbiamo avviato 34 giorni di lotta intensa il 29 marzo al termine di un riuscitissimo seminario sulla corruzione a Braamfontein. In questo mese di aprile, e in onore del nostro martire, il compagno Chris Hani, abbiamo portato la campagna nei quartieri e i luoghi di lavoro. Il 30 aprile c’è stato un massiccio corteo, guidato dal SACP, a Durban contro la corruzione con alla sua testa il nostro segretario generale, il compagno Blade Nzimande, e il segretario generale della COSATU, il compagno Zwelinzima Vavi.
 
E il giorno successivo, il 1° maggio 2010, in qualità di intervenuti del SACP, con i nostri compagni della COSATU e dell’ANC, abbiamo approfittato dell’occasione delle commemorazioni del I° maggio in tutto il paese per concludere questa prima fase di quella che dev’essere ormai una lotta intensa e continuativa contro il flagello della corruzione.
 
Ma perché il SACP ha scelto il tema dell’intensificazione della lotta contro la corruzione? Non ci sono forse altre importanti questioni concernenti la classe operaia del Sud Africa in questo momento? Sì, abbiamo numerose sfide da affrontare, ma se non riportassimo una vittoria contro il flagello costituito dalla la corruzione, perderemmo su tutta la linea.
 
La lotta contro la corruzione è una lotta morale, ma non è solo una lotta morale. Essa fa parte integrante della lotta della classe operaia e delle forze popolari contro coloro che compromettono, indeboliscono, scalzano e letteralmente svendono la nostra Rivoluzione nazional-democratica.
 
Per comprendere perché affermiamo questo, è importante ritornare indietro e pensare alla realtà attuale del Sud Africa.
 
16 anni di democrazia e il nostro popolo vive ancora nella povertà
 
Martedì della scorsa settimana, abbiamo festeggiato il 16° anniversario della democrazia in Sud Africa. Durante questi 16 anni, assieme, abbiamo realizzato grandi cose. Tuttavia i lavoratori e i poveri del Sud Africa continuano a sopportare salari da miseria, la disoccupazione, la mancanza di terre, servizi sanitari di scadente qualità e più in generale modeste opportunità in termini di educazione e di formazione.
 
Durante i 16 anni scorsi, abbiamo realizzato grandi cose, ma:
Quando abbiamo iniziato nel 1994, il tasso di disoccupazione (nella sua più stretta definizione) aveva raggiunto il livello critico del 24%. A metà del 2008, appena prima che la crisi capitalista mondiale colpisse il Sud Africa, e dopo 15 anni di crescita economica, qual era il tasso di disoccupazione (sempre nella più stretta definizione)? Era più o meno ESATTAMENTE allo stesso livello di quello del nostro punto di partenza – 24%!! (Dopo la recessione e la perdita di quasi un milione di impieghi l’anno scorso, la crisi della disoccupazione è ancora peggiorata).
 
Quando abbiamo iniziato nel 1994, dopo secoli di oppressione razziale, eravamo una delle società più disuguali al mondo. E adesso, dopo 16 anni di “servizio reso” al nostro popolo, dove ci troviamo? In modo scioccante, le disuguaglianze di reddito (misurate con il coefficiente detto GINI) ci dicono che siamo rimasti una società più disuguale che mai. Siamo tra i peggiori paesi al mondo. E tale disuguaglianza rimane fortemente razzializzata.
 
Quando abbiamo iniziato nel 1994, nel nostro Programma di Sviluppo e di Ricostruzione (RDP), avevamo stimato che la penuria di abitazioni era di 3 milioni. In modo incredibile, nel corso dei 16 anni passati, abbiamo in realtà costruito più di 3 milioni di case a costi moderati. Dunque, qual è lo stato della penuria di abitazioni attuale? Secondo il Ministero dell’abitazione, la penuria di alloggi si situa ormai tra i 2 e i 3 milioni!!!
 
Perché abbiamo l’impressione di girare in tondo? Perché, quando sono state fatte tante cose nel corso dei 16 anni scorsi, abbiamo l’impressione di ritornare al punto di partenza?
 
La DA (destra nostalgica dell’apartheid) e gli altri partiti di opposizione ci dicono che non possiamo continuare ad accusare l’apartheid. E, in qualche modo, il SACP è d’accordo con loro (ma solo per essere in disaccordo totale con loro, sicuramente, in ultima analisi). Sì, è vero che non possiamo continuare ad accusare l’apartheid…è il CAPITALISMO che bisogna accusare.
 
Prima di tutto, abbiamo smantellato il sistema di apartheid, abbiamo abolito le leggi di apartheid e la costituzione dell’apartheid. Ma sotto l’apartheid, c’è sempre stato un sistema che lo sosteneva e lo plasmava…e questo sistema era un sistema capitalista.
 
E prima dell’apartheid, durante il periodo del segregazionismo sotto Jan Smuts, c’era un sistema che continuava a funzionare, plasmando i destini del nostro paese e del suo popolo…e questo sistema era un sistema capitalista.
 
Ma prima del segregazionismo, durante il periodo della conquista coloniale e dello spossessamento, c’era un sistema che ha inviato eserciti sulle nostre coste, che ha messo in posa linee ferroviarie e costruito porti coloniali, che hanno obbligato milioni di contadini a diventare lavoratori migranti. C’era un sistema che era all’origine della formazione del Sud Africa stesso, se si risale al 1910, sono esattamente 100 anni…e questo sistema era un sistema capitalista.
 
Abbiamo abolito l’apartheid, Smuts è arrivato ed è ripartito, l’era della conquista imperiale e della colonizzazione del nostro paese appartiene al passato…ma ciò che continua ad esistere, è questo stesso sistema di oppressione che è il capitalismo.
 
E qui, non stiamo parlando di capitalismo in generale, ma della versione particolarmente virulenta del capitalismo semi-coloniale che è stato imposto al Sud Africa nel corso degli ultimi 100 anni. E’ una versione del capitalismo che persiste fino ad oggi.
 
Se si vuole comprendere perché, dopo 16 anni di democrazia e un gran numero di “servizi resi” al nostro popolo, continuiamo ancora a girare in tondo, allora è assolutamente essenziale capire la natura del modello di crescita capitalista sudafricana. Dobbiamo capirlo al fine di sradicarlo collettivamente e di distruggerlo, e di mettere il nostro paese sui binari di un nuovo modello di sviluppo.
 
Il modello di crescita capitalista semicoloniale del Sud Africa
 
Al fine di comprendere i tratti principali del modello di crescita capitalista esistente da 100 anni, è necessario anzitutto ricordare come il capitalismo è giunto in Sud Africa. Esso non è emerso in modo organico. E’ stato imposto, totalmente nuovo, appena uscito dalla scatola, importato dal più avanzato dei paesi capitalisti alla fine del 19° secolo. E’ la rivoluzione mineraria della fine del 19° secolo importata che ha segnato le origini della rivoluzione capitalista sudafricana.
 
Da allora, la nostra economia è stata dominata da queste realtà che hanno formato la nostra società:
 
Ancora oggi il Sud Africa dipende troppo dall’esportazione di beni grezzi, primari, come i minerali.
Ancora oggi, il Sud Africa dipende troppo dall’importazione di beni manufatti, macchine utensili, tecnologie e beni di lusso.
Ancora oggi, c’è un elevato livello di concentrazione monopolista nella nostra economia – i numerosi scandali attorno ad intese sul prezzo del pane o dell’acciaio, ad esempio, rivelati dalla Commissione sulla concorrenza, ne sono un’indicazione.
 
Legate a tutto ciò che è stato detto sopra, le nostre piccole e medie industrie sono debolmente sviluppate e il nostro settore manifatturiero è debole (si è indebolito ancora nel corso degli ultimi 10 anni, poiché numerose regioni del nostro paese sono state deindustrializzate). Eppure, sono i settori che generalmente sono i più intensivi in mano d’opera.
 
Ancora oggi, come all’inizio del capitalismo in Sud Africa, abbiamo un mercato del lavoro fortemente dualizzato. Da un lato, un sottile strato di artigiani qualificati e di tecnici – un tempo quasi esclusivamente bianchi. E, dall’altro lato, una massa di lavoratori non qualificati e semi-qualificati. In origine, la maggioranza di questi lavoratori erano lavoratori migranti collegati alle miniere. Ma con lo sviluppo del capitalismo, è emersa una classe operaia nera più insediata, urbanizzata – ciò non ha cambiato nulla circa la natura fortemente dualizzata del mercato del lavoro.
 
Continuiamo ad avere una classe operaia divisa poiché il nostro sistema educativo e formativo riproduce ancora una sottile minoranza di persone qualificate, e una massa di persone sotto-qualificate e spesso inutilizzabili.
 
Abbiamo una classe operaia divisa perché la massa dei lavoratori e dei poveri continua ad essere marginalizzata nelle townships dormitorio tetre e lontane dal centro. Anche i nostri 3 milioni di case del piano RDP hanno riprodotto tale ripartizione spaziale ereditata dall’apartheid – i quartieri comunitari esistono in realtà, ma non in diritto. Ormai essi sono riprodotti dal mercato immobiliare capitalista.
 
Messi assieme, questi elementi essenziali del modello di crescita capitalista del Sud Africa ci conducono al cuore della risposta a questa domanda: perché in 16 anni di democrazia, abbiamo l’impressione di girare in tondo?
 
Dobbiamo collocare il Sud Africa su modelli di crescita diversi. E’ esattamente ciò che il presidente Zuma ha dichiarato in occasione del suo Discorso sullo stato della nazione al parlamento l’anno scorso. E’ esattamente ciò che il compagno Pravin Gordhan ha dichiarato in occasione del suo discorso sul bilancio quest’anno. E’ esattamente quello che il governo aveva in testa quando ha reso pubblico il suo nuovo Piano di azione di politica industriale (IPAP) quest’anno. L’IPAP è un fattore chiave nella trasformazione del nostro modello di attuale crescita, capitalista semicoloniale. La stessa analisi si applica a tutte le nostre altre priorità strategiche – creazione di impieghi, sviluppo rurale, copertura sociale compresa la NHI (Assicurazione nazionale sanitaria), l’educazione e la formazione, la rottura col modello delle townships dormitorio e la costituzione di quartieri con mescolanza sociale, la lotta contro la criminalità e la corruzione – queste non sono sfide sconnesse le une con le altre, ma sono tutte legate e formano un insieme per mettere la nostra società sui binari di un modello di sviluppo diverso.
 
Ma perché non abbiamo iniziato ad occuparci di questo prima?
 
Il fattore soggettivo – il progetto di classe 1996
 
Fino ad ora, abbiamo guardato la realtà obiettiva con la quale ci siamo confrontati – questo sistema capitalista semicoloniale che continua a riprodurre la povertà, la disoccupazione e la disuguaglianza. Ma per spiegare perché non abbiamo seriamente trasformato tale realtà obiettiva, è altrettanto importante esaminare la realtà soggettiva – in altri termini, dobbiamo guardare a quello che succede in seno al nostro movimento, l’alleanza guidata dall’ANC.
 
Nel corso degli ultimi dieci anni, dopo una lunga e difficile lotta, ideologica e organizzativa, all’interno del nostro movimento, il SACP, con un largo ventaglio di forze dell’Alleanza, è riuscita a prevalere a tutti i livelli nell’ANC e nel governo una corrente di destra, riformista, ciò che abbiamo chiamato “il progetto di classe 1996”.
 
Nei media e tra i nostri oppositori, la nostra lotta contro questa tendenza è spesso stata dipinta come una battaglia strettamente settaria tra personalità e fazioni, unicamente allo scopo di prendere il controllo dell’ANC. E’ importante ricordare che non si è mai trattato di altro che della nostra lotta contro il “progetto di classe 1996”.
 
Abbiamo sostenuto che era una lotta contro il riformismo e questo per un motivo molto preciso. Fin dalla metà degli anni 90, l’ANC ha iniziato ad essere dominata da una tendenza che non poteva e non voleva riconoscere che per far progredire e difendere la Rivoluzione nazional-democratica dopo il 1994 era necessaria una lotta intensa per trasformare radicalmente (e non solo riformare) i tratti semicoloniali del modello di crescita capitalista sudafricana vecchio di un secolo.
 
In compenso, hanno creduto che la crescita tirata dal mercato (in pratica la continuazione dello stesso modello di crescita semicoloniale), ma ormai sotto la co-direzione di una nuova classe politica capitalista nera, era l’obiettivo strategico principale della Rivoluzione nazional-democratica post 1994. “Andate, fate soldi!” hanno detto ai quadri dell’ANC.
 
Ma questo “progetto di classe 1996” aveva tutta una serie di contraddizioni interne. Una di queste contraddizioni era la tensione tra:
 
Le esigenze di restaurare il processo di accumulazione capitalista, e di ritrovare il modello di crescita tradizionale dopo un decennio di crisi aggravata negli ultimi anni dell’apartheid, da un lato e;
 
Il processo di accumulazione primitiva che aveva bisogno di un nuovo strato di capitalisti neri (“capitalisti senza capitale”), dall’altro.
 
Il primo obiettivo esigeva che la nuova classe politica utilizzasse il potere di Stato per creare un ambiente favorevole agli investitori, per creare condizioni favorevoli ai grandi gruppi sudafricani affinché questi possano estendersi regionalmente e a livello internazionale, adottino una linea dura sul deficit di bilancio (vale a dire ridurre il “fardello” fiscale per la borghesia), e di attaccarsi al problema delle strozzature che si sono costituite durante gli ultimi 15 anni del regime dell’apartheid. Ciò comportava anche la stabilizzazione dello “Stato di diritto” borghese, la garanzia dei diritti di proprietà, e una gestione politica “ragionevole” di Stato (“ragionevole” come la stimano le agenzie di rating internazionali e le imprese transnazionali di controllo).
 
Il secondo processo è stato attraversato dal seguente dilemma: come uno strato di capitalisti in erba potesse acquisire il capitale. Due strategie legate tra loro sono state utilizzate per incoraggiare la creazione di un capitale BEE (Black economic empowerment – legislazione post-apartheid che incoraggia l’accesso a posti di direzione come alla detenzione di azioni, di imprese e più in generale di capitale da parte della borghesia nera):
 
Utilizzando la legislazione come pure altri mezzi, si è imposto alla borghesia locale di lasciare parte della torta agli imprenditori BEE. Di fatto, si è trattato di un matrimonio di interesse tra elementi della nuova casta politica di Stato e il capitale locale. In cambio della dote che costituiscono politici di stato “favorevoli al mercato”, il capitale locale ha accettato a malincuore di cedere una percentuale di titoli di proprietà alla nuova élite. Sappiamo, certo, che questo tipo di promozione BEE è stato pieno di debolezze. Gli obiettivi sono rispettati raramente. Tutti i capitalisti senza capitale assetati non possono installarsi nei Consigli di amministrazione. I capitalisti BEE si sono spesso visti accordare attività marginali (come la maggior parte delle miniere BEE – vedere il recente scandalo Aurora). Un buon numero dei capitali BEE sono anche capitali fortemente indebitati. Sono spesso azioni cedute sotto forma di prestito da rimborsare in un periodo di 5 anni, ad esempio, e soggette alle fluttuazioni della Borsa. Il capitale BEE è dunque tipicamente un capitale non produttivo – ma piuttosto un capitale ritirato dalla circolazione produttiva – e dunque un investimento senza creazione di impieghi. Inoltre, questo strato di capitalisti BEE spesso non gioca, e non può giocare, il ruolo pieno e intero di una classe capitalista. Il suo ruolo di proprietario è spesso nominale (serve da facciata ad altri), e il suo ruolo attivo manageriale nell’investimento e la redistribuzione di capitale è limitato. Sono queste le ragioni per cui li abbiamo qualificati come classe dalle tendenze “compradore” dal momento che essi agiscono spesso come un intermediario, rappresentante degli interessi del grande capitale (nazionale e internazionale) nei mercati locali.
 
L’utilizzo delle carte e della legislazione BEE per recuperare capitale della borghesia locale e per promuovere un nuovo strato di capitalisti neri è stata una risorsa del capitale BEE. Il secondo principale mezzo è stato lo sfrontato saccheggio delle risorse pubbliche. Come tutti i capitalisti emergenti prima di loro – dai proprietari terrieri dell’Inghilterra del 17° secolo che hanno recintato i terreni comunali, ai randlords del Sud Africa della fine del 19° e inizio del 20° secolo – i nostri capitalisti neri emergenti si sono spesso mostrati poco preoccupati dalle sottigliezze del diritto, o dal rispetto della proprietà e delle risorse pubbliche. Nel corso degli ultimi 15 anni, c’è stato un saccheggio massiccio di risorse pubbliche, con l’utilizzo delle procedure di offerte pubbliche di acquisto sia su grande scala (come per gli ordini di armamenti) o su scala minore, a livello dei governi locali. Gli accordi di privatizzazione, gli imprenditori del mercato pubblico (neologismo del SACP che designa i capitalisti sudafricani che si sono arricchiti grazie ai mercati pubblici fraudolenti), i bonus di “performance” gonfiati nelle imprese parastatali, sono stati tutti un cumulo di meccanismi di questa forma di accumulazione primitiva. Alcuni di loro erano protetti dalla “legge”, nella maggioranza dei casi si è trattato di corruzione pura e semplice.
 
E’ facile vedere come, presto o tardi, il progetto di classe 1996 è venuto ad urtarsi con tutta una serie di contraddizioni interne, in particolare tra le esigenze dell’edificazione di uno Stato di diritto borghese che potesse ottenere l’approvazione di Ernest and Young e di altri, da un lato, e il disprezzo implicito della legge tipico ad ogni processo di accumulazione primitiva che vive in modo parassitario sulle risorse pubbliche e statali, dall’altro.
 
All’incirca dal 2005, le contraddizioni tra gli interessi di coloro che erano ormai fermamente considerati come capitalisti (e che erano ben felici che si chiudessero gli occhi sui loro saccheggi precedenti) e coloro che sentivano che non lo erano ancora, hanno iniziato a manifestarsi in seno all’ANC e al governo. I personaggi associati al progetto di classe 1996 sono stati incapaci di mantenere l’equilibrio tra queste forze contraddittorie che avevano essi stessi scatenato. Ciò ha contribuito alla loro sconfitta alla conferenza nazionale dell’ANC svoltasi a Polokwane nel 2007.
 
Come abbiamo detto prima, le forze che stavano dietro a questa sconfitta non erano unite. Da un lato, il SACP, la COSATU e altri in seno all’ANC hanno avanzato una critica DI PRINCIPIO sulle POLITICHE riformiste del progetto di classe 1996. Dall’altro lato, c’erano coloro la cui opposizione al gruppo attorno all’anziano presidente Mbeki non riguardava questioni politiche, ma piccole rivalità personali, ambizioni affariste frustrate, e un concetto particolare di ingiustizia, l’idea che lo Stato di diritto doveva valere solo per gli altri, non per loro.
 
La nuova tendenza
 
Le tensioni e le sfide attuali all’interno dell’ANC si trovano fondamentalmente tra:
 
Coloro per i quali Polokwane mirava a divenire il luogo per i propri appetiti, il luogo per fare “gavetta” nel processo di accumulazione primitiva; e
 
Coloro per i quali l’eliminazione del gruppo Mbeki mirava a creare le condizioni per cambiare politica, per concentrarsi sullo scopo principale che è quello di posizionare il nostro paese sui binari di una via di sviluppo differente, per concentrarsi sulle nostre maggiori priorità strategiche – creazione di impieghi, copertura sanitaria, educazione, sviluppo rurale e lotta contro il crimine e la corruzione.
 
Ed è per questo, che, come SACP, diciamo che la principale sfida OGGETTIVA della nostra lotta nazional-democratica nel 2010 è di avanzare sulla via di un nuovo modello di sviluppo per il nostro paese.
 
Ma se vogliamo elevarci fino a questa sfida oggettiva principale, allora dobbiamo allo stesso tempo affrontare sicuramente la sfida SOGGETTIVA principale – vincere il flagello della corruzione nella nostra società in generale, compreso nel settore privato, ma, in particolare tra le nostre fila, il nostro movimento, e all’interno del governo.
 
Quarant’anni fa, il giovani Chris Hani aveva coraggiosamente redatto, e firmato, un memorandum indirizzato alla direzione dell’ANC in esilio. In questo memorandum, Hani e i suoi cofirmatari hanno cercato di analizzare perché la lotta armata conosceva un reflusso. Il memorandum identificava il frazionismo, il favoritismo, la perdita di zelo e di moralità rivoluzionaria e il corrosivo impatto della corruzione tra i nostri ranghi. Alcuni membri della direzione hanno arrestato all’epoca Hani per “ammutinamento”. Tuttavia, altri dirigenti dell’ANC hanno riconosciuto la saggezza e le intenzioni costruttive del compagno Chris Hani e dei suoi compagni e lo hanno rilasciato. Il memorandum ha giocato un ruolo diretto nella famosa conferenza dell’ANC di Morogoro del 1969, e questo, alla fine, ha portato alla rivitalizzazione del nostro movimento e ad una importante ripresa nella lotta popolare rivoluzionaria nel nostro paese, nel corso del decennio successivo.
 
Nel 2010, onoriamo la memoria rivoluzionaria del compagno Chris Hani. Nei negozi, negli organismi parastatali, nel privato come nel pubblico, nel nostro quartiere e nelle nostre organizzazioni, impegnamoci tutti solennemente a levarci in piedi e a sradicare ogni forma di abuso e di corruzione.
 
Restiamo vigili, insieme!
Tivusa Tingwenya!
 
Che gli imbroglioni, i fraudolenti, i benestanti, coloro che si ingrassano rubando al popolo, che tutti costoro tremino!
 
LA LOTTA CONTINUA! VIVA LO SPIRITO COMBATTENTE DI CHRIS HANI!!
 
 

Resistenze.org     
Sostieni una voce comunista. Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione o iscriviti al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support a communist voice. Support Resistenze.org.
Make a donation or join Centro di Cultura e Documentazione Popolare.